“Era bello il mio ragazzo”
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Nel 2021 in Italia si sono registrati 1404 morti sul lavoro. Se il numero è impressionante,lo è altrettanto, e non potrebbe essere diversamente, la frequenza degli incidenti mortali , paragonabile ad un bollettino di guerra, con giornate particolarmente funeste che si portano via tre, quattro o cinque persone, insieme o in punti diversi della penisola.
Le chiamano “ morti bianche” scelta cromatica del tutto inappropriata, se si considera ciò che, nella nostra cultura, si associa al bianco : purezza,innocenza, candore. Quelle dei lavoratori sono morti nere di lutto, o rosse di sangue, di rabbia e di vergogna. Ogni volta ci si chiede come è possibile che accada tanto spesso ? La tecnologia e la legislazione dovrebbero garantire la sicurezza. Negli ultimi anni si è teorizzato molto di sicurezza sul lavoro, di formazione, di prevenzione. Corsi per i lavoratori, documenti di valutazione dei rischi, indicazioni specifiche, commissioni interne, responsabili e incaricati,un universo di codici e codicilli. Anche la tecnologia, al servizio dell’uomo, come sempre, mette a disposizione sistemi di controllo, meccanismi di protezione sui macchinari.
Sembra che non rimangano altro che le “ tragiche fatalità”, e naturalmente imperizia , imprudenza e negligenza delle vittime, che pagano con la vita gli errori umani. Certo, ad un’analisi nemmeno troppo sottile, è evidente che le leggi ci sono ma non si rispettano, i meccanismi di protezione non si attivano, i controlli non si fanno, e le vittime poi, lavoratori e lavoratrici che non hanno neanche un contratto, figuriamoci la formazione, disposti a soprassedere alla mancanza di misure di protezione ( massì cosa vuoi che succeda, mica vuoi rallentare la macchina..) perché il lavoro non si può perdere, troppo stanchi o troppo vecchi, o troppo giovani e inconsapevoli. Ci sono l’incuria, la trascuratezza la fretta di terminare i lavori, la produzione da accelerare, la burocrazia da aggirare.
Tutto questo si può documentare, esaminare, discutere. Cause, concause, responsabilità, soluzioni. Analisi statistiche, sociologiche, politiche. Tutte sconfortanti, per la gravità della situazione, per l’arretramento delle condizioni dei luoghi di lavoro , per la debolezza di una classe schiacciata sotto il “ tallone di ferro” del capitalismo.
Ma le statistiche e le analisi, la classe operaia come categoria sociologica corrispondono a persone, vite, corpi e volti di uomini, donne, ragazze e ragazzi. Schiacciati, bruciati, triturati, divorati dalle macchine. Nelle cronache compaiono i sorrisi, ci vengono raccontate le storie, esistenze comuni, semplici, nel senso migliore del termine. Persone con i loro legami, le amicizie, le speranze. Presto dimenticate e dimenticati, sostituiti dalla nuova vittima, un nome in più nell’elenco.
Questo quadro desolante si lega, attraverso il giovane Lorenzo, morto all’ultimo giorno di alternanza scuola-lavoro alla disastrosa decadenza della scuola. Una scuola sempre più classista che tende a “produrre” forza lavoro prontamente utilizzabile dal sistema, la cultura e la formazione intellettuale ridotte in favore di fumose “ soft skills” che insistono sulla flessibilità, la resilienza, la disponibilità, lo spirito imprenditoriale dei giovani che devono essere preparati a barcamenarsi in una società che non offre loro stabilità, indipendenza economica. La scuola separa sempre più nettamente e precocemente la gioventù delle classi dirigenti dal “popolo”, a partire dal progressivo deterioramento della scuola pubblica, passando per la riduzione degli anni di studio, e l’impoverimento di programmi.
Così ancora oggi, dopo l’illusione di una scuola pubblica, democratica e di qualità per tutti, i destini dei giovani dipendono cultura in favore di un addestramento al lavoro, introdotta dalla pessima legge 107 del 2015, nel migliore dei casi è svilente ed inutile per lo studente che impara da subito a lavorare gratis, spesso svolgendo mansioni per nulla formative.
Nel peggiore dei casi gli studenti, quelli destinati ai lavori manuali, alla fabbrica, si immergono, ancora durante il percorso scolastico, che dovrebbe occuparsi di fornire loro stimoli culturali, nell’humus che produce le migliaia di morti sul lavoro che registriamo ogni anno. Ed ogni tanto, la logica del profitto sopra ogni cosa, sopra il diritto alla salute , alla sicurezza, alla vita dei lavoratori colpisce anche un ragazzo appena diciottenne, entrato in fabbrica perché ce lo manda la scuola. Non è un caso isolato, incidenti analoghi si sono verificati altre volte. Non è più tollerabile che di lavoro si muoia, perfino prima di cominciare a lavorare.
Mentre scrivo, gli studenti protestano in piazza in diverse città, a partire da Udine, a pochi metri dal luogo in cui Lorenzo Parelli è stato schiacciato da una putrella di acciaio. Una protesta giusta, e sana perché non bastano più le indagini sulle responsabilità. Bisogna cambiare il sistema e la logica del lavoro. Una protesta che invece viene repressa, con i manifestanti caricati dalla polizia. E per chi ha amato Lorenzo, o Luana o Filippo, solo alcuni delle
ultime giovani vittime, non resta che continuare a pensare che “ era bello il mio ragazzo, sempre pieno di speranze… “.
Loretta Deluca
Insegnante. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
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