Fratelli d’Italia e il passato che verrà

La crescita rapida di Fratelli d’Italia da componente minore della coalizione di destra a primo partito italiano ha fatto sì che nei suoi confronti vi sia stata scarsa attenzione sia nel mondo accademico che in quello più generale della pubblicistica. In un primo momento si è ritenuto che potesse essere inquadrato come semplice variante all’interno delle analisi della destra radicale o populista. L’arrivo al governo, dopo le elezioni del settembre 2022, della sua leader Giorgia Meloni (che, all’interno del partito stesso, è sempre declinata al maschile) ha imposto di dare maggiore attenzione alle specificità di questo partito che da un lato è relativamente recente, essendo sorto alla fine del 2012, ma dall’altro rivendica una continuità di quasi settant’anni.
Ovviamente l’opinione pubblica internazionale più attenta alle vicende politiche italiane si è posta subito un interrogativo inevitabile di fronte ad un partito che si dichiara apertamente continuatore ed erede del Movimento Sociale Italiano, una forza politica sorta per volontà di coloro che avevano partecipato all’esperienza fascista e che dopo la fine della guerra volevano continuare a tenerne viva l’eredità pur nel contesto determinato dalla loro sconfitta e dalla entrata in vigore di una Costituzione che si voleva esplicitamente antifascista. Una Carta costituzionale che oltre a prevedere tra le sue disposizioni transitorie il divieto alla ricostituzione del partito fascista, esplicita molti valori che sono espressione di una visione del mondo antagonista a quella del regime mussoliniano.

Il libro di David Broder, Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy, da poco pubblicato dalla britannica Pluto Press, fornisce diverse chiavi di lettura importanti al lettore non italiano per comprendere il successo di Fratelli d’Italia, ma costituisce un importante contributo anche per quello italiano che voglia provare a capire le caratteristiche di questo partito e le ragioni del suo successo.
Broder, oltre ad essere editor europeo di Jacobin, la rivista socialista statunitense che produce anche un brillante ed intelligente sito web, è un giovane storico con un’ottima conoscenza della realtà italiana. Aveva già pubblicato qualche anno fa un libro sul successo dei partiti populisti in Italia concentrando in quel caso l’attenzione su Lega e 5 Stelle, ma aveva in precedenza redatto una tesi di laurea (poi pubblicata) sulla presenza comunista a Roma negli ultimi anni della seconda guerra mondiale. Particolare attenzione aveva dedicato al movimento dissidente noto come “Bandiera Rossa” (in realtà Movimento Comunista d’Italia), che si era particolarmente radicato nelle borgate romane e che ebbe, è giusto ricordarlo in questi giorni, numerosi caduti nell’eccidio nazifascista delle Fosse Ardeatine.

Trattando del partito di Giorgia Meloni, sia che lo si faccia con lo sguardo dello storico come nel caso di Broder sia con quello del sociologo politico o del politologo nel caso di altri autori, occorre rispondere necessariamente a due domande iniziali. La prima riguarda il rapporto tra FdI e il fascismo storico. Il titolo del libro sembra lasciare intendere, da parte dell’autore, una sostanziale identificazione tra i due fenomeni (i “nipoti di Mussolini” e “il fascismo nell’Italia contemporanea”). In realtà la lettura che ne viene data è decisamente più articolata e a mio parere del tutto corretta.
Il partito di Giorgia Meloni presenta “inconfondibili influenze fasciste: un’eredità che appare dalla sua narrazione vittimista della storia della II Guerra Mondiale, la sua celebrazione dei leader neofascisti del dopoguerra e la sua ridefinizione degli ideologhi del tempo del regime come generici patrioti italiani”.
Fratelli d’Italia, in questo differenziandosi dall’ultimo Gianfranco Fini, non ritiene di dover abbandonare questa rivendicazione di continuità storica (che separa in modo evidentemente arbitrario neofascismo e fascismo del ventennio). Ma considera anche che ciò non rappresenti in alcun modo un ostacolo per il suo successo elettorale e per la conquista di un ampio consenso nonché legittimazione a governare.

Anche nelle polemiche di questi giorni, riguardanti le dichiarazioni di Ignazio La Russa sulla operazione partigiana di Via Rasella contro le truppe nazifasciste presenti a Roma, se c’è un fastidio nella Presidente del Consiglio (di cui si fa ossequiente portavoce nonché suggeritore il “Corriere della Sera”) questo non consiste tanto nella denigrazione della Resistenza e dell’antifascismo che ha dimostrato in molte occasioni di condividere, quanto nell’alimentare inopportunamente polemiche che distolgono l’attenzione dalle politiche sul quale il Governo vuole porre l’attenzione.
D’altra parte anche se in modo meno becero del Presidente del Senato, la stessa Meloni aveva provveduto, ricordando la strage delle Fosse Ardeatine qualche giorno prima, a fornirne una lettura “razzializzante”, ovvero una strage di italiani in quanto italiani. Abbiamo quindi due diverse ma complementari forme di revisionismo storico. La prima quella della criminalizzazione della Resistenza, la seconda quella della ricostruzione della storia sulla base di una permanente contrapposizione etnica che è il nocciolo fondamentale della visione del mondo proposta dalla destra fascista, neofascista e postfascista.

Broder ricostruisce con attenzione e acume questo processo di revisionismo storico che è diventato per certi aspetti egemone tra la fine degli anni ’80 e gli anni ’90. Ricorda i diversi passaggi a cui hanno contribuito autori “mainstream” come Pansa e Vespa. Il ruolo che in questo ha avuto la ridefinizione della vicenda delle foibe come evento ispirato da una pretesa pulizia etnica anti-italiana. Ricorda anche come a questa rilettura e (in buona misura) falsificazione politica della stori abbia contribuito l’allora Presidente della Repubblica, Napolitano, che nel suo discorso del 2007 avallò la rilettura etnicizzante (slavi contro italiani) della vicenda del confine italo-jugoslavo. Non si tratta per altro dell’unico caso, Broder giustamente ricorda il testo approvato dal Parlamento Europeo che equipara nazismo-comunismo (senza citare il fascismo), o la decisione recente di far coincidere la commemorazione degli Alpini con la battaglia di Nikolaevka, omettendo il contesto storico, ovvero la partecipazione dell’Italia all’invasione dell’Unione Sovietica a fianco delle Armate hitleriane.
Ma, Broader sottolinea giustamente che la continuità con il legame del fascismo non rappresenta l’intero profilo ideologico di Fratelli d’Italia, perché, come sintetizza, questo partito “ha integrato la tradizione neofascista in una più ampia politica basata sull’identità nazionalista”. E questo gli consente di “trovare posto all’interno di un movimento conservatore internazionale che è sempre più preoccupato del declino di civiltà”. Una civiltà che per altro legittima la difesa, esplicita od implicita, di quel “suprematismo bianco”, il cui passato e presente è analizzato da Alessandro Scassellati nel suo libro da poco pubblicato da Derive Approdi.
Questa confluenza nel movimento conservatore internazionale è possibile non solo per la strategia messa in atto (dopo qualche oscillazione iniziale) da Fratelli d’Italia, in questo caso grazie all’accoppiata Meloni-Fitto, quest’ultimo uno dei pochi dirigenti del partito non di provenienza neofascista, ma anche di una ricollocazione dello stesso conservatorismo internazionale. Questo ambiente “nazional-conservatore” è caratterizzato da una “drammatizzazione del conflitto politico: la difesa della civiltà occidentale dalla sua distruzione da parte delle élite e delle forze della sinistra radicale”.  In questo contesto c’è anche una ridefinizione dell’anticomunismo, che resta elemento fondamentale dell’ideologia dell’estrema destra, ma in termini nuovi.  “Il nemico – scrive Broder – non è il comunismo per sé, quanto lo spettro del comunismo proiettato su varie cause progressiste, di sinistra e anche liberali”.

Questo gioco di equilibrismi tra continuità neofascista e inserimento in un più ampio alveo “nazional-conservatore” non è privo di contraddizioni e continue sbavature. Come dimostra il ripetuto emergere tra gli esponenti del partito, quelli politicamente in prima fila o quelli collocati nelle numerose posizioni offerte dallo spoil system, di dichiarazioni imbarazzanti o biografie torbide al confine tra neofascismo legale ed illegale.

Revisionismo storico, ridefinizione in senso nazionalista (un nazionalismo “etnico” non “civico”) da parte della destra conservatrice, sono alcuni degli elementi che consentono la “normalizzazione”, quella in Francia hanno chiamato la “dediabolizzazione”, dell’estrema destra. A questo possiamo aggiungere l’impostazione ideologica da nuova guerra fredda che l’Amministrazione Biden, ha dato alle relazioni internazionali. La stessa Meloni è stata chiamata, tra gli ospiti d’onore, al recente “forum per la democrazia” tenuto a Washington dalla Presidenza degli Stati Uniti. D’altra parte è opinione diffusa tra gli analisti che Biden, andando a parlare a Varsavia nel suo recente giro europeo, abbia indicato che considera l’alleanza con la destra etno-nazionalista (che pure avversa a casa sua) un supporto essenziale del suo schieramento globale. Il gruppo del Parlamento europeo di cui il partito polacco di governo (il PiS) è il principale promotore e il cui partito europeo di riferimento è presieduto da Meloni, è sempre stato il più acceso sostenitore della Nato e della guida statunitense del blocco occidentale, a prescindere dalle maggiori simpatie per Trump, come hanno rilevato Steven e Szczerbiak in un saggio recente.

Broder sottolinea un altro elemento che caratterizza la politica di Fratelli d’Italia, ovvero la sostanziale scomparsa di quegli elementi propri alla “destra sociale” che pure nell’MSI avevano una qualche influenza, almeno sul piano della demagogia se non della sostanza politica. Si è parlato spesso di “sciovinismo del welfare” a proposito della nuova destra radicale e populista, di una difesa del welfare ma solo per i nativi e privilegiando la famiglia “nucleare”. In realtà, esaminando le posizioni programmatiche del partito, FdI è un partito tutt’altro che “welfarista”. L’elemento cardine della politica economica della destra post-fascista è quello di “rinvigorire il capitalismo nazionale come risposta al declino di civiltà”.
Una volta meglio definito il profilo ideologico e programmatico di Fratelli d’Italia le sue relazioni con il più ampio mondo della destra nazionalista e conservatrice, occorre ovviamente interrogarsi sulle ragioni del successo di questo partito. Tenendo conto, come viene sottolineato, che i voti che hanno garantito il suo successo erano in buona misura provenienti da elettori già collocati a destra. Prima Berlusconi, che ha sdoganato la destra neofascista, poi Salvini, che ne ha adottato molte delle tematiche pur in un quadro più accentuatamente populista, hanno consentito al partito di Meloni di beneficiare della caduta di credibilità dei due leader, presentandosi come una figura più “fresca” e “coerente” (un attributo che le sue numerose giravolte politiche in realtà non consentono di confermare).
Alle radici del successo dell’estrema destra post-fascista Broder colloca queste tendenze: “il senso di permanente declino nazionale e crisi economica; il collasso dei partiti politici di massa, basati su un’identità di classe che una volta mediavano le domande popolari; l’ascesa di leader nazional-populisti che denunciano furiosamente una cospirazione “globalista” anche se si integrano nelle istituzioni internazionali dominanti”.
Tutti elementi veri ai quali si può aggiungere il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello maggioritario che ha favorito il processo di polarizzazione del sistema politico. A differenza di quanto immaginavano i suoi teorici, per i quali un simile sistema avrebbe portato ad una tendenza centripeta di convergenza in senso moderato per conquistare gli elettori centrali (che non casualmente sono considerati quelli appartenenti al ceto medio-alto), questo meccanismo ha favorito sia gli attori populisti anti-sistema che la destra radicale. Ha invece funzionato negativamente solo sul versante della sinistra radicale.

Ma la connessione tra il successo di quella che Steven Forti chiama l’estrema destra 2.0, preferendo questa definizione alle molte altre che circolano tra i ricercatori impegnati nella comprensione di questo fenomeno, e le particolarità del capitalismo italiano e della sua specifica versione del neoliberismo resta in buona parte da indagare. E con esse anche le motivazioni per le quali elettori di diverso orientamento e di diversa estrazione sociale si riconoscono in Fratelli d’Italia.
La leader del partito sembra avere una visione abbastanza chiara di come risolvere alcune dei nodi ormai storici del capitalismo italiano (stagnazione, bassa produttività di molti settori economici, ecc.) con una politica che però si basa su una visione piuttosto arcaica dello sviluppo capitalistico. Ha però anche un disegno chiaro di quale può essere il blocco sociale in grado di sostenere tale politica: ceti medi composti da piccole imprese, commercio, artigianato, libere professioni, settori di “aristocrazia operaia” relativamente stabile e “nativa”, grande borghesia e grande capitale. Modello di sviluppo e blocco sociale sembrano però per più versi piuttosto arcaici.

La narrazione meloniana è un insieme di conservatorismo sociale, disattenzione alla questione ambientale, pulsioni autarchiche, darwinismo sociale. Tutti elementi che sanno di vecchiume. Per Fratelli d’Italia non c’è solo un passato che non passa ma anche un antico che vorrebbe tornare a galla. Come conclude Broder, Meloni ha cercato di spiegare che il post-fascismo non vuole essere un “ritorno al passato”. Ma qui forse si trova una delle sue molte contraddizioni.

Franco Ferrari

Riferimenti bibliografici

Broder, David,  (2020) First they took Rome. How the Populist Right Conquered Italy. Verso, London.
–  (2021) The Rebirth of Italian Communism, 1943-44. Dissidents in German-Occupied Rome. Palgrave Macmillan, London.
– (2023), Mussolini’s Grandchildren. Fascism in Contemporary Italy. Pluto Press, London.
Donà, Alessia (2022), The rise of the Radical Right in Italy: the case of Fratelli d’Italia. Journal of Modern Italian Studies. 27:5, pp. 775-794.
Forti, Steven (2021), Extrema derecha 2.0. Que es y como combatirla. Siglo XXI, Madrid.
– (2022), “Prima gli italiani!” Cambios y continuidades en la ultraderecha italian: la Lega y Fratelli d’Italia. Revista CIDOB d’Afers Internacionals. 132, pp. 25-48.
Scassellati Sforzolini, Alessandro (2023) Suprematismo bianco. Alle radici di economia, cultura, ideologia della società occidentale. Derive Approdi, Roma.
Steven, Martin and Szczerbiak, Aleks (2022), Conservatism and “Euroealism in the European Parliament: the European conservatives and reformists under the leadership of Poland’s law and justice. European Politics and Society. Pp. 1-18.
Vassallo, Salvatore e Vignati, Rinaldo (2023), Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice. Il Mulino, Bologna.

9/8/2023 https://transform-italia.it/

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *