Fidel Castro. Chi sono io?
Era impressionante. Un tipo che impressionava. Il famoso giornalista del “New York Times”, Herbert Lionel Matthews, che fu il primo in assoluto a intervistarlo sulla Sierra Maestra nel febbraio 1957, un anno o poco più dopo il fatale Sbarco, nel primo dei suoi tre articoli, descrive Fidel Castro, <ad un primo sguardo, a giudicare dall’aspetto e dalla personalità, come un uomo fuori del comune>. Colpito <dal lampo di intelligenza e audacia> che vedeva nei suoi occhi castani, osservò subito la sua <straordinaria eloquenza> e <la personalità irresistibile>, sentendosi <soggiogato dal suo talento teatrale>. Col procedere dell’intervista, raccontò in quell’articolo che fece il giro del mondo, il misterioso guerrigliero <gli si era accovacciato accanto e sussurrava…>. Gli apparve, scrisse, il <simbolo fiammeggiante> dell’opposizione a Batista.Non fu l’unico a restare “fulminato” dall’uomo Castro. Un altro fu Garcia Marquez. <Due cose si imposero all’attenzione di quelli che tra noi sentivano Fidel Castro per la prima volta. Una era il suo terribile potere di seduzione. L’altra la fragilità della sua voce. Una voce afona che a volte sembrava sfiatata>. Quella voce <dal potere ipnotico>.
Racconta sempre Garcia Marquez. <All’inizio della Rivoluzione, solo una settimana dopo il suo ingresso trionfale all’Avana, parlò senza sosta alla televisione per sette ore. Deve essere un record mondiale. Ero arrivato il giorno prima con un gruppo di giornalisti da Caracas, e cominciammo ad ascoltarlo nella stanza dell’albergo. Continuammo nell’ascensore, nel taxi che ci portò nella zona commerciale, sulle terrazze fiorite dei caffé…La sera, tutti avevamo svolto i nostri programmi per la giornata senza perdere una sola parola>.
Ma non è solo il leader che sa fare della parola uno strumento <quasi magico>. Dell’uomo Castro, Marquez, che l’ha conosciuto bene, dice molto altro, dal suo punto di osservazione previlegiato intellettuale e poetico. Rimandandoci tocchi intensi, comuni e straordinari insieme. La libreria di Castro, racconta, nel suo ufficio di presidente del Consiglio di Stato, è <piena di volumi che riflettono ampiamente la vastità dei suoi gusti: dai trattati di idroponica ai romanzi d’amore>. Il lider maximo seguiva una dieta ferrea, per lui <un sacrificio enorme, dato che il suo appetito è fra i più ingenti>; da gran fumatore che era – mezza scatola di sigari al giorno – <è passato, da un giorno all’altro, all’astinenza assoluta, solo per avere autorità morale nella lotta contro il tabagismo, in un paese dove Cristoforo Colombo scoprì il tabacco e che trae da esso buona parte dei suoi proventi>. Il lider maximo cui le feste private non si addicono, <dato che è uno dei pochi cubani che non cantano e non ballano>. Quanto alle sue <collere omeriche (ma momentanee), appartengono ormai al passato, e ha imparato a far sbollire i suoi malumori per mezzo di una pazienza invincibile>. Lettore onnivoro e instancabile, <scrive bene e gli piace farlo>; e mentre ai primi tempi il suo arrivo alle manifestazioni pubbliche era sempre <imprevedibile quanto la pioggia, ora spacca il minuto e dopo tante giornate di pedagogia oratoria, ora la durata del suo discorso dipende dalla disposizione del suo uditorio>.
Chi è Castro. <Castro è l’antidogmatico per eccellenza; la sua fertile immaginazione vive sull’orlo degli abissi dell’eresia. Cita di rado frasi altrui, sia nelle conversazioni che sulla tribuna, salvo quelle di José Martì, che è il suo autore preferito. Conosce a fondo i ventotto tomi della sua opera, e ha avuto l’intelligenza di mescolarne le idee al torrente sanguigno di una rivoluzione marxista>. Chi è Castro. <Da qui, può essere riassunta <l’essenza del suo pensiero: la certezza che lavorare per le masse è fondamentalmente occuparsi di individui>.
Questo il Castro “profondo”, visto da occhi perspicaci. Il Castro che Garcia Marquez ha descritto nel libro di Gianni Minà (“Il racconto di Fidel”, Mondadori), un Castro “sconosciuto” ai più, ma che a noi sembra un ritratto esemplare, ancorché a tinta unica (non ci scandalizziamo). Un ritratto “come si deve”, capace di fare giustizia della montagna colossale di odio, calunnie, pregiudizi, infamie che su di lui si è rovesciata in cinquant’anni. <Questo – conclude Garcia Marquez – è il Fidel Castro che credo di conoscere, dopo innumerevoli ore di conversazione, solo raramente visitata dai fantasmi della politica. Un uomo di costumi austeri e di illusioni insaziabili, con un’educazione formale all’antica, di parole pesate e di modi delicati, e incapace di concepire un’idea che non sia straordinaria, credo che sia uno dei grandi idealisti del nostro tempo>.
Sì, ci sembra un ottimo prologo per cominciare una biografia, sia pure racchiusa nei limiti assolutamente angusti di un articolo, in morte di Castro. Un prologo emozionante, degno della sua “storia”. Fidel nasce il 13 agosto 1926 a Biràn, allora provincia d’Oriente; nasce bene. La sua infanzia e la sua adolescenza la racconta lui stesso nel libro di Claudia Furiati “La storia mi assolverà. Vita di Fidel Castro” (Il Saggiatore), una biografia non “autorizzata” ma “consentita” dal Comandante in persona. Nasce bene, <vivevo tra gli agi e i privilegi della grande tenuta di famiglia>. Il padre, don Angel, un fazendero che si era fatto tutto da solo, <aveva acquisito abitudini da gran signore>, e girava a cavallo per le sue proprietà, indossando impeccabili abiti di lino bianco. Il ragazzo Fidel compie i suoi studi dai gesuiti in un collegio per rampolli ricchi. Ma già allora non è tagliato per feste e riti mondani, tanto che i suoi compagni lo chiamavano “guairo”, contadino di pelle bianca. Si laurea in legge piuttosto con comodo e sempre usufruendo dell’assegno di papà; a venticinque anni sposa Mirta, una bella ragazza dei quartieri alti, famiglia di diplomatici, con un fratello che sarà anche ministro in un governo Batista. Ma lui non sarà mai un figlio di famiglia.
La sua vicenda-contro comincia prestissimo, tra la disperazione dei genitori, le incomprensioni e le ripulse della moglie, dalla quale finirà per divorziare subito dopo la nascita del figlio Fidelito. Leader degli universitari ribelli all’Avana, prigioniero politico nelle carceri di Batista, cospiratore nell’esilio messicano, capo guerrigliero nella Sierra Maestra, statista contestatore: le molte vite leggendarie di Fidel. Giovanissimo, entra nel Partito del Popolo Cubano (conosciuto anche come Partito Ortodosso), e, poco più che ventenne, si offre come volontario per una spedizione contro la dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana, ma la spedizione va a vuoto; l’anno dopo, in Colombia dove si trova nella sua veste di leader della Lega universitaria, partecipa alla rivolta popolare di Bogotà. Quando a Cuba, nel ’52 il colpo di stato porta al potere Fulgencio Batista, Castro è lì in prima fila: dedito a costruire le forze per una insurrezione armata che deve abbattere il dittatore corrotto, fantoccio Usa. Arrivano i giorni cruenti e tragici dell’assalto al Moncada, la caserma di Santiago di Cuba, quel 26 luglio 1953. Il tentativo fallisce nel sangue, sessanta compagni vi restano uccisi, Castro, il fratello Raul e altri trenta sono arrestati e condannati a 15 anni di carcere. In prigione riscrive l’arringa che aveva pronunciato in propria difesa al processo; la trasforma in quel pamphlet che ha per titolo “La storia mi assolverà” e che, distribuito in decine di migliaia di copie, diventa il programma del Movimento 26 Luglio. Il programma della Revolucion.
Non sconterà i 15 anni, dopo ventidue mesi lo scarcerano, lui e i suoi compagni, grazie a una grande campagna pubblica a favore dell’amnistia. E da esule politico, esattamente il 7 luglio 1955, col suo gruppo parte per il Messico. Ma non è in vacanza, nemmeno un giorno. Immediatamente e febbrilmente, rincomincia: a preparare una spedizione per l’insurrezione armata a Cuba. Non sono passati nemmeno cinque mesi: il 2 dicembre 1956, a bordo dello sgangherato yacht che di nome fa Granma (la Nonna), riesce nella missione da tutti giudicata impossibile: a sbarcare, lui e una ottantina di ragazzi come lui, sulla costa cubana, fortunosamente sfuggendo alle navi di Batista. Con lui ci sono i nomi che diventeranno mitici: Camilo Cienfuegos, Che Guevara, Juan Almeida, Jesus Montané (e anche l’italiano Gino Doné, l’unico europeo della spedizione). Comincia la nuova “storia” di Castro. La storia della “incredibile” Rivoluzione cubana. La storia del guerrigliero diventato comunista, del Comandante in capo destinato a diventare “un mito vivente, l’ultimo del millennio”. <Chi sono io? Un politico nel senso migliore della parola>, rispose, rifiutando la proposta del Consiglio di Stato che, nel 1996, voleva decorarlo come eroe cubano. Compiva settant’anni, allora, e l’uomo che era uscito indenne da 637 attentati (tanti ne ha contati il controspionaggio cubano) e che da mezzo secolo era all’attenzione del mondo, ormai <ha smesso – scriveva Claudia Furiati – di sentirsi l’audace detentore della verità: conosce la compostezza di coloro che hanno visto grandi aspettative sgretolarsi miseramente>. Ha settant’anni, ma non è stanco né domo, ha solo imparato <l’arte della pazienza> e, dice, rincomincerebbe tutto da capo, sperando <di combattere sino all’ultimo giorno da soldato>. E di morire <nei miei stivali>.
Anche dal libro della Furiati esce un grande Fidel. Inflessibile, geniale, lavoratore instancabile, divoratore di libri, seduttore nato (incanta folle e donne in egual misura), oratore straordinario (<si scriveva i discorsi e poi li imparava a memoria>), una memoria formidabile e una dedizione alla causa da alcuni definita una vera ossessione. Nel suo intreccio di grandezza e fallimenti, di genialità e di errori, Castro – al di là di ogni giudizio – è per se stesso un’epopea. L’incarnazione del duello più spettacolare e inimmaginabile del millennio: quello di uno dei paesi più piccoli e poveri del mondo contro gli Usa, la nazione padrona del Pianeta, la più grande potenza militare del Globo. La quale non riesce ad avere ragione della rivoluziohe di Castro, né con i cinquant’anni di criminale embargo, né col terrorismo promosso e fortemente finanziato dalla Cia, né coi tentativi di invasione (Baia dei Porci, anno 1961) .
Castro e il castrismo. Castro e non solo Cuba. Parallelamente alla storia dell’Isla ribelle, c’è da ascrivere al Comandante in Capo, con l’onore e la memoria che merita, l’altrettanto emozionante lotta – infinitamente generosa, visionaria ancorché soccombente – intrapresa per la liberazione del continente africano (specialmente di Angola e Algeria). E la meteora dei falliti progetti per esportare la rivoluzione nella Repubblica Dominicana, in Laos, Venezuela, Congo, Tanzania. E in Bolivia, la tragica impresa del Che.
Doveva venire la crisi dei missili e il pericoloso gioco delle due superpotenze, Usa e Urss, di cui Castro resta vittima. E niente eguaglia la collera e l’angoscia di quel momento – da lui con fantasioso eufemismo chiamato il “periodo speciale” – quando il crollo dell’Urss e dell’intero sistema dell’Est lasciò Cuba nell’abbandono più totale. Quel momento disperato, quando la domanda di Castro è una sola: “Come sfamare il nostro popolo?”
Ce l’ha fatta; terribilmente, ma ce l’ha fatta, se non la “libreta”, il “periodo speciale”, dicono oggi a Cuba, è alle spalle. Gli sciacalli di Miami che brindano, ballano e fanno festa, anche adesso che è morto non hanno molto di che gioire. Non sarà facile “seppellire” Castro. Seppellire le sue parole deflagranti e perfette, quelle pronunciate nel suo ultimo discorso alla platea dell’Onu. <Perchè un popolo deve camminare scalzo e un altro viaggiare in lussuose automobili? Parlo in nome di quei bambini che non hanno nemmeno un tozzo di pane. In nome dei malati che non hanno medicinali. Parlo in nome di coloro ai quali è stato negato il diritto alla vita e alla dignità. Qual è il loro destino? Morire di fame? Essere eternamente poveri? Ma allora a che cosa serve la civiltà?>.
Bella domanda, compagno Castro.
Maria R. Calderoni
26/11/2016 www.rifondazione.it
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