Fase 2 sulle macerie della Fase 1

La complessa epidemiologia e clinica del virus, ancora non completamente note alla comunità scientifica, sono state in qualche modo tenute sotto controllo grazie periodo di distanziamento sociale e sospensione della realtà denominato ex post “fase uno”.

Le attività economiche e umane, perfino quelle spirituali, interdette hanno impedito un maggiore e più tragico impatto della infezione. Nessuno sa se hanno impedito e soprattutto quanto hanno impedito sui numeri del contagio portato dagli dai contatti e, in ultima analisi, dagli asintomatici che, per scelte nazionali e locali non sono stati censiti né per motivi clinici né epidemiologici , né statistici, tranne che nel paesotto di Vò Euganeo.

Alcune certezze però le abbiamo ottenute: moltissimi asintomatici girano per il Paese infettando eventuali contatti, il virus si manifesta in maniera pleomorfa e imprevedibile come le varie sindromi di infetti e malati. Sappiamo che i testi rapidi sierologici mediante prelievo hanno numerose valenze ma non siamo in grado sul territorio di associarli immediatamente al tampone, sappiamo che la “politica” del fare tamponi varia non solo da area a area del territorio nazionale ma anche da medico di medicina generale a medico di medicina generale, da SISP a SISP, da ASL ad ASL.

Sappiamo che molte delle responsabilità di un ipotetico nuovo contagio sul logo di lavoro possono essere ascritte al preposto ma questi non ha riferimenti né validi strumenti consolidati per assumersi vere responsabilità, sappiamo che dovrebbe sussistere una collaborazione fra medici competenti e ASL ma questa varia da territorio a territorio fino fra professionista e professionista. Sappiamo che le misure di distanziamento sociale sono fondamentali così come i minimi presidi di distanziamento ( mascherine) ma sosteniamo che le persone non possono tollerare a lungo tale stato di cose, ancorché fondamentale, sappiamo che la aggregazione degli individui potrà facilitare la risorgenza della epidemia ma la nostra società e gran

parte della nostra economia si basano sulla socializzazione o sul comportamento di massa indirizzato in genere dal mercato.

Tutto condito dalla nostra burocrazia , dalle pastoie legali ( privacy) e dal calderone di norme e sotterfugi alle stesse.

Partiamo per la cosiddetta fase due sopra molte macerie.

Una è quella di un sistema economico globale che ha rischiato il default per una epidemia che, stando ai dati (assolutamente inaffidabili) avrebbe coinvolto solo pochi milioni di persone su 7,5 miliardi di abitanti. Una altra è quella della ricerca medica che, a fronte dei proclami, non è in grado di mettere in campo in breve tempo adeguate cure e vaccino, disperdendosi in decine di migliaia di rivoli invece che addensarsi in un fronte comune, già presagendo, per chi arrivasse primo, lauti guadagni.

Una crepa, se non proprio un crollo, si è verificata nella Unione Europea che dimostra quotidianamente la incapacità, anche qui, di costituire un fronte comune per affrontare questa che si prospetta una emergenza o una problematica di lunga durata.

Altre macerie vanno ad ammassarsi sui vari sistemi sanitari dei paesi “avanzati” anche se alcuni giocano a chi ha fatto “meno morti”. Decessi a causa di questo virus ce ne sono stati e ce ne sono ovunque e non basta qualificare come migliore un sistema sanitario che ne ha registrati qualche migliaio in meno , peraltro senza verificare scientificamente la reale portata.

Nel nostro paese sono confermati i problemi strutturali: una politica confusionaria, la burocrazia sovrana impietosa, un servizio sanitario che, al di la delle eccellenze , difetta in capacità organizzativa, in assistenza socio sanitaria e in prevenzione in particolare a livello territoriale.

Per quanto concerne le infezioni, poi, è sotto gli occhi di tutti una scarsità di cultura e organizzazione di contrasto a causa dello sbriciolamento avvenuto a scapito della rete nazionale e regionale negli ultimi decenni disperdendo risorse e chiudendo numerosi settori operativi specialistici.

Si è assistito alle passerelle di un nugolo di esperti della materia che infettivologi non sono e che hanno contribuito alla confusione piuttosto che a far chiarezza.

Ma i danni vengono da lontano: i nostri DEA sono incapaci di resistere alla “ondata stagionale della influenza” , figuriamoci verso questo virus, i nostri reparti di degenza sono spesso strutturati con stanze a più letti, senza percorsi dedicati alle infezione, il personale non-specialistico è scarsamente formato in materia di infezioni, basta controllare il consumo di fluido antisettico da impiegare giornalmente per la disinfezione delle mani prendendo a campione un periodo pre-covid verso questo periodo: probabilmente l’uso e la sana abitudine di mantenere le mani pulite è centuplicato in questo ultimo periodo.

Una attenzione che però merita approfondimento non solo tecnico è da segnalare: non tutti hanno fallito. Infatti numerose multinazionali , la grande distribuzione alimentare hanno proseguito a confezionare successi finanziari anche a scapito della manodopera e dei piccoli produttori.

E’ facile criticare alcune azioni dispersive sul piano economico come per esempio costruire nuovi centri Covid nelle varie regioni tipo ospedali da campo di lusso quando numerosi ospedali costruiti ma non attivi sono disseminati sul territorio nazionale, così come è facile criticare sulle assunzioni in emergenza quando ci siamo sentiti dire per anni che non potevano essere assunti nuovi infermieri, per esempio, e quelli che erano in servizio dovevano farsi carico anche dei non più presenti.

Agli eroi di due mesi addietro viene detto attualmente che devono tornare al regime lavorativo di prima fatto di sovraccariche, di scarsità di personale e di insulti da parte di molti utenti.
Non è il SARS COV 2 il problema, il problema è strutturale e culturale di questo Paese.

Roberto Bertucci

Infettivologo

Articolo pubblicato sul numero di maggio del mensile Lavoro e Salute www.lavoroesalute.org

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