Fare Europa, dei popoli
La politica economica dei singoli stati europei si scontra con l’ideale di creare un grande Stato unitario continentale che conservi e integri i valori comuni sanciti non solo dai principi dell’UE ma soprattutto dalle singole Costituzioni democratiche degli Stati che ne fanno parte. Le tensioni generate nel corso della lunga crisi economica globale hanno portato i cittadini a diffidare dei “vecchi politici”e a scaricare sulla moneta unica le insoddisfazioni sulla governance che sono state generate da cattiva gestione dei singoli Stati membri. Anche nei paesi dell’Unione che sono fuori dall’Euro si riverbera sfiducia persino nella democrazia e nella giustizia. Questo ha generato malcontento che ha contribuito a condizionare le scelte di voto delle persone portandole a uno scontro istituzionale fino a manifesta contrarietà verso la democrazia liberale in atto. Vi sono disuguaglianze, disparità di trattamento e differenze di vita e welfare non solo fra “i ricchi e i poveri” ma persino trasversalmente. Per dirla chiara non vi sono problemi fra le classi ma anche a livello intraclasse, fra i singoli.
Vengono ripresi vecchi, ma più subdoli nell’era della tecnologia massificante, meccanismi di controllo dei cittadini per ridurre alla formalità le libertà democratiche, a iniziare dai diritti sindacali, dentro una gabbia ideologica anticomunista. I risultati sono evidenti se alcuni Stati hanno già forze di estrema al governo su un programma di odio razzista, xenofobo e sessista.
Lo stato sociale liberale, alla rincorsa dell’etica e della solidarietà per colmare il divario ( a parole) non riesce a dare soddisfazione ai singoli creando presupposti per un “odio sociale” che rischia di portare a scelte antidemocratiche da parte dei singoli nella ipotesi che una non-democrazia quasi possa consentire una vita migliore, un lavoro per tutti, una giustizia più giusta, tutti ideali liberali mai raggiunti dalla società capitalistica.
Gli interessi economici di pochi singoli e di molti potentati fungono da freno al raggiungimento di una vera uguaglianza tra i cittadini. Il lavoro, la migrazione verso l’Europa e la sicurezza dei cittadini, lungi dall’essere problematiche risolte sono ancora e più marcatamente le tematiche comuni che sembrano indistricabili.
Questi ed altri fatti sono alla base del quotidiano vivere e sopravvivere. L’illusione di un “capitalismo dal volto umano” si scontra con una realtà fatta ancora di sfruttamento dei più fragili ed esclusi, di un impoverimento della classe media e di un costante inarrestabile arricchimento di pochi. La percezione spesso verificabile nella realtà in migliaia di singoli episodi di una giustizia penale e civile che non sia giusta diviene realtà magari amplificata dai media che , in un senso o nell’altro, sopravvivono solo col mestiere di cassa di risonanza piuttosto che di attenta inchiesta e denuncia.
Un sistema di potere che si vanta di aver sconfitto il sistema del “socialismo reale” dalla competizione economica ha dimostrato di non avere chiare ed efficaci risposte ai bisogni urlati dai cittadini, ma è riuscito nella sua pratica comunicativa di non dover declinare più le parole socialismo, lavoratori, collettività, quasi fossero oggetto di una improvvida damnatio memoriae.
Una mediazione tra questi elementi dimenticati e la globalizzazione capitalistica quindi non c’è e quindi è disagevole rispondere alle esigenze dei cittadini poiché non esiste una dialettica tra tesi e antitesi bensì tutti stanno più o meno dalla stessa parte cercando di distinguersi con oggetti di propaganda, usando a questo fine anche la sofferenza delle genti, quando non provocandola.
Chi possiede una visione ideale e politica differente da quella realtà odierna si rende conto che la sola via di uscita da questa crisi economica, sociale ed etica passa necessariamente attraverso il ripensamento della economia e delle regole di convivenza altrimenti il fallimento dell’Unione e dei singoli Paesi, al quale ci si avvicina a grandi passi sarà presto raggiunto.
I socialisti, i comunisti, i liberali illuminati dovrebbero comprendere questo dramma perché paradossalmente questo dramma è stato compreso dalle destra estrema che ha soppiantato la destra democonservatrice radicando le proprie posizioni cavalcando il malcontento e ottenendo consensi elevati e diffusi, a prescindere dalla reale fattibilità.
Un mondo europeo che deve crescere incollando comunità differenti fra loro deve saper proporre e attuare un cammino di giustizia sociale vera, di solidarietà, e non cecità sulle cause che impediscono lo sviluppo dei popoli e che costringono milioni di persone ad abbandonare, anche a costo della vita, i loro paesi. Ma la UE si militarizza sempre più, vedi programma Pesco, investendo sull’industria delle armi e il commercio delle stesse. Cos’è se non una vera e propria progettualità politica di aggressioni contro Stati sovrani?
L’Europa deve affrontare con chiarezza e determinazione tutti i problemi sul campo. E’ essenziale per tutti che i singoli Stati e la comunità europea rivedano molte posizioni allarmistiche pretendendo e delineando una nuova politica economica che con franchezza e onestà intellettuale si impegni a far pagare la crisi mondiale ai soggetti che l’hanno provocata non già alle vittime, permettendo a tutti i cittadini di ritornare ad un benessere che appare un passato lontano. Chiunque crede nella fattibilità di un Europa democratica dei popoli è chiamato a questo appello ideale prima che sia troppo tardi.
Ripensare l’economia è alla base del progresso sociale e storico ma non si tratta solo di una economia accademica bensì della economia quotidiana, quella delle persone, questa economia trascina verso una rivoluzione al meglio, e quindi si impone un ripensamento della giustizia e della congruità fiscale, una lotta alla evasione fiscale e alla criminalità economica, una lotta alla criminalità comune e organizzata, la risoluzione dei problemi delle migrazioni coinvolgendo i Paesi di provenienza ad una più corretta gestione della loro cosa pubblica favorendo per loro il divincolarsi dallo sfruttamento da parte di pochi e onnipresenti soggetti finanziari ed economici.
Le aree mondiali di interesse dei singoli stati nazionali europei devono essere ridiscussi per una equa ridistribuzione delle esportazioni e le industrie nazionali pubbliche e private devono essere implementate e non messe nelle condizioni di dismettere le proprie attività esattamente il contrario di quello che si fa ora: non è accettabile che un economista alle domanda “perché le imprese de localizzano?” risponda “ perché la il lavoro costa meno”, né è accettabile che l’esigenza migratoria degli individui serva a implementare una nuova schiavitù. Non è accettabile in un mondo alla deriva l’irriverente e ambigua formula liberale del “vinca il migliore” quando si sa bene che il migliore parte senza handicap, questa formula va corretta perché nella sostanza capitalista significa “nel torbido si pesca meglio”.
Ecco che una neo-rivoluzione culturale si deve fare spazio nelle menti di tutti noi, ciascuno rinunciando a qualche assioma, senza rinunciare alla propria identità ideologica. Bisogna costruire un’alleanza d’intenti per mettere in discussione nelle istituzioni e nelle piazze le forze politiche che hanno attirato masse di scontenti e costruire conflitto soprattutto, prima ancora del populismo, contro coloro che detengono l’informazione e il potere economico.
Roberto Bertucci
Redazione Lavoro e Salute
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