Fallimento globale di Meloni e Piantedosi al Forum Trans-Mediterraneo di Tripoli
di Fulvio Vassallo Paleologo
Malgrado il consueto annuncio di un “successo”, affidato ai giornali “amici”, il Forum trans-mediteraneo sulle migrazioni di Tripoli si è concluso con un completo fallimento per il duo Meloni–Piantedosi, non tanto per la pochezza dei risultati conseguiti, o per gli scontri che hanno caratterizzato la capitale libica fino alle porte del forum, persino con un confronto armato tra le forze di sicurezza ciadiane e quelle del governo tripolino, all’interno del vertice, quanto sopratutto per le assenze che lo hanno caratterizzato. A partire da quella molto “ingombrante” del generale Haftar, che controlla buona parte della Libia, e che risulta sempre più vicino alle posizioni dell’Egitto e della Russia, da tempo avverse rispetto a Dbeibah, al quale non rimane che il controllo di una parte della Tripolitania, con il sostegno della Turchia. Mentre a maggio Giorgia Meloni, dopo essersi recata a Tripoli, aveva ottenuto un incontro a Bengasi con Haftar, questa volta il generale, dopo avere rinnovato le sue minacce di “interventi forti”, è rimasto a guardare il fallimento del Forum sulle migrazioni di Tripoli. Totalmente assenti i capi di governo degli Stati europei, ad eccezione di Malta, ed altrettanto assenti i vertici delle istituzioni europee, alla vigilia del voto per la nuova Commissione europea.
Oltre ai rituali proclami contro l’immigrazione illegale, soprattutto nell’intervento di Giorgia Meloni, non si è fatto un solo passo avanti nell’attuazione del cd. Piano Mattei per l’Africa, e il Forum si è risolto nell’ennesima richiesta ricattatoria di fondi da parte dei governi di alcuni stati africani, da tempo coinvolti nelle poliriche di esternalizzazione dei controlli di frontiera imposte dall’Unione europea e dall’Italia, a scopi propagandistici ed elettorali. Il primo ministro libico Dbeibah ha chiesto di destinare i fondi spesi “per gestire i flussi di immigrazione clandestina” al finanziamento di progetti di sviluppo nei paesi di origine, affermando che il problema dell’immigrazione preoccupa molti paesi e che tutti gli stati africani vogliono comunicare con il Nord, mentre molti di loro attraversavano “crisi di bisogno e di carestia, e l’Africa soffriva il colonialismo, lo sfruttamento e il saccheggio delle sue ricchezze negli ultimi cinquant’anni, che spingevano i cittadini africani a cercare di vivere su una strada difficile, accidentata e pericolosa , finendo talvolta con la morte, nella speranza di raggiungere l’Europa.”. Insomma, al di là della retorica sui rimpatri “volontari”, altri finanziamenti per i centri di detenzione ed i respingimenti collettivi illegali dalla Libia verso i paesi di origine, di persone che molto spesso posseggono i requisiti per il riconoscimento della protezione internazionale. Ma che vanno bloccate, a qualunque costo, prima di potere raggiungere i confini europei. Anche la Tunisia ha presentato il conto per i migranti arrestati sul suo territorio o bloccati in acque internazionali, e deportati in Libia. E si sono aperte nuove possibilità di deportazione, o di rimpatrio forzato, magari nella forma di rimpatri “volontari”, in assenza di qualsiasi altra alternativa di sopravvivenza, di cittadini ciadiani bloccati in territorio libico. Durante il vertice il clima è stato particolarmente teso, ed alla fine, oltre alla richiesta di finanziamenti agli Stati europei, non è mancato neppure uno scontro tra la delegazione ciadiana e quella tunisina, sulle gravi violazioni dei diritti umani ai danni dei migranti sub-sahariani, perpetrati dalle forze di polizia agli ordini del Presidente Saied.
Non si conosce comunque, al di là di generici appelli, un documento finale conclusivo del Forum di Tripoli, e l’incontro delle diverse delegazioni sembra avere prodotto soltanto le consuete foto-opportunity. Rimane a scolpire la cifra morale e politica del Forum, la falsificazione dei dati sulla presenza di stranieri in Libia, con cui Dbeibah ha cercato di impaurire i politici europei, Tanto gli affari ed i rapporti reali di forza si giocano su altri tavoli, partite nelle quali si trattano armi, petrolio, gas, magari con la mediazione di soggetti che operano su scala globale, come ENI, o tramite la Fondazione Med-Or, se non con i cartelli di imprese italiane che in Libia continuano a fare affari, e, presumibilmente, a distribuire tangenti. Venerdì 28 giugno scorso, la Fondazione Med-Or ha organizzato nella sua sede un seminario con il Presidente dell’Alto Consiglio di Stato libico, Mohamed Takala. Secondo lo scarno comunicato ufficiale, “l’evento ha consentito un approfondimento sulla situazione libica, anche in relazione alle complesse dinamiche della regione del Mediterraneo”. Un ennesimo caso di diplomazia parallela, affidata questa volta all’ex ministro dell’interno Marco Minniti.
Alla Meloni ed a Piantedosi è venuto meno il supporto di quasi tutti i partner europei, a parte il premier maltese Abela, che con il governo di Tripoli intrattiene rapporti bilaterali che vanno ben oltre il contrasto delle migrazioni. Con aspetti oscuri che nel tempo hanno riguardato il contrabbando di petrolio, anche attarverso la zona internazionale di fronte al porto di La Valletta, e la collaborazione con la sedicente guardia costiera libica, per operare respingimenti collettivi verso la Libia, quando non erano le motovedette libiche ad operare incursioni e sequestri di persona nelle acque internazionali della zona SAR (di ricerca e salvataggio) di competenza maltese.
Negli annunci sul Forum di Tripoli Piantedosi affermava che occorreva” passare da una cooperazione tattica tra singoli Paesi a un approccio regionale strategico”, e che non si trattava di una “sfida che possiamo affrontare da soli”. L’isolamento del governo Meloni in Europa, già evidente a Tripoli, è adesso sancito anche dal voto sulla rielezione di Ursula Von del Leyen alla Presidenza della Commissione europea, e segna probabilmente il punto di blocco definitivo del Piano Mattei per l’Africa e del ruolo di protagonista che la Meloni si voleva attribuire a livello europeo, nel contrasto delle migrazioni. Perchè non è vero che combattendo l’immigrazione illegale si aprono nuove possibilità di ingresso legale. L’abbattimento del diritto di asilo e la politica di restrizioni sui visti di ingresso, tanto in Europa, che a livello italiano, costituiscono ancora fattori decisivi che alimentano quell’immigrazione “illegale”, che tutti a parole dicono di volere combattere. Si muore in mare non solo perchè ci sono i cattivi “scafisti”, ma perchè non si coordinano i soccorsi per lo sbarco in porti sicuri, preferendo sostenere le intercettazioni violente operate da libici e tunisini. Non si può rimuovere ancora a lungo il problema dell’abbandono in mare per effetto dell’allontanamento delle ONG e del ritiro dalle acque internazionali dei mezzi di soccorso degli Stati costieri. Su questo, per quanto contrastata dal governo, rimane ad operare solo la società civile solidale, e le associazioni di migranti, che ovviamente sono state tenute fuori dal forum organizzato a Tripoli. Una serie di questioni che non si risolvono con accordi bilaterali, e che l’Unione europea non potrà eludere ancora a lungo.
Dopo la propaganda elettorale, sui fallimenti del governo, e dei suoi ministri, è calata una cappa di silenzio. Rimane da diffondere informazione sui fatti e sulle vittime delle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, che malgrado le spaccature tra le destre populiste a Bruxelles resteranno comunque l’asse di attuazione del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, ultimo atto approvato dal precedente Parlamento europeo. Il contrasto di tutte queste politiche proseguirà sicuramente a livello di azioni giudiziarie e di denunce agli organi della giustizia internazionale. Ma sarà anche un banco di prova per verificare, soprattutto nelle posizioni dei Verdi europei, oltre che del Partito democratico, che hanno votato in massa per Ursula von der Leyen, principale garante di quel Patto, quanta coerenza vi sarà tra le promesse elettorali durante la campagna per le europee, ed i loro voti al Parlamento europeo. Tocca alla sinistra europea, senza divisioni nazionalistiche, porre un argine alle politiche di compromesso che tanto hanno fatto arretrare l’Unione europea sul terreno della difesa dei diritti umani, del diritto di asilo e dello Stato di diritto. La democrazia in Europa è sempre più a rischio, e gli accordi degli Stati europei con paesi che non rispettano i diritti umani, come la Libia, la Tunisia, l’Egitto, ed altri che sono in lista di attesa per essere qualificati come “paesi di origine sicuri”, evocano gli anni più bui del secolo scorso.
18/7/2024 https://www.a-dif.org/
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