Fatti dal 2019 al 2021

Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2021/

Archivio sito http://www.lavoroesalute.org

Facciamo finta di essere nel 2019:

  • l’epidemia Covid non si è ancora manifestata;
  • lo stato di salute della popolazione mostra le diseguaglianze di classe (ops volevo dire sociali) sia nell’insorgenza delle malattie sia nella mortalità;
  • la popolazione che viene a contatto con i servizi “vede” la difficoltà del lavoro in cui gli operatori sono immersi ma le critiche più alte sono rivolte alle lunghe attese sebbene siano presenti aree di buona risposta alle necessità a cui i cittadini danno un buon giudizio;
  • il Servizio Sanitario Nazionale non garantisce le prestazioni necessarie nei tempi necessari per i bisogni, in particolare per le visite specialistiche, inducendo, in chi ne ha la possibilità, l’utilizzo del privato e, in chi non ha la possibilità, una limitazione all’assistenza creando in tal modo diseguaglianze su base reddituale;
  • le notizie dei media si soffermano su casi e inefficienze anche gravi che determinano un “sentire” generale assai critico nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale;
  • gli operatori, i dirigenti, le Organizzazioni sindacali mettono in evidenza da tempo le condizioni sempre più difficili in cui si deve lavorare arrivando a non poter garantire adeguatamente i livelli assistenziali, e ciò è avvenuto nel corso di un decennio con la riduzione del personale, la riduzione delle risorse disponibili, compresi posti letto ospedalieri non compensati (come promesso dalle istituzioni) da investimenti e sviluppo del territorio;
  • i cittadini manifestano e si organizzano per il mantenimento dell’esistente non emergendo, ancora, con sufficiente forza modelli di nuova organizzazione sanitaria;
  • le forze politiche locali, spinte da interessi particolari (a volte di singoli professionisti) non possono far emergere gli interessi generali a cui il Servizio Sanitario Regionale è chiamato a rispondere;
  • e poca o nulla attenzione viene rivolta alla salute come bene inscindibile dalle condizioni di vita, ambientali, relazionali in cui gli interventi sanitari costituiscono una una minima risposta;
  • qui il lettore puà aggiungere altri fattori frutto della sua esperienza.

Ora passiamo ad oggi guardando cosa è successo dall’inizio del 2020 quando l’epidemia è scoppiata:

  • per prima cosa siamo andati alla ricerca dei colpevoli: subito i cinesi che non hanno detto nulla o si sono costruiti in laboratorio il virus, dopo è stata la volta dei pipistrelli; si è detto poco o nulla dell’insipienza speculativa degli umani che si adoperano per distruggere l’habitat terrestre, di cui non sono i padroni, determinando le condizioni favorevoli per lo sviluppo di questa epidemia;
  • poi ci siamo interrogati se fosse possibile prevedere l’epidemia. Sì era possibile. Circa quindici anni fa studiando
    precedenti epidemie si era concluso da parte di organismi
    internazionali quali l’OMS che tutti i Paesi dovevano attrezzarci, prepararsi ad eventi epidemici di ampia portata.

Qualche Paese si è preparato? Da come si è sviluppata la pandemia sembra proprio di no;

  • a questo punto ormai, dentro l’epidemia, ci siamo chiesti cosa fare per ostacolare il suo sviluppo. Lo sforzo massimo è stato fatto in ambito ospedaliero riconvertendo le aree di degenza in Covid e non-Covid; in nuove attrezzature per ampliare le terapie intensive. Non va dimenticato lo sforzo immane fatto dal personale che operava (nella prima fase) senza sufficienti mascherine, camici per garantire, comunque, l’accessibilità alle attività.

Sono state ridotte fortemente le attività limitando le risposte
alle condizioni di urgenza rimandando le prestazioni a maggiore contenuto di prevenzione e monitoraggio determinando un non controllo delle patologie croniche e, anche, un aumento della mortalità per molte condizioni prevenibili;

  • da subito ci siamo accorti dell’insufficienza, dei ritardi, dell’incapacità dell’organizzazione territoriale a svolgere ciò che era indispensabile per contrastare l’epidemia: cercare attivamente le persone positive al virus, disporre l’isolamento valutando le condizioni di impatto famigliari e sociali, monitorare l’andamento dell’infezione e le prime significative cure a casa. Contemporaneamente il carico di lavoro per le altre condizioni non diminuiva accentuando la difficoltà del lavoro quotidiano.

Certamente non va assolutamente dimenticato lo sforzo, l’impegno, la dedizione dei tantissimi professionisti che hanno cercato con le loro forze di rispondere agli enormi problemi che si presentavano e molti di loro, purtroppo, non ci sono più.

Sono mancate linee guida degne di questo nome, indirizzi omogenei, l’organizzazione si è dimostrata assolutamente insufficiente associata all’incapacità diffusa di coordinare/integrare le poche risorse disponibili a fronte di un’epidemia che andava velocemente a diffondersi;

  • l’insipienza è proseguita nel periodo estivo del 2020 quando l’epidemia “sembrava” scomparsa ma anche qui non si è voluto programmare e lavorare nell’organizzazione sanitaria territoriale per far fronte alla prevista seconda ondata autunnale praticamente mai conclusasi ed, anzi, sviluppatasi nell’attuale terza ondata;
  • e adesso è l’ora dei vaccini! Sì, è giusto vaccinarsi! Stiamo
    assistendo a regole di mercato internazionali che favoriscono i più ricchi o i più furbi a scapito di popolazioni più povere o di pezzi di società presenti nei Paesi ricchi. Anche il Papa nella omelia di Pasqua ha richiamato le diseguaglianze presenti. I Paesi occidentali hanno garantito alle industrie farmaceutiche notevoli finanziamenti per gli sforzi enormi avvenuti nella ricerca dei vaccini nel 2020 ed oggi, è così fantasioso imporre alle stesse industrie farmaceutiche di mettere a disposizione i brevetti affinché in modo generalizzato la popolazione mondiale possa usufruire dello strumento vaccinale?! Stiamo assistendo alla richiesta delle industrie di finanziamenti pubblici per la ricerca che sono state giustamente sostenute ma le stesse industrie oggi sono indisponibili a limitare i loro profitti non rendendo disponibili i risultati della ricerca;
  • l’epidemia ci sta insegnando qualcosa? Certo. Se vogliamo
    evitare nuove epidemie dobbiamo intervenire sul disequilibrio che abbiamo creato nella Terra, nelle condizioni ambientali, nell’utilizzo distruttivo delle risorse, nelle relazioni tra i Paesi e anche all’interno delle Comunità.
    Le vaccinazioni aiuteranno a contenere lo sviluppo epidemico ma se siamo intenzionati ad imparare qualcosa bisogna lavorare per porre rimedio ai disastri fatti passando attraverso la revisione delle regole dei rapporti internazionali ma anche dalla revisione della nostra vita, dei nostri consumi individuali;
  • la solidarietà nelle Comunità si è manifestata in modo spontaneo o nelle organizzazioni già presenti in miriade di iniziative di sostegno ai più fragili (fornitura pasti, consegna medicine, sostegno economico, etc); le loro azioni hanno messo in evidenza i punti di caduta del sistema sociale a cui hanno cercato di porre rimedio e a cui istituzionalmente oggi dovremo tenere conto.

Veniamo alla medicina territoriale.

In questi ultimi tempi molti fanno riferimento alla medicina
territoriale indicando nella figura del medico di medicina
generale (a volte del pediatra di base) il solo contenuto.
Se così è, non concordo.
La medicina territoriale è più complessa.
I Servizi sanitari si poggiano su tre aspetti:

  • prevenzione attraverso le attività organizzate nel Dipartimento di Prevenzione;
  • specialistica ospedaliera attraverso i servizi presenti nell’ambito della struttura ospedaliera;
  • territoriale/cure a casa attraverso tutti i servizi presenti nel territorio non appartenenti all’area della Prevenzione e dell’Ospedale.

Facciamo un breve elenco delle attività presenti nel territorio:

  • assistenza primaria: medicina generale, pediatria di base,
    continuità assistenziale (ex guardia medica) attività infermieristica ambulatoriale e domiciliare, centri ISI per gli immigrati;
  • assistenza specialistica medica e infermieristica ambulatoriale e domiciliare;
  • assistenza specialistica per condizioni particolari: consultori pediatrico e famigliare; dipendenze, salute mentale, neuropsichiatria infantile, disabilità;
  • assistenza residenziale e semiresidenziale;
  • assistenza farmaceutica attraverso le farmacie comunali o convenzionate e attraverso i servizi che operano per il controllo e la vigilanza;
  • tutela dei cittadini attraverso la salvaguarda dei loro diritti
    e bisogni attraverso l’iscrizione al SSN, l’accessibilità agli
    ausili, alle protesi e alle cure all’estero.

Sicuramente avrò dimenticato qualcosa e me ne scuso.

Tutte queste attività sono ricomprese dentro l’ambito di un Distretto che adempie alla funzione di governance dei LEA e svolge, inoltre, attraverso la funzione di riferimento e relazione con gli Enti locali, le organizzazioni sociali e i singoli cittadini.
Si pensi alle innumerevoli condizioni delle attività presenti nel territorio che sono strettamente connesse ad aspetti di natura socio-assistenziale organizzate nei Consorzi.
La funzione di Direzione distrettuale oltre a coordinare il
complesso delle articolazioni territoriali deve promuovere

forme di coordinamento e di integrazione con le attività dell’area della Prevenzione e dell’Ospedale per garantire al cittadino la risposta ai suoi bisogni attraverso modalità efficaci e chiare.
Con la Prevenzione si pensi agli interventi di educazione alla salute, all’organizzazione delle vaccinazioni obbligatorie fortemente intrecciate con molte attività territoriali.
Con l’Ospedale si pensi alle necessità che ha la persona al
momento delle dimissioni: se ciò avviene senza “pensare” anche al dopo dimissioni, senza mettersi in contatto con chi deve continuare le cure nel territorio, senza mettere a disposizione la competenza specialistica, il risultato per la persona sarà assai deludente.

Se tutto quanto descritto rientra nell’ambito della medicina territoriale, allora concordo.

Si può fare qualcosa per migliorare? Certo!

Intervenire per ridefinire e riorganizzare le funzioni territoriali è il lavoro da fare che richiede idee e condivisione partendo da alcuni aspetti fondamentali.

1 – I problemi di salute della popolazione attengono alla sfera della cronicità e della continuità delle cure, che il Sistema della Salute nel Territorio deve svolgere adeguatamente attraverso iniziative non estemporanee ma strutturate

  • di educazione alla salute,
  • di individuazione di stili di vita corretti,
  • di indagini su popolazione a rischio (30% di malati cronici non sa di esserlo),
  • di interventi appropriati,
  • di monitoraggio degli interventi (30% dei malati cronici non segue correttamente le terapie);
  • di valutazione della efficace degli interventi attuati.

2 – Per mettere in atto quanto espresso nel punto precedente è fondamentale per ottenere risultati apprezzabili l’apporto diretto della popolazione e delle istituzioni sociali. Ad esempio un corretto stile di vita prevede la necessità di superare la sedentarietà ma al di là della volontà individuale è indispensabile il supporto delle Amministrazioni locali per dare la possibilità reale di camminare, correre, andare in bicicletta in sicurezza con aree verdi e percorsi studiati per bimbi, adulti e anziani.
Le stesse organizzazioni sociali dei cittadini possono attivarsi per promuovere, ad esempio, gruppi di cammino come in diversi territori già si sta facendo.

3 – Progetti di priorità che attivino interventi sulla cronicità non possono essere delegati a qualche settore particolare ma è indispensabile che siano coinvolte il complesso delle attività territoriali integrandosi con l’area della Prevenzione, dell’Ospedale e Sociale dei Comuni. Ancora oggi, anche se meno di ieri, si assiste a complicazioni gravi della malattia diabetica quale le amputazione degli arti nonostante la malattia è gestibile attraverso comportamenti alimentari abbastanza semplici coadiuvati, se necessario, da terapie: se si giunge, però, alla necessità dell’amputazione significa che abbiamo sbagliato qualcosa e queste persone che sono le più fragili, sono quelle alle quali i nostri servizi dovrebbero dedicare la maggiore attenzione.

4 – Lavorare in gruppo per l’integrazione non è facile, anzi è molto difficile e se ci si riesce si possono raggiungere risultati che nessun professionista è in grado di realizzare da solo.
Riconoscere le competenze degli altri professionisti, sapere ed essere convinti che il lavoro degli altri professionisti aiuta la tua singola professionalità, portare a casa un risultato dipende in primo luogo dalla persona e poi dall’intervento del gruppo dei professionisti e mai da un singolo. Abbiamo la necessità che sin dai percorsi formativi di base si insegni e si pratichi un’organizzazione del lavoro fondata sulle capacità del gruppo e non del singolo.

5 – Il punto di approccio fondamentale dell’attività rivolta alle condizioni di salute è quello sulla persona e sul nucleo famigliare attraverso le figure professionali del medico di medicina generale, del pediatra di base e dell’infermiere.
È indispensabile insistere che i professionisti organizzino la propria attività nei riguardi delle persone e delle famiglie in modo coordinato e integrato utilizzando pienamente le risorse interne alla famiglia.
Spinte (vedi Legge Balduzzi) per lavorare in gruppo da parte dei medici di medicina generale e pediatri di base sono presenti da tempo ma rimangono troppo isolate e fanno fatica ad allargarsi ad altre professionalità.

Su questo aspetto paghiamo le resistenze corporative, l’incapacità di rendere operativo ciò che riusciamo a dire, anche bene, nelle norme.
La figura infermieristica ha fatto passi da gigante negli ultimi
anni ed, in particolare, nell’ultimo periodo è stato posto
all’attenzione la figura dell’infermiere di famiglia e di comunità che può dare un forte impulso agli interventi di assistenza primaria se saremo capaci di integrare correttamente le singole professionalità.

6 – La multiformità dell’espressione delle condizioni di disagio (dipendenze, salute mentale, neuropsichiatria infantile) necessita di una forte integrazione e coordinamento non solo con le articolazioni dei servizi interni ma è ineludibile il rapporto con i Servizi sociali, con la Comunità e con le sue risorse e a ciò deve corrispondere il ruolo della di direzione di Distretto.

7 – Per ricostruire le relazioni è utilissimo disporre di una struttura fisica in cui le persone vengono accolte e a cui è possibile dare una risposta in loco oppure essere accompagnate (e non inviate) verso i Servizi non presenti nella struttura.
È il luogo in cui le persone riconoscono la struttura come propria in cui i professionisti presenti aiutano a trovare soluzioni e non creare problemi.
È un luogo della Comunità e come tale possono trovare collocazione anche Associazioni di volontariato che rappresentano l’espressione delle risorse disponibili molte volte assai utili e ne abbiamo constatato l’importanza in questo periodo epidemico.

8 – La mia sensazione è che oggi non siamo preparati a ricostruire dal basso il lavoro, le relazioni, l’organizzazione territoriale.
È indispensabile per allargare il fronte delle forze il confronto su alcuni aspetti di un modello di organizzazione per la salute che sia:

  • partecipato con le persone e i professionisti;
  • universalistico e produttore di eguaglianze;
  • capace di utilizzare in modo efficace le risorse della fiscalità generale consapevoli che per chi evade le tasse le prestazioni di cui usufruisce sono gratuite mentre per chi paga le tasse le prestazioni che gli vengono fornite sono pagate anticipatamente;
  • indirizzato su priorità che siano frequenti, gravi e che possano essere affrontate efficacemente;
  • valutabile nella sua efficacia in modo trasparente e pubblico.

9 – C’è da lavorare e molto ma sono in corso iniziative in sedi e luoghi diversi (esempio quanto sta promuovendo Medicina Democratica) e diffuse in molte zone d’Italia per sostenere e coordinare azioni di intervento per la difesa e la promozione della salute. Sono aperti dibattiti e discussioni che pongono all’attenzione la trasformazione del Servizio Sanitario Nazionale.

Ognuno può scegliere il luogo e la forma per dare il suo
contributo.
Buon lavoro a tutti.

Nota: ringrazio per le osservazioni Mariella Alemanno, Francesco Casile, Gabriella Cristiano, Paolina Nieli, Anna Pasquale, Anna Rota e Antonino Trimarchi.

Giovanni Caruso

Medico. Già Direttore Sanitario d’Azienda. Direttore Generale. Responsabile del Servizio di Assistenza Sanitaria di Base in Piemonte

Articolo pubblicato sul numero di aprile del mensile Lavoro e Salute

Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-aprile-2021/

Archivio sito http://www.lavoroesalute.org

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *