Far finta di essere sani: salute mentale e pandemia
In questo ormai lungo periodo di emergenza sanitaria il diritto alla salute sembra aver messo in secondo piano molti altri diritti che sono stati fortemente limitati, come il diritto all’istruzione e alla libertà personale e di circolazione.
Non si vuole qui discutere se sia giusto o no, ma invece chiedersi quale sia questa salute che si vuole tutelare ad ogni costo. Il vocabolario Treccani la definisce «stato di benessere fisico e di armonico equilibrio psichico dell’organismo umano, in quanto esente da malattie, da imperfezioni e disturbi organici o funzionali». Ora è evidente che, da un anno a questa parte, lo stato di benessere fisico della stragrande maggioranza della popolazione molto probabilmente è peggiorato: maggiore sedentarietà, scarsa possibilità di praticare sport, più difficile accesso a percorsi di cura e prevenzione. Ancor più negativo è stato l’impatto sulla psiche, anche per chi in precedenza godeva di un buon equilibrio, ma tanto più per chi già viveva una situazione di sofferenza.
Ciò che colpisce, dunque, nei provvedimenti presi a tutela della salute pubblica è l’idea che essa sia un monolite, assolutamente uguale per tutti, e che abbia una sola faccia, cioè quella puramente “corporale”, quando invece l’essere umano è un’unità inscindibile di corpo e psiche.
Come spesso succede nel nostro paese, la salute mentale è un tema poco sentito non solo dall’uomo comune, per una carenza culturale e per pregiudizi duri a morire, ma ‒ quel che è peggio ‒ dalle stesse istituzioni. Nei vari DPCM che si sono succeduti, nessuna deroga per nessun provvedimento è mai stata prevista per i pazienti in cura psichiatrica o psicoterapeutica, quando è evidente che anche e soprattutto per queste persone spesso la limitazione della libertà personale, e quindi della vita di relazione, diventa a sua volta lesiva del diritto alla salute.
A una sollecitazione rivolta al Governo a dicembre dalla consulta delle società scientifiche di area psicologica (https://www.psy.it/la-consulta-delle-societa-scientifiche-di-area-psicologica-si-dia-risposta-ai-bisogni-psicologici-della-popolazione-dopo-oltre-nove-mesi-di-pandemia.html) è stata data, solo l’11 marzo, una risposta, molto parziale, (https://www.psy.it/il-governo-accoglie-un-ordine-del-giorno-sui-voucher-psicologici.html), nella quale si riconosce «alle famiglie con figli minori di anni 18 a carico un voucher destinato a favorire l’accesso ai servizi psicologici alle fasce più vulnerabili della popolazione» (e tutti gli altri?) e ci si impegna «a riattivare il numero verde nazionale di supporto psicologico», che è consistito in un’attività volontaria di ascolto gratuito da parte di professionisti del settore e che si era per lo più smobilitata a giugno 2020.
Si trattava ovviamente di un palliativo temporaneo, un’iniziativa che poteva funzionare forse per un primo elementare orientamento delle persone verso più concreti supporti, che sono invece rimasti invariati ed erano insufficienti già da prima della pandemia. E discutibile è anche la formula del volontariato, che è rivelatrice di una subalternità culturale (quale chirurgo accetterebbe di operare gratis?), oltre che poco rispettosa dei giovani psicoterapeuti. Questi evidentemente non possono permettersi il volontariato, che è comunque un lusso per professionisti affermati.
Ma la stessa disattenzione si riscontra anche in ambito psichiatrico, come ha segnalato Massimo Di Giannantonio, presidente della Società Italiana di Psichiatria (SIP): «Oggi sulla carta i centri di salute mentale dovrebbero ricevere il 5% del budget sanitario, ma nella realtà siamo ampiamente al di sotto, attorno al 3,5%: così stiamo assistendo per esempio a una riduzione continua del personale sanitario e dei servizi disponibili, che rendono sempre più difficile garantire un equo e adeguato accesso alle strutture. È giunto il momento di allinearci al resto dell’Europa, che destina alla salute mentale anche oltre il 7 o l’8% del PIL, per venire incontro alla richiesta d’aiuto della popolazione: la salute mentale è un diritto che deve essere garantito a tutti, ovunque».
Si potrebbe obiettare che nessuna salute, né fisica né mentale, è possibile in assenza di vita, e che la pandemia è, appunto, una questione di vita o di morte. Ma più che mai in questa situazione, che richiede drastici provvedimenti, la virtù di chi governa dovrebbe essere la temperanza, cioè controllare e mantenere entro limiti sopportabili questi provvedimenti, commisurandoli alla capacità di reggere del corpo sociale, da un punto di vista economico e collettivo, e del corpo e della psiche delle singole persone. Altrimenti la sproporzione delle misure prese ci farà sì uscire da questa crisi forse vivi, sperabilmente, ma anche poveri, disperati e, paradossalmente, molto più malati di quanto fossimo prima.
Francesca Marcellan
15/4/2021 https://www.attac-italia.org
Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 46 di maggio-giugno 2021: “La salute non è una merce”
Photo Credits: “Shut out the world” by Neil Moralee is licensed under CC BY-NC-ND 2.0
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