Europa terra di nazionalismi. Serbi e albanesi in Kosovo
In Kosovo, 11 militari italiani del contingente Kfor della NATO1 appartenenti al nono reggimento Alpini L’Aquila sono rimasti feriti il 29 maggio durante le operazioni di contenimento di manifestazioni di cittadini di etnia serba che protestavano davanti ai municipi contro l’insediamento di sindaci di etnia albanese nelle aree settentrionali del Paese che sono a maggioranza serba2. I tumulti si sono verificati nelle città di Mitrovica Nord3, Zvecan, Zubin Potok e Leposavic. Già venerdì si erano verificati incidenti quando tre dei quattro sindaci di etnia albanese sono stati scortati nei loro uffici dalla polizia, che è stata bersagliata di sassi e ha risposto con gas lacrimogeni, spray al peperoncino e cannoni ad acqua per disperdere i manifestanti di etnia serba.
I soldati della Kfor sono intervenuti come forza d’interposizione tra la popolazione serbo kosovara e la Kosovo Police, giunta sul posto per consentire l’insediamento dei sindaci. Nel pomeriggio le proteste a Zvecan sono diventate violente e il lancio di molotov, con all’interno chiodi, petardi e pietre, ha provocato feriti tra le forze militari della Kfor. Contro i militari sono stati anche esplosi colpi di arma da fuoco. Oltre agli 11 soldati italiani, sono rimasti feriti altri 19 soldati ungheresi, nessuno in pericolo di vita. Allo stesso tempo, sono rimasti feriti anche 52 cittadini di etnia serba. La missione Kfor ha usato gas lacrimogeni e bombe stordenti per disperdere i manifestanti serbi che protestavano. I veicoli NATO sono stati verniciati con la lettera “Z”, che si riferisce al segno russo usato nella guerra in Ucraina.
Al momento la situazione rimane “tesa” con le forze di Kfor che ancora presidiano in tenuta antisommossa i municipi dove sono avvenuti gli scontri. I serbi chiedono che il governo del Kosovo rimuova i sindaci di etnia albanese dai municipi e consenta alle amministrazioni locali finanziate da Belgrado di riprendere il loro lavoro.
Gli Stati Uniti e i loro alleati, che hanno fortemente sostenuto l’indipendenza del Kosovo, venerdì hanno rimproverato Pristina, dicendo che l’imposizione di sindaci albanesi nelle aree a maggioranza serba senza il sostegno popolare vanifica gli sforzi per normalizzare le relazioni tra i due gruppi etnici. Gli eventi degli ultimi giorni hanno danneggiato il rapporto tra Washington e Pristina. L’ambasciatore degli Stati Uniti in Kosovo, Jeff Hovenier, ha dichiarato martedì al Financial Times che gli Stati Uniti annulleranno le esercitazioni militari congiunte con il Kosovo e sospenderanno gli incontri diplomatici.
“Quanto sta accadendo” in Kosovo “è assolutamente inaccettabile e irresponsabile. Non tollereremo ulteriori attacchi nei confronti di Kfor“, ha affermato in una nota il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. “È fondamentale evitare ulteriori azioni unilaterali da parte delle autorità kosovare e che tutte le parti in causa facciano immediatamente un passo indietro contribuendo all’allentamento delle tensioni“, ha aggiunto. “L’impegno del governo italiano per la pace e per la stabilità dei Balcani occidentali è massimo e continueremo a lavorare con i nostri alleati“, ha concluso la premier.
La Francia “condanna con la massima fermezza questa violenza”, da parte sua, ha dichiarato in un comunicato il ministero degli Esteri francese, invitando Belgrado e Pristina a tornare “al tavolo dei negoziati con un atteggiamento di compromesso”. “Non possiamo tollerare che la stabilità regionale sia messa in pericolo in un contesto internazionale così critico. Questa è una questione di sicurezza europea”, ha aggiunto il testo.
La NATO, in una nota, ha affermato che “condanna questi attacchi non provocati” ma soprattutto si è detta “pronta a reagire”. I fatti degli ultimi giorni hanno spinto la NATO ad annunciare che invierà altri 700 soldati nel Paese. ‘Il dispiegamento di forze aggiuntive in Kosovo è una misura prudente per assicurare che KFOR sia in grado di assicurare la sicurezza in accordo con mandato ricevuto dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU”, ha commentato Stuart B. Munsch, ammiraglio statunitense a capo del contingente NATO per l’Europa del sud.
A questo proposito, anche alla luce di quanto successo in Ucraina dopo il 2014, il Global Times, organo di informazione dei nazionalisti cinesi, sostiene che gli obiettivi della NATO rimangono fortemente ambigui: “La NATO chiede da un lato di allentare le tensioni, ma dall’altro aumenta la presenza militare. Sembra che la NATO stia solo guadagnando tempo per armare il Kosovo, sostengono gli analisti. Dalle sue guerre passate, è chiaro che gli Stati Uniti sono abbastanza bravi a fingere equità nel fermare un combattimento mentre aiutano una parte, guadagnando tempo per coloro che sostengono chiedendo un cessate il fuoco. Le promesse fatte dalla NATO e da altri paesi occidentali di proteggere i serbi in Kosovo semplicemente non possono essere mantenute. Un articolo del Financial Times ha affermato che la spinta dell’Occidente per sanare il divario tra Serbia e Kosovo è destinata a fallire”.
Nonostante gli appelli dei Paesi dell’Unione Europea e della NATO affinché le tensioni si allentino, la crisi dei rapporti tra cittadini kosovari e serbi, come tra Kosovo e Serbia, sembra destinata a continuare4.
In visita in Kenya, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato che “i serbi stavano combattendo per i loro diritti nel nord del Kosovo”. “Una grande esplosione minaccia (di verificarsi) nel cuore dell’Europa, dove la Nato ha effettuato un’aggressione contro la Jugoslavia nel 1999”, ha proseguito Lavrov, riferendosi all’intervento della NATO contro Belgrado che ha di fatto posto fine alla guerra tra le forze serbe e gli indipendentisti albanesi. Lavrov ha esortato l’Occidente a smettere di incolpare i serbi per l’incidente in Kosovo e ha sostenuto che sono necessari “passi decisivi” per allentare le tensioni nella regione. “Chiediamo all’occidente di mettere finalmente a tacere la sua falsa propaganda e di smetterla di incolpare gli incidenti in Kosovo sui serbi spinti alla disperazione, che sono pacifici, disarmati, cercando di difendere i loro legittimi diritti e libertà“, ha affermato il ministero degli Esteri russo.
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ha chiesto all’esercito di disporsi in stato di “massima allerta” e di “spostarsi” verso il confine con il Kosovo. Ha affermato: “Non permetteremo un pogrom del popolo serbo”, invitando “la comunità internazionale a riportare in sé Albin Kurti [il primo ministro del Kosovo]” . “Se non lo fanno, temo che sia troppo tardi per tutti noi”, ha aggiunto. Ha attribuito a Kurti “il desiderio di un bagno di sangue per l’intera regione”, che sarebbe “trascinata in una guerra con la NATO”. Vučić ha incontrato martedì gli ambasciatori di Stati Uniti, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, noti come il Gruppo Quint, e il capo dell’ufficio dell’UE a Pristina. In un comunicato dopo l’incontro, Vučić ha detto di aver chiesto che i sindaci albanesi siano allontanati dai loro incarichi nel nord. Successivamente, ha condotto incontri separati con gli ambasciatori di Finlandia, Russia e Cina5.
“Siamo consapevoli e comprendiamo le preoccupazioni sollevate dai nostri partner internazionali – ha detto Kurti -, ma ogni altra opzione sarebbe stata un mancato adempimento degli obblighi costituzionali del nostro governo nei confronti dei nuovi sindaci”. Kurti ha attribuito la violenza nel nord del paese a “folle fasciste” controllate dal governo della vicina Serbia, e ha affermato di aver respinto una richiesta degli Stati Uniti di destituire i sindaci recentemente insediati6. Oggi, di fronte ai duri moniti di Stati Uniti e Unione Europea, Kurti si è detto pronto a prendere in considerazione elezioni anticipate nel Kosovo settentrionale a maggioranza serba. La proposta di Kurti è che se la violenza finisce, si possono tenere nuove elezioni ben prima della fine dei restanti due anni del mandato dei sindaci.
Al Roland Garros, la stella serba Novak Djokovic, il cui padre è nato in Kosovo, ha parlato della situazione al termine della sua partita d’esordio contro l’americano Aleksandar Kovacevic. “Il Kosovo è il cuore della Serbia. Fermiamo la violenza ”, ha scritto sull’obiettivo di una telecamera. “Il Kosovo è la nostra culla, la nostra roccaforte, il centro delle cose più importanti per il nostro Paese“, ha detto il giocatore ai media serbi a Parigi7. Djokovic ha discusso l’argomento in diverse occasioni. Nel 2008, si è rivolto a un grande raduno serbo in un videomessaggio subito dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo, affermando che “il Kosovo è la Serbia“. Questo mese Djokovic ha dichiarato al Corriere della Sera in un’intervista che crede che il Kosovo “sia il cuore, è il centro della nostra cultura, della nostra identità, della nostra tradizione, della nostra religione” e che vuole battezzare lì i suoi figli.
Elezioni amministrative boicottate dai serbi
I sindaci che si dovevano insediare e che i manifestanti serbi non considerano loro legittimi rappresentanti, erano stati eletti in seguito alle elezioni locali organizzate dalle autorità kosovare il 23 aprile nei quattro comuni a maggioranza serba. I serbi hanno boicottato il voto: a votare sono stati solo circa 1.500 aventi diritto (di etnia albanese), su circa 45.000 registrati (circa il 3,3%). I manifestanti serbi chiedevano anche il ritiro delle forze speciali di polizia kosovara – composte da albanesi etnici dopo che i serbi hanno lasciato le forze di polizia l’anno scorso – dispiegate nella regione settentrionale da diversi giorni. La situazione molto tesa è degenerata a Zvecan, dove le forze speciali hanno respinto un gruppo di manifestanti che ha cercato di entrare nel municipio.
Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Italia e Germania avevano sollecitato venerdì le autorità kosovare “a revocare immediatamente la loro decisione” di schierare le loro forze speciali, affermando anche di essere “preoccupate per la decisione della Serbia di alzare il livello di prontezza ” del suo esercito.
I rappresentanti politici serbi avevano abbandonato le istituzioni locali del Kosovo settentrionale nel novembre 2022 durante l’avvio del braccio di ferro tra Belgrado e Pristina. Poi, hanno boicottato le elezioni comunali organizzate dal governo kosovaro ad aprile per porre fine al vuoto istituzionale.
Le tensioni tra Serbia e Kosovo
Sono ormai mesi che le relazioni tra Kosovo e Serbia sono sempre più tese. I timori di violenze e anche di uno scontro militare sono aumentati vertiginosamente dall’inizio della guerra della Russia in Ucraina. La Serbia ha richiesto di poter aderire all’UE nel 2009 e ha iniziato i negoziati nel 2014, tuttavia il suo governo è fortemente filo-russo. Il paese dipende dal supporto diplomatico di Mosca, da cui ottiene anche l’85% del suo import di gas, per cui Belgrado ha una posizione di neutralità nel conflitto ucraino e ha deciso di non introdurre sanzioni contro la Russia. Una postura politica che sta bloccando l’avanzamento della procedura di ingresso nell’UE. Dalla fine di dicembre, le forze armate serbe sono state messe al “massimo livello” di allerta con il vicino Kosovo a causa di sparatorie, blocchi stradali e altre manifestazioni di tensioni.
Il Kosovo ha dichiarato l’indipendenza unilaterale dalla Serbia nel 2008, dopo l’intervento militare della NATO nella guerra del 1998-1999, che ha causato più di 10.000 vittime e lasciato più di un milione di profughi. Ma Belgrado ha rifiutato di riconoscerla. 113 Stati alle Nazioni Unite, inclusi Stati Uniti e i confinanti Macedonia del Nord, Montenegro e Albania, la maggior parte dei paesi dell’UE – ma non 5 Paesi: Spagna, Grecia, Slovacchia, Romania e Cipro – hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, mentre la Serbia ha fatto affidamento su Russia e Cina nel suo tentativo di mantenere la rivendicazione sulla sua ex provincia e di impedire al Kosovo di avere un seggio all’ONU. Ha anche incoraggiato i 120.000 serbi etnici del Kosovo (che ha 1,8 milioni di abitanti, per il 93% di etnia albanese e di religione musulmana, per il 6% di etnia serba e religione cristiano-ortodossa, e per il resto turchi, bosgnacchi, rom e gorani, che sono un gruppo etnico musulmano slavo) a sfidare l’autorità di Pristina, specialmente nel nord dove i serbi etnici costituiscono la maggioranza. L’esercito serbo è stato più volte messo in stato di allerta per le tensioni con il Kosovo negli ultimi anni, come già a novembre 2022 dopo che il governo ha affermato che diversi droni erano entrati nello spazio aereo serbo dal Kosovo.
I serbi chiedono che le dieci enclave kosovare a maggioranza serba, 120 mila abitanti, possano unirsi in una Comunità come sancito a Bruxelles (2013). Il governo di Pristina continua a prendere tempo. Sostiene che sono già abbastanza autonome, che hanno allacci abusivi di luce e acqua, che sono protette da 3.800 soldati NATO.
In sede europea è stata lanciata anche un’idea per dei cambiamenti dei confini con degli scambi di terre come via da seguire, ma questa opzione è stata respinta da molti paesi dell’UE per timore che potesse causare una reazione a catena in altre aree etnicamente miste nei Balcani e innescare ulteriori problemi nella regione dopo le guerre degli anni ’90.
Dall’estate scorsa la crisi si è aggravata ed è diventata particolarmente tesa da novembre, quando 600 impiegati dei comuni, della polizia e della magistratura delle aree a maggioranza serba sono entrati in sciopero e poi si sono dimessi per protesta. Protestavano contro la controversa decisione che era stata presa nel settembre 2021 di vietare ai serbi che vivono in Kosovo di utilizzare targhe emesse da Belgrado, una politica che alla fine è stata abbandonata da Pristina. Ma gli scioperi di massa e le dimissioni degli impiegati di etnia serba hanno creato un vuoto di sicurezza nel nord del Kosovo. Negli scontri che ne sono seguiti, una persona è stata uccisa.
Pristina ha tentato di programmare le elezioni locali per il 18 dicembre nei comuni a maggioranza serba, ma sono state rinviate dopo che l’annuncio ha causato indignazione diffusa e il principale partito politico serbo ha dichiarato che avrebbe organizzato un boicottaggio.
Poi, il 10 dicembre, i serbi nel Kosovo settentrionale avevano allestito barricate per protestare contro l’arresto di un ex poliziotto sospettato di essere coinvolto in attacchi contro agenti di polizia di etnia albanese, una misura considerata oltraggiosa da parte dei serbi di etnia serba che hanno eretto barricate che hanno paralizzato il traffico attorno a due valichi di frontiera. Poche ore dopo l’erezione delle barricate, la polizia del Kosovo ha dichiarato di aver subito tre successivi attacchi con armi da fuoco su una delle strade che portano al confine. La Kfor ha aumentato la sua presenza e le pattuglie nella regione negli ultimi mesi. I soldati lettoni della missione NATO sono stati attaccati con colpi di armi da fuoco, senza che ci fossero feriti o danni materiali.
Già a dicembre il primo ministro serbo Ana Brnabic aveva dichiarato che la situazione con il Kosovo era “sull’orlo di un conflitto armato“. Ma il consiglio di sicurezza del Kosovo aveva accusato la Serbia dell’ultimo deterioramento delle relazioni e di “agire con tutti i mezzi disponibili contro l’ordine costituzionale della Repubblica del Kosovo”.
Il presidente della Serbia, Alexandar Vučić, ha quindi posto le forze di sicurezza al confine con il Kosovo in “pieno stato di prontezza al combattimento“. In aggiunta alle tensioni, al patriarca serbo Porfirije è stato negato l’ingresso in Kosovo a un valico di frontiera, dopo aver detto che avrebbe voluto consegnare un messaggio di pace per il Natale serbo-ortodosso, che si celebra il 7 gennaio.
Allargamento della UE nei Balcani occidentali
Tra febbraio e marzo 2023, il presidente serbo Aleksandr Vučić e il premier kosovaro Albin Kurti si erano incontrati a Bruxelles per “normalizzare le relazioni” in Kosovo. Il mediatore è stato Josep Borrell. Al centro dell’incontro c’è stata la proposta di accordo sul Kosovo messa a punto da Francia e Germania, e fatta propria dall’Unione. La parte serba ha chiesto che venga costituita una Comunità delle municipalità serbe, ipotesi che invece Pristina continua a respingere. Kurti ha poi detto di aspettarsi che la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo, avvenga dal primo gennaio 2024, “come promesso pubblicamente”. L’accordo proposto a Bruxelles includeva: riconoscimento reciproco dei documenti ufficiali, aiuto finanziario e altre misure.
Sotto la presidenza ceca dell’UE (luglio-dicembre 2022), Bruxelles ha intensificato gli sforzi di impegno per un suo allargamento nei Balcani occidentali. A metà dicembre, la Bosnia-Erzegovina si è candidata ufficialmente mentre al Kosovo è stato finalmente dato il via libera alla liberalizzazione dei visti, prevista per l’inizio del 2024. La Slovenia ha esercitato forti pressioni per lo status di candidato della Bosnia, in particolare, anche se Sarajevo non è riuscita a soddisfare molte delle condizioni politiche.
Il vertice UE-Balcani occidentali del 6 dicembre tenutosi a Tirana ha dimostrato l’impegno dell’UE nei confronti della regione. Significativamente, è stata la prima volta che la dirigenza dell’Unione Europea si è riunita in un paese terzo.
Durante il vertice, i leader dell’UE e dei Balcani hanno tracciato una via verso un mercato comune regionale. Bruxelles si è impegnata a spendere miliardi per costruire infrastrutture transfrontaliere e per “rendere più verdi” e “digitalizzare” le economie balcaniche. Ha inoltre annunciato un pacchetto da 1 miliardo di euro per aiutare i membri extra UE nella regione a far fronte alla crisi energetica causata dalla guerra in Ucraina. La Croazia ha ottenuto il via libera definitivo per l’ingresso nell’area Schengen, nonché nell’eurozona, a partire dal 1° gennaio 20238.
La UE appare soprattutto interessata a bloccare il flusso di migranti che arrivano attraverso i Balcani occidentali. Il dossier migrazioni è stato uno dei temi centrali nel corso del summit di Tirana. L’agenzia Frontex ha da qualche anno esteso il proprio mandato nei Balcani. Lo scorso novembre il Consiglio europeo ha autorizzato l’avvio di negoziati per ampliare gli accordi sulla cooperazione tra Albania, Serbia e Montenegro con Frontex. “Gli accordi […] consentiranno all’agenzia di assistere questi paesi nei loro sforzi per gestire i flussi migratori, contrastare l’immigrazione clandestina e combattere la criminalità transfrontaliera in tutto il loro territorio. I nuovi accordi consentiranno inoltre al personale di Frontex di esercitare poteri esecutivi, quali le verifiche di frontiera e la registrazione delle persone”, si legge sul sito del Consiglio. L’obiettivo è chiaro: “Rafforzare le frontiere esterne dell’UE” (sul tema della migrazione e Frontex si veda il nostro articolo qui).
- La Kfor – Kosovo Force – formata in buona parte da alpini e carabinieri italiani, ma ci sono anche soldati ungheresi, polacchi, lettoni e moldavi. La missione NATO è entrata in Kosovo nel 1999 ed è poi arrivata a contare 50 mila soldati da 39 Paesi, anche estranei all’alleanza atlantica. A oggi restano 3.802 militari, di cui 638 italiani e il resto di 26 Paesi.[↩]
- I sindaci albanesi contestati sono quattro: Izmir Zeqiri, eletto a Zubin Potok, e Ilir Peci a Zvecan sono del partito Democratico, all’opposizione in Kosovo; Lulzim Hetemi, sindaco di Leposavic, e Erden Atiq, eletto a Mitrovica Nord, sono del partito di governo.[↩]
- Mitrovica, la città principale del nord, è stata effettivamente divisa in una parte di etnia albanese e una parte serba, e le due parti raramente si mescolano. Ci sono anche piccole enclavi popolate da serbi nel sud del Kosovo, mentre decine di migliaia di serbi del Kosovo vivono nella Serbia centrale, dove sono fuggiti insieme alle truppe serbe in ritirata nel 1999. Secondo il governo di Pristina, nel nord del Paese regnano gruppi mafiosi e istituzioni parallele.[↩]
- Serbia e Kosovo un tempo facevano parte della Jugoslavia, formata dopo la prima guerra mondiale nel 1918 e composta da sei gruppi slavi con il serbo-croato come lingua ufficiale. Dopo la seconda guerra mondiale fu fondata la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia, una federazione formata da sei repubbliche divise per linee etniche: Bosnia-Erzegovina, Croazia, Macedonia, Montenegro, Serbia e Slovenia. Nel 1991 Slovenia e Croazia dichiararono la loro indipendenza. Questo segnò l’inizio della disintegrazione della Jugoslavia. Nel 1992, la Macedonia ha seguito l’esempio. Il 1° marzo 1992 la Bosnia-Erzegovina tenne un referendum sull’indipendenza. I serbi bosniaci volevano rimanere parte della Jugoslavia e boicottarono il voto. Il Kosovo ha cercato la propria autonomia dopo la disgregazione della Jugoslavia. Tuttavia, la Serbia ha represso gli albanesi etnici in cerca di indipendenza, il che ha portato a una campagna della NATO contro la Serbia nel 1999. Le forze serbe si sono poi ritirate dal Kosovo. Nel 2022 è scoppiata la violenza per la lite sulle targhe degli autoveicoli. Il Kosovo voleva che le persone che entravano con un documento d’identità serbo lo sostituissero con un documento temporaneo durante la loro permanenza nel paese e prevedeva che i conducenti serbi mostrassero le targhe del Kosovo sui loro veicoli. Un accordo di pace Kosovo-Serbia viene spinto dalle nazioni occidentali per risolvere le tensioni, ma secondo gli analisti l’accordo è debole perché non affronta il riconoscimento reciproco tra i due Stati.[↩]
- Aleksandar Vučić è un populista nazionalista che è stato ministro dell’informazione durante la guerra in Kosovo. Ora insiste sul fatto che qualsiasi soluzione deve essere un compromesso per durare e afferma che il suo Paese non si accontenterà se non guadagna qualcosa.[↩]
- Albin Kurti, ex leader della protesta studentesca e prigioniero politico in Serbia, guida il governo ed è il principale negoziatore nei colloqui mediati dall’UE. Era anche conosciuto come un grande sostenitore dell’unificazione del Kosovo con l’Albania ed è contrario a qualsiasi compromesso con la Serbia.[↩]
- Numerosi monasteri cristiani ortodossi serbi medievali si trovano in Kosovo. I nazionalisti serbi considerano una battaglia del 1389 contro i turchi ottomani come un simbolo della loro lotta nazionale.[↩]
- La Croazia, quindi, entra nell’area di libero movimento consentendo l’allargamento dei confini esterni dell’UE. Confini che negli ultimi anni sono stati rafforzati, equipaggiati e militarizzati per bloccare la cosiddetta “rotta balcanica”, ovvero uno dei principali flussi di migranti verso l’Unione Europea che nel 2015 consentì l’ingresso di oltre un milione di persone in fuga dalle guerre del Medio Oriente. Da allora Bruxelles ha dato alla Croazia 163 milioni di euro per la “gestione delle migrazioni”. Più di tre quarti di questo denaro è andato per aumentare il livello di sicurezza, finanziando l’ammodernamento delle frontiere, l’addestramento e soprattutto l’equipaggiamento in dotazione alla polizia di confine. Un equipaggiamento che comprende fuoristrada, droni, elicotteri, telecamere a infrarossi, apparecchiature che rilevano i battiti cardiaci e termocamere installate sui suddetti mezzi, utilizzati per mantenere i migranti lontano dalle frontiere europee. Inoltre, secondo il Border Violence Monitoring Network, dal 2017 la polizia croata avrebbe effettuato espulsioni collettive, negando la possibilità di accedere alla procedura di asilo a migliaia di persone, e commesso violenze a danno dei migranti, respingendoli oltre il confine con la Bosnia-Erzegovina. Solo tra l’estate del 2019 e il 2021, sarebbero stati infatti oltre 30mila i respingimenti dai confini croati.[↩]
Alessandro Scassellati
31/5/2023 https://transform-italia.it
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