Fra autoritarismo, capocrazia e premierato

La dittatura del selfie. Murale del maggio 2019 rimosso su un muro di Roma di Tvboy

Soffia in Italia da almeno un trentennio la cultura (o l’incultura) del capo: regressiva inquietante e pericolosa per la stessa democrazia.

Si è sviluppata collateralmente e contestualmente alla modifica della stessa natura e dna dei Partiti: ridotti viepiù a ectoplasmi. Nel migliore dei casi a meri comitati elettorali. Con la politica, ridotta a semplice immagine: l’immagine del capo, del leader.  Essa è quello che conta e che si valorizza: come in tutte le operazioni di marketing, soprattutto in occasione delle elezioni. Non i Partiti. Peraltro, viepiù personali. Cosa propria. E i leader (ieri Berlusconi e oggi Meloni ma anche Salvini, Renzi Conte e la stessa Schlein) vengono scelti e votati in quanto immagini rappresentative e simboliche del moderno autoritarismo e del gioco simulato, dietro tecniche di comunicazione, in larga misura parte mutuate dalla pubblicità.

La politica si svuota così e di contenuti – restano solo quelli simulati – e diventa pura e asettica gestione del potere: il conflitto tra i Partiti – più apparente che reale – diventa lotta fra gruppi, spesso trasversali, in concorrenza fra loro per assicurarsi questa gestione.

La battaglia politica, perciò, diventa priva di telos, di finalità. E poiché i gruppi politici si battono fra loro avendo come unico scopo la conquista e la gestione del potere e l’occupazione di Enti, di qualsivoglia genere – da quelli bancari a quelli culturali, ai Media – purché rendano in termini di soddisfacimento degli appetiti plurimi dei “clienti” più fidati. Nel caso della Meloni, addirittura dei familiari e famigli, amici e pretoriani. Purché caninamente fedeli e obbedienti.

La politica diventa in tal modo autonoma non solo dall’etica ma dall’intera società e si riduce a “gioco” simulato e insieme a “mestiere” – ben remunerato – per “professionisti”: non a caso nasce il termine “i politici”.

In tal modo idee politiche, ideologie, e progetti si riducono a pura simulazione: sono effimeri e spesso interscambiabili. Quando non omologhi. Basti pensare alla posizione dei vari Partiti (con qualche rara eccezione) nei confronti della Guerra in Ucraina come a Gaza: tutti guerrafondai, pro Nato senza se e senza ma e, sostanzialmente succubi e subalterni agli Stati Uniti.

Partiti ripeto dominati dai capi, anzi, dalla “capocrazia”. Il termine è di Michele Ainis, uno fra i più noti costituzionalisti italiani. Nonché dal 2016 membro dell’Antitrust.

Questa la tesi di Ainis (in Capocrazia, Se il presidenzialismo ci manderà all’inferno, Edizioni La nave di Teseo, 2024): la capocrazia domina la vita dei partiti, divenuti feudi di uomini soli al comando. Di qui un presidenzialismo sgangherato che già abbiamo e quello, ancor più sgangherato che l’attuale governo vorrebbe; di qui il potere sconfinato dei sindaci e dei governatori; di qui l’abuso decisionista dei decreti-legge da parte del Governo di turno”.

Bene: a questo proposito la scelta della Meloni con il “Premierato” non sarebbe altro che la cartina di tornasole della politica e dei Partiti oggi. Con l’alibi e il pretesto della “governabilità” e addirittura della modernizzazione. Dimenticando (?) che la stessa locuzione “Capo politico” è un’espressione d’antan  che rievoca la legge fascistissima n.2263 de 1925 con cui il Presidente del Consiglio venne trasformato in capo del governo  Modificato con il regio decreto-legge 16 maggio 1944, n. 136 quando, dopo la caduta del Fascismo,  fu adottata la denominazione di Presidente del Consiglio dei Ministri Primo Ministro Segretario di Stato, usata sino alla proclamazione della Repubblica. Con la nascita della Repubblica Italiana e l’entrata in vigore il 1º gennaio 1948 della Costituzione, venne introdotta in Italia la forma di governo di repubblica parlamentare, e fu confermato il titolo originale di Presidente del Consiglio dei ministri.

Ma per cogliere la reale posta in gioco della Riforma Costituzionale, occorre andare oltre le locuzioni verbali e lessicali, individuando con nettezza la “visione” che ne è sottesa e le finalità. E per capirla appieno bisogna conoscerne gli “ispiratori” e i precedenti ideologici, culturali, economici e politici. Giacché Meloni e i suoi sono solo degli amanuensi: dei padri adottivi. I padri veri, naturali, sono altri e molteplici, fra cui, P2 di Licio Gelli e la Banca JP Morgan.

Gelli con il Piano di Rinascita democratica disegna e prospetta uno stato autoritario con un Parlamento che perde la sua centralità a favore di un premierato forte, con una enorme concentrazione di potere nelle mani dell’esecutivo e del suo capo. Nel contempo vuole uno Stato antisociale, con il Sindacato ridotto a collaboratore del fenomeno produttivo, l’abolizione dell’art. 18 ecc.

Dal canto suo in un documento del 28 maggio 2013 la Banca Morgan, una delle grandi istituzioni della finanza speculativa mondiale, scrisse che le riforme adottate nei paesi europei periferici (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo), non si erano potute realizzare pienamente a causa degli ostacoli frapposti dalle relative costituzioni nazionali. Troppo democratiche. Troppo sociali, anzi, “socialiste”! Quattro i difetti fondamentali di queste Costituzioni: a) una debolezza degli esecutivi nei confronti dei Parlamenti; b) un’eccessiva capacità di decisione delle Regioni nei confronti dello Stato; c) la tutela costituzionale del diritto del lavoro; d) la libertà di protestare contro le scelte non gradite al potere.

Alcuni obiettivi proposti da Gelli-Morgan, sono stati già conseguiti nel passato (con il governo Renzi: l’abolizione dell’art.18, Jobs act, controllo delle TV, Buona scuola, ecc.), ma che il governo Meloni vorrebbe ulteriormente accentuare: basti pensare al ruolo della Tv di stato, ridotta a megafono della Meloni stessa e del suo governo ma soprattutto al progetto del Premierato: con cui si vorrebbe attuare un centralismo illimitato, riducendo brutalmente il ruolo del Presidente della Repubblica ma soprattutto le Autonomie regionali.

Con il Premierato, infatti, il potere verrebbe ricondotto al capo e, specie se plebiscitario all’esecutivo: contro il legislativo e dunque il Parlamento, il giudiziario e il quarto potere, la Stampa e l’informazione. Proprio in questi mesi, in questi giorni stiamo assistendo ai prodromi del Premierato stesso: con l’attacco ai magistrati e all’informazione: quasi a prefigurare un nuovo MinCulPop.

Per noi Sardi il Premierato sarebbe una vera e proprio sciagura: con la centralizzazione e l’accentramento ulteriore del potere la nostra Autonomia, pur flebile e limitata, riceverebbe un colpo mortale e, probabilmente definitivo.

E la Regione sarda, di fatto sarà completamente espropriata delle sue competenze e poteri. E così, senza discussioni e confronti, lo Stato, a prescindere dalla volontà della Sardegna e delle sue comunità, potrà decidere, ad libitum, di continuare a mantenere il nostro territorio occupato dalle Basi militari (anzi, potrà persino aumentarle!); trivellare, sventrare e devastare la nostra terra e il nostro mare (come sta avvenendo con le Pale eoliche e i campi fotovoltaici già oggi); allocare il deposito unico nazionale delle scorie nucleari e l’aliga di mezzo mondo.

Naturalmente tutto in nome dell’interesse “nazionale”.

Francesco Casula

1/12/2024 https://www.manifestosardo.org/

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