Eppur qualcosa si muove
Un occhio ben attento avrà notato come negli ultimi mesi si siano intensificate le lotte nel mondo del lavoro. Sempre questi occhi attenti avranno notato come non sono solo quei sindacati più conflittuali a erigere le lotte ma sotto la spinta dei lavoratori anche sigle come la Cgil sono “costrette” a mettere in campo uno scontro che da anni mancava o compariva solo a sprazzi senza però dare mai seguito a livelli superiori di conflittualità.
Cerchiamo ora di entrare nel merito della questione. In questo periodo e in questi giorni sono emerse una serie di lotte che progressivamente e velocemente hanno assunto importanza per la dimostrazione di determinazione e conflitto.
Philips-Saeco di Gaggio Montano (Bologna). Da oltre un mese i lavoratori presidiano la ditta a fronte di un annunciato licenziamento di 243 operai. Nei giorni scorsi dopo vari tentativi di trovare una soluzione, sempre con esito negativo dovuti all’arroganza dei padroni, sono iniziati i blocchi dei camion in entrata e uscita, sull’esempio delle lotte dei facchini della logistica. Un’intera comunità, cittadina e montana, al fianco dei lavoratori, uniti nei picchetti e nelle manifestazioni (si veda qui e qui).
Castelfrigo di Castelnuovo Rangone (Modena). Dal 25 di gennaio e per tre giorni consecutivi i lavoratori hanno messo in pratica scioperi e picchetti, esasperati dalle indegne condizioni di lavoro. Trattati come schiavi, i lavoratori delle cooperative hanno incrociato le braccia supportati e sostenuti nelle pratiche dai dipendenti diretti dell’azienda. Nel mezzo della lotta c’è stato anche il tentativo del padrone di far entrare altri lavoratori crumiri di soppiatto con scale, sfociato poi in un acceso diverbio con colluttazione, si è arrivati al blocco totale dei camion. All’oggi la lotta ha sembra aver portato i suoi frutti con la convocazione di tavoli per migliori condizioni salariali e di diritti, con i lavoratori sempre sull’attenti e pronti a ripercorrere forme di lotte già attuate (si veda qui).
Ilva di Genova. A fronte delle non promesse dei governi e con l’ipotesi sempre più plausibile di una chiusura dello stabilimento, i lavoratori hanno messo in pratica azioni di lotta importanti come l’occupazione dello stabilimento e manifestazioni con blocchi. Scesi in strada, si sono poi diretti con petardi, fumogeni e slogan contro governo e polizia quasi al confronto con la celere, dispiegata in massa, in un clima di tensione che per essere smorzato la controparte ha dovuto mettere in scena il teatrino della poliziotta che stringe la mano all’operaio, immediatamente ripresa e amplificata dai tutti i media (e dal sindacato) (si veda qui).
Gela. Un’intera città, davanti all’ennesimo tentativo di lucro sulla pelle della popolazione e politiche aziendali e occupazionali non mantenute da parte dell’ENI, mette in pratica lo sciopero sociale cittadino bloccando, in diversi punti chiave, ogni forma di circolazione: lavoratori, disoccupati, singoli cittadini, (ma anche personalità delle istituzioni) assieme in lotta da diversi giorni (si veda qui).
Alcoa (Cagliari). Anche qui, stanchi delle solite promesse non mantenute, i lavoratori dell’Alcoa e quelli dell’Indotto in lotta contro la chiusura dello stabilimento, dopo blocchi stradali, sit-in, dopo aver sfilato per le strade di Cagliari hanno bloccato gli ingressi della sede del consiglio regionale, ribadendo la volontà di lottare fino a che non si trovi una soluzione per tutti (si veda qui).
In estrema sintesi questi sono solo gli ultimi episodi di lotte che stanno avvenendo in un paese governato da soggetti che, dopo aver ristrutturato (a loro interesse) il mondo del lavoro, ci raccontano di un’Italia in crescita e con prospettive future ottime. Una governance, state bene attenti, che il suo obiettivo di destrutturare le poche e deboli garanzie che rimangono ai classici settori del mondo del lavoro non lo ha ancora raggiunto, e che presto tornerà all’attacco.
All’oggi però i fatti narrano di pratiche di resistenza e perfino di tensioni d’attacco. I fatti ci raccontano di lotte, di protagonismo, di come sempre più operai, lavoratori dipendenti, molteplici categorie di proletari sembrino cominciare a prendere coscienza dello stato attuale delle cose, di rifiutare – meno timidamente di prima – certe proprie condizioni di vita, di sfruttamento, di lavoro.
Vero, spesso questo accade solo nel momento più “tragico”, quando si avvicinano licenziamenti di massa, delocalizzazioni o chiusure di stabilimenti, o prospettive di casse integrazioni. Pazienza se non si vede l’emersione di nuove soggettività conflittuali come le intendiamo o vorremmo noi, già belle che pronte, pure e cristalline, con tutto al posto giusto, senza contraddizioni, senza ambiguità, senza fraintendimenti: gli “slogan giusti”, le “pratiche giuste”, le “parole d’ordine giuste”, l’“atteggiamento giusto”, i “contenuti giusti”. Quello che importa, ed è il dato più importante, è la presa d’atto che così non si può più andare avanti, la disponibilità a mettersi in gioco, a lottare in prima persona, a costruire e far crescere lotte collettive. Una rabbia che è stata covata a fuoco lento ma che finisce per esondare, che vuole liberarsi dalle catene fatte di condizioni lavorative a livelli dello schiavismo, che rende i lavoratori protagonisti nel costringere i sindacati a seguirli nei metodi e durezza di lotta.
Questa rabbia necessita di essere intercettata e sostenuta, approfondita e generalizzata, per evitare ancora una volta che queste lotte, come molte altre (purtroppo), rimangano isolate e chiuse in se stesse con il rischio che nel medio-lungo periodo si dissolvano, diventino marginali o vengano recuperate dalle velleitarie promesse concertative. È risaputo come i sindacati confederali una volta raggiunto il proprio obiettivo, lavorino per spegnere le lotte, facendo di tutto per evitare che si espandano o trovino sponde conflittuali, per continuare a detenere l’unica cosa che li porta a contare qualcosa al tavolo dei padroni: il controllo sui lavoratori, sui loro comportamenti, sulle loro possibili iniziative, sulla loro potenziale autonomia. Per questo a fronte di ampi spazi aperti di intervento, possibilità di inchiesta e occasioni di lotta, è preoccupante vedere come le svariate forze di “movimento” (chiamiamole così per capirci) palesemente latitino. Proprio davanti a potenziali soggettività che sì, non saranno la rude razza pagana o la spontanea autonomia sovversiva dell’operaio-massa di Mirafiori di cui tanto abbiamo letto o sentito parlare, ma che dopo anni e anni di letargo, forse… qualcosa (eppur) si muove.
di COBET per COMMONWARE
1/2/2016 http://clashcityworkers.org
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