Francesco Zaccaria, vittima della strage criminale sul lavoro
“Sarebbe bastata la trave giusta al posto giusto e mio figlio sarebbe ancora vivo, ancora qui con me”. Questo con gli occhi lucidi e con il respiro trattenuto mi dice Amedeo Zaccaria a Taranto, mentre seduti vicini nella sede della USB a Talsano di Taranto aspettiamo l’inizio della manifestazione che, come avviene da tre anni, ricorda i tanti lavoratori uccisi all’Ilva.
Francesco Zaccaria era un ragazzo di 29 anni quando è stato assassinato. Il 28 novembre del 2012 è salito sulla grande gru che manovrava in riva la mare, uno di quei mastodonti che annunciano l’Ilva fin da molto lontano, quando in auto prima ancora di arrivare a Taranto già entri nell’immane territorio del mostro dell’acciaio. Francesco è salito sulla gru, è entrato nella sua cabina di comando a 60 metri d’altezza e ha iniziato il suo lavoro preciso ed efficace come sempre. Ma in breve il tempo già brutto è peggiorato e improvvisamente dal mare è sorta un tromba d’aria, un vero e proprio tornado. Francesco lavorava con le spalle rivolte al vento, quindi non ha visto la colonna nera che si avvicinava. Un suo compagno di lavoro su una gru uguale e vicina per caso si era invece voltato, aveva visto la colonna nera avvicinarsi e con semplice reazione d’istinto si era buttato fuori dalla cabina per cercare di raggiungere il suolo. Impresa assurda a 60 metri d’altezza mentre ti sta per colpire una tromba d’aria. E infatti il compagno di Francesco si era improvvisamente pentito del gesto e aveva tentato di rientrare nella cabina. Ma non c’era riuscito. Il vento aveva colpito la gru, la cabina era stata spinta nel vuoto e il compagno di Francesco si era trovato appeso per disperazione ai tralicci in alto. E così si è salvato. Francesco invece è rimasto intrappolato dentro la cabina della sua gru mentre il vento la sospingeva verso il fine corsa e poi quando questa precipitava in mare. Ci hanno messo due giorni per ritrovarlo, perché la cabina era sprofondata nella melma sott’acqua.
Amedeo Zaccaria qui interrompe il suo racconto e io so che in quel momento sta come sempre pensando agli ultimi momenti di suo figlio. La cabina era diventata come un’auto che perde l’aderenza sul ghiaccio, dice. A me invece viene un’altra immagine, quella delle giostra delle montagne russe. Della paura per gioco che abbiamo provato quando, avvinghiati nel carrello lanciato a tutta velocità, improvvisamente si parava davanti a noi la svolta e si insinuava in noi il terrore che quel carrello avrebbe potuto proseguire diritto nel vuoto e noi precipitare con lui. Io credo che il divertimento su quella giostra consista proprio nel vivere una minaccia che sappiamo impossibile.
Francesco invece ha vissuto attimo per attimo l’impossibile che diventa realtà. Il carrello che prende velocità e scivola sulle corsie e arriva al fine corsa e lo salta e vola e precipita verso quel mare che prima appariva così lontano. Quanto dura davvero questo tempo, quanto si dilatano questi attimi spaventosi dentro la cabina che precipita? Pensiamo ancora alle montagne russe, il giro dura poche decine di secondi, ma quando scendiamo ci sembra che sia passato molto più tempo e più la giostra ci è sembrata pericolosa, più quel tempo si allunga.
Bastava la trave e non sarebbe successo nulla. Pochi giorni prima quelle gru gigantesche erano state sottoposte a manutenzione. Un manutenzione che doveva essere veloce perché la produzione non doveva avere soste, questo imponevano i Riva, da sempre e ancor più in quel 2012 in cui il loro impero stava crollando. Così la manutenzione è andata per le spicce. Invece che sistemare la trave di arresto, lavoro che avrebbe richiesto più tempo, si è preferito togliere quella trave e mettere dei semplici pezzi di ferro più facili da sistemare. Cosa vuoi che succeda là in alto, qui bisogna produrre senza perdere tempo in lavori inutili!
E così quando è arrivata la tromba d’aria tutte le cabine sottoposte a questa “manutenzione” son volate via a 60 metri come foglie da un albero. Mentre in cima alla gru non sottoposta a lavori, dove era rimasta tutta arrugginita la trave d’arresto, la cabina era rimasta tranquilla al suo posto.
Ma una tromba d’aria di quella portata a Taranto è comunque un evento eccezionale, una di quelle “tragiche fatalità” con cui sui mass media si definiscono le stragi di lavoro, ambiente, territorio che colpiscono il nostro paese. E invece no.
Amedeo Zaccaria, nell’impegno di ricerca e studio per provare di fronte alla legge l’assassinio di suo figlio, non sì è solo dato da fare come ingegnere, ma anche come meteorologo. Ha raccolto le mappe documentate degli eventi climatici più importanti del passato e ha scoperto che a Taranto in quella stagione tornado come quello del novembre 2012 siano abbastanza frequenti. Quindi non c’era nulla di assolutamente imprevedibile in ciò che è avvenuto.
Come non lo sono tanti eventi naturali di cui in realtà sappiamo già tutto e per difenderci dai quali non si fa nulla. In questi giorni siamo colpiti dalla tragedia e dalla strage in Italia centrale e abbiamo rivisto sui mass media le carte sismiche del nostro paese. La zona devastata dal terremoto è una macchia scurissima che risalta nel già scuro contorno che disegna tutto l’Appennino. Tragiche fatalità, errori umani non esistono di fronte alle conoscenze e alle tecnologie di oggi, le cause delle stragi sono sempre imputabili a trascuratezza, colpa, o vero e proprio delitto da parte di chi avrebbe il potere di impedire che le persone muoiano e non lo fa.
Quello di Francesco Zaccaria è stato un omicidio, non un omicidio bianco o nero come si dice per attenuarne la gravità, un omicidio e basta. Come quello di Alessandro Morricella, che è morto bruciato vivo il 13 giugno 2015.
Allora non c’erano più i Riva a guida dell’Ilva, ma i commissari governativi. Ma cambiata la gestione i metodi di lavoro di lavoro non sono migliorati, anzi, e la complicità che li autorizza è ancora più grave.
Alessandro è stato investito da un getto di ghisa a 1500 gradi che lo ha sciolto assieme al casco e agli indumenti protettivi. A cosa servono quelle protezioni individuali di fronte a questo calore? Si fanno corsi e pubblicità antinfortunistica per il lavoratore, magari così tutti i guai sembrano colpa sua. L’antinfortunistica è diventata persino fonte di affari, con i corsi lautamente finanziati, ma chi insegna alle aziende a mettere in sicurezza gli impianti? Questo dice Amedeo Zaccaria.
Ma in realtà qualcosa qui era stato fatto. La magistratura aveva sequestrato l’Altiforno 2 perché non sicuro. Il governo però con il decreto salva Ilva ha ordinato la ripresa dell’attività e il parlamento con voto di fiducia ha convertito in legge il decreto. Poco dopo proprio nell’AFO2 Alessandro è stato investito dalla cascata di ghisa liquida, come avveniva nelle ferriere del 1800. Di fronte a questo omicidio fin dove arriva la catena delle responsabilità criminali?
Questo è il punto che Amedeo sostiene con più forza e ragione. La legge è formalmente uguale per tutti, ma la giustizia no. Troppi ritardi, troppe paure, troppe protezioni da parte del potere impediscono che questi omicidi abbiano giustizia, che chi ne è responsabile paghi davvero.
Questo perché prima di tutto non vien quasi mai riconosciuta la gravità del delitto commesso. Lo aveva fatto, il procuratore Guariniello per la strage della Tyssen Krupp a Torino, i cui responsabili erano stati accusati di omicidio volontario e non semplicemente colposo. Perché se in nome del profitto vengono ignorate le norme di sicurezza questo non è un incidente, è un assassinio. Se un automobilista per distrazione non dà una precedenza e ci scappa il morto, quello è un incidente per colpa. Ma se quell’automobilista viaggia di notte a 150 all’ora dove il limite è 50, e magari è pure ubriaco, e fa un incidente con morti, quell’automobilista è un criminale assassino.
La gravità dei delitti contro chi lavora non viene spesso riconosciuta e questo rallenta o blocca la giustizia. E poi c’e una questione più di fondo. Ogni giorno ci viene spiegato che competitività, produttività, profitto sono la misura del progresso. Quindi chi muore sul lavoro in fondo viene considerato come un danno collaterale inevitabile, come si dice dei civili assassinati in guerra.
Nel 2015 i morti sul lavoro sono ufficialmente aumentati del 16% sull’anno precedente, nonostante crisi e disoccupazione. D’altra parte che rispetto può avere la salute di chi lavora, quando siamo giunti al punto che un lavoratore può essere acquistato come sigarette dal tabaccaio, grazie ai Voucher.
Amedeo Zaccaria si batte con le unghie coi denti per ottenere giustizia per l’assassinio di suo figlio e con il suo dolore e con il suo impegno prima di tutto ci dice e ci insegna che non c’è giustizia senza lotta.
Giorgio Cremaschi
27/8/2016 http://contropiano.org
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