Firenze vuota di turisti si interroga sulle scelte economiche della città
Firenze, Coronavirus, tutti i nodi vengono al pettine: per esempio la trasformazione edilizia che riguarda la città. È di questi giorni la questione dell’ex-caserma Vittorio Veneto, una grande progettualità, inserita in un concorso pubblico a cui hanno partecipato vari gruppi di investimento immobiliare oltre a studi di architettura, per proporre all’amministrazione le proprie modalità di valorizzazione. Alla fine a vincere il concorso sono state le società controllate dal grande gruppo internazionale dei Lowenstein, argentini col pallino della ricezione turistica, che hanno avanzato un progetto (specifichiamo che si tratta ancora di proposte, non c’è un progetto vero e proprio, anche se gli uffici comunali hanno già dato il via libera alle ipotesi avanzate dal gruppo, escludendo anche la necessità di una VAS, vale a dire una valutazione ambientale per la variante al regolamento urbanistico del Comune di Firenze, necessaria per lo sviluppo del procedimento) per resort di lusso, che prevede, fra le altre cose, un tunnel sotterraneo di oltre 600 metri a servizio del resort, che permette di ovviare al problema del trasporto di tutto ciò che serve al lussuoso albergo per le strette stradine di Costa San Giorgio-Costa de’ Magnoli (nota a suo tempo col nome di Poggio alle rovinate, per la ben nota instabilità dell’area). Non solo: nella “proposta” rientrano anche due parcheggi, sotterranei, a servizio dei facoltosi clienti, nonché magazzini e cucine. E, dulcis in fundo, anche una “cremagliera”, per altri un ascensore, con ingresso da Palazzo Pitti (gratuito?… Per tutti?…) e che attraversa almeno due giardini storici, oltre a Boboli il giardino Bardini.
Bene, e che c’azzecca tutto ciò con il coronavirus? In un certo senso, davanti allo svuotamento della città dovuto alla fuga dei turisti, alla crisi del modello Aribnb che lascia interi palazzi vuoti, alle disdette che sembra arrivino addirittura al 100% in alcuni casi, sembra che la nemesi si sia abbattuta sulla città. La città? No, forse solo su una scelta del tutto politica, di mettere la città, tutta intera, a disposizione del turismo, da quello d’assalto a quello elitario per ricchi o ricchissimi che sia. Di fatto, la scelta di agire da facilitatori nei confronti del turismo (massa o élite) distendendo tappeti rossi e appianando le ovvie difficoltà che una città fragile, storica, preziosa come Firenze poteva avanzare, ha il senso, con il coronavirus in giro, di una tragica scommessa economica che vede nel solo profitto l’unica molla. E anche (per miopia politica? Per semplice ignoranza? Per un frainteso senso della ricchezza, misurabile solo in introiti e denari?) di una scelta irresponsabile per lo stesso tessuto economico cittadino, costretto a nutrirsi, lavorare, inventare solo attorno all’unico grande leit motiv: più turisti, più profitto. Varrebbe la pena di chiedersi “per chi”, se davvero la ridistribuzione della ricchezza così lusingata giunge in tutti gli strati sociali allo stesso modo.
Segnaliamo sommessamente l’emergenza casa in cui sprofondano i più deboli ma anche la sempre più affollata categoria dei working poors (vale a dire, si lavora ma lo stipendio è così basso che non si riesce a pagare un affitto ai prezzi di mercato), gli enormi divari sociali che stanno frantumando un tessuto urbano e sociale che finora, per sua natura e storia, era riuscito a far sì che la comunità cittadina si sentisse, comunque e a dispetto di tutto, unitaria. Erano i tempi in cui le grandi famiglie abitavano spalla a spalla nel centro storico con gli artigiani, i commercianti, gli operai, i nullafacenti e i nullatenenti.
Tempi ormai terminati, di fronte all’80% circa (dato consegnato dalle agenzie immobiliari e dagli amministratori di condominio alle prese con problemi inimmaginabili fino a qualche anno fa) di immobili del centro Unesco adibiti ad affitti turistici brevi. E dei grandi contenitori storici (il resort conosciuto come Four Season, che ha modificato il giardino della Gherardesca e scavato per metri e metri cubi sottoterra per ottenere cucine e locali di servizio, l’imminente ex-caserma Vittorio Veneto) tornati a “nuova vita” come alberghi per ricchi. Senza contare che anche quando la destinazione d’uso non è quella ricettiva ma residenziale, ci si scontra con grandi business, che trasformano edifici religiosi dell’alto medioevo (come potrebbe essere Monte Oliveto) in abitazioni per …. Ricchi.
Un programma alla cui giustificazione non soccorre certo l’osservazione dell’attuale assessore all’urbanistica, rilasciata a Repubblica, che dice che l’amministrazione, ove abbia la titolarità della proprietà dei grandi contenitori di pregio, si preoccupa di mantenere una quota in social housing; infatti, è l’amministrazione stessa che deve dare al privato i necessari indirizzi per evitare il più possibile l’impatto: ambientale, artistico, storico. E umano. Insomma, stringendo, il rischio è che la città, scientemente messa al servizio dei grandi capitali, si svuoti per una qualsiasi, imprevedibile circostanza, che questa volta ha preso il nome e l’aspetto di un virus insidioso e purtroppo, ad oggi, ben poco arrestabile. Per quanto? Per poco, ci si augura. Ma questo vuoto in cui stupiti e frastornati i fiorentini galleggiano, potrebbe avere la sana funzione di indurli a guardarsi attorno e a pensare, se dovesse calare il turismo, cosa rimane della città: vuoti androni dove un tempo abitavano le famiglie. O grandi resort cui si è sacrificata la memoria storica di Firenze.
Forse è il caso di chiedersi se il sacrificio vale la posta. Una considerazione finale sulla questione la fa il professor Mario Bencivenni, esperto di giardini storici, grande difensore del verde cittadino e della cultura del verde pubblico propria di Firenze, esponente di spicco di Italia Nostra. “Una scelta miope senz’altro, quella dettata dall’ansia del profitto e dall’incremento senza fine del turismo, come rende evidente la prima crisi reale che tocca gli afflussi. Un modo diverso tuttavia esiste, per ridare vita alla città e anche al suo tessuto socioeconomico, un modo più congeniale al genius fiorentino, che è la valorizzazione di questa grande città dell’umanesimo e del rinascimento. Il che non vuol dire che non si deve rinnovare o cambiare, dal momento che non è che l’umanesimo sia il passato e basta”. “Del resto – conclude Bencivenni – le priorità distorte che la politica aveva scelto per la città le denunciammo sin dal 2000, con quello che allora si chiamava il Piano Strategico Firenze 2010. Concordato non con la cittadinanza, ma con Confindustria e i suoi settori forti, all’epoca rappresentati dall’edilizia e da una visione completamente centrata sulla moda, da cui nacque la trasformazione della Fortezza da Basso in polo espositivo.
Sottolineo di passaggio che Firenze è l’unica città che non ha un polo espositivo esterno. Insomma, è necessario tornare a concepire la città per i suoi valori, mettendo in vista la presenza di centri di cultura di grande respiro internazionale che per fortuna ancora resistono, come il Gabinetto Viesseux, che rischia continuamente di essere sfrattato a favore delle esposizioni; o l’Archivio storico contemporaneo, che è in San Frediano e che invece di essere messo nelle condizioni di allargarsi, vive di una vita ormai residuale. Senza dimenticare l’Erbario storico centrale nazionale, in via La Pira, che è uno dei fondi più importanti per lo studio della botanica dell’età contemporanea e che soffre per problemi di spazio. Allora, perché non utilizzare queste dismissioni di contenitori storici spesso enormi per soccorrere e valorizzare queste energie della città?”. Perseguendo una logica anche economica, dal momento che su questa linea si aggregano interessi dall’estero e, se vogliamo chiamarlo così, un “turismo” della conoscenza senz’altro meno legato alle vicende “del mondo”. Meno impattante e più produttore di lavoro “buono”.
Stefania Valbonesi
5/3/2020 www.lotta-continua.it
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