Fu il fascismo a utilizzare per la prima volta il bombardamento per colpire i civili. Nel 1938 l’aviazione italiana uccise 2500 persone per fiaccare il morale dei repubblicani catalani che lottavano contro i franchisti

Tra il 16 e il 18 marzo 1938, nel pieno della Guerra civile spagnola, Barcellona subì un violento attacco aereo da parte dell’aviazione italiana causando la morte di 2.500 persone. Di attacchi del Regno d’Italia contro la Repubblica ve n’erano stati già molti ma ciò che rese questo evento particolarmente significativo fu che per la prima volta l’obiettivo del bombardamento non fu tanto militare ma piuttosto quello di colpire la popolazione civile e seminare il terrore tra i sopravvissuti. Questa tragica svolta portava a compimento le teorie del generale italiano Giulio Douhet, che aveva concepito il bombardamento aereo strategico come mezzo per abbattere il morale della popolazione avversaria, convinto che seminare morte e paura nelle città avrebbe fiaccato la resistenza del nemico e accorciato il conflitto.

Su questa brutale offensiva e la sua importanza storica, Joan Villarroya, professore di storia contemporanea all’Universitat de Barcelona, ha recentemente pubblicato Mussolini contra Barcelona (Rosa dels Vents). Il volume ripercorre la storia di quei tre giorni di attacchi sulla capitale catalana, evidenziando il tragico cambiamento che introdussero nelle strategie belliche. Joan Villarroya ha risposto ad alcune domande di Jacobin Italia.

Nel titolo del tuo libro ti riferisci non all’Italia o al fascismo ma a Benito Mussolini in persona come responsabile del bombardamento di Barcellona del marzo del 1937. Perché?

Mussolini viene citato direttamente perché in questo caso specifico l’ordine di bombardare Barcellona arrivò personalmente da lui tramite un telegramma, cosa non molto comune. Di solito questi ordini provengono dai militari, mentre in questo caso a Maiorca, dove si trovava l’aviazione italiana, giunse direttamente da Mussolini un messaggio con le seguenti parole: «Iniziare da stanotte azione violenta su Barcellona con martellamento diluito nel tempo». L’ordine fu suo, diretto.

Quale fu la ragione per cui Mussolini diede l’ordine di attaccare?

Mussolini non desiderava avere la Germania così vicina ai confini italiani, e l’Anschluss, l’annessione dell’Austria da parte tedesca, lo mise in una posizione di disagio, quasi di gelosia verso la potenza tedesca. Già nel 1933 Mussolini mobilitò le truppe italiane quando i nazisti austriaci attraverso un colpo di stato furono sul punto di prendere il potere. Cinque anni dopo Hitler lo informò a giochi fatti, quando l’annessione era già compiuta. Mussolini si sentì umiliato, in posizione subalterna rispetto a Hitler. Per dimostrare che anche l’Italia era una forza temibile, decise allora di ordinare il bombardamento su Barcellona. Nei suoi diari, l’allora Ministro degli Esteri Galeazzo Ciano descrive la soddisfazione di Mussolini sul fatto che l’Italia fosse stata capace di suscitare terrore nella popolazione civile. Inoltre, Barcellona, all’epoca, era sede del governo della Repubblica e centro industriale e portuale di primaria importanza, anche questo ebbe la sua rilevanza nella scelta dell’attacco.

Infine bisogna sottolineare che se è vero che l’intervento dell’Italia in guerra fu certamente dovuto all’affinità ideolologica tra Mussolini e Franco, è vero anche che il Duce sognava anche di trasformare Maiorca in un protettorato italiano, in modo da dominare il Mediterraneo. 

Barcellona è stata bombardata durante tutta la guerra civile ma ti concentri soprattutto su tre giorni del marzo 1938. Cosa accadde di speciale in questa circostanza e cosa rese diverso quell’attacco dai precedenti?

Il bombardamento del 16, 17 e 18 marzo 1938 fu diverso per la sua intensità e continuità. Barcellona subì tredici ondate di bombardamenti in soli tre giorni, ogni due o tre ore, creando un’atmosfera di terrore persistente, poiché gli attacchi non si interrompevano mai abbastanza a lungo da far riprendere fiato alla popolazione. Non vi erano mai stati bombardamenti di questo tipo, fu un evento mai visto nella storia. Diversamente dagli attacchi comuni alle aree industriali o portuali, questi bombardamenti si concentrarono su varie zone della città con l’obiettivo di distruggere e terrorizzare la popolazione. Era una strategia deliberata: l’applicazione delle teorie militari sviluppate fin dalla Prima guerra mondiale e in particolar modo da Giulio Douhet, che prefiguravano un ruolo cruciale dell’aviazione nella guerra moderna, con la possibilità di colpire in profondità le retrovie, inclusi ponti, strade e fabbriche. In questo senso, Barcellona divenne un banco di prova della guerra aerea, anticipando distruzioni come quella che nel 1942 colpì Colonia, dove 800 bombardieri britannici sganciarono un carico esplosivo triplo rispetto a quello impiegato su Barcellona.

Erano coscienti gli italiani di causare morte e terrore tra la popolazione civile? Oltre ai danni commessi alle infrastrutture strategiche come centrali idroelettriche, ponti, vie, potremmo dire che terrorizzare la popolazione fu il vero obiettivo dell’attacco su Barcellona?

Sì, terrorizzare la popolazione era uno degli obiettivi principali. L’ordine stesso di bombardare sistematicamente per tre giorni era mirato a ottenere il massimo effetto psicologico e a demoralizzare i cittadini, poiché tali attacchi ripetuti e indiscriminati facevano parte di una strategia per minare il morale della popolazione. Le persone uscivano e rientravano in continuazione dai rifugi, non si sentivano più sicure. Il bombardamento della città in quei termini ebbe un grande effetto demoralizzante sulla popolazione. Tuttavia le operazioni di salvataggio e il funzionamento del sistema di rifugi non si interruppero mai.

La Repubblica spagnola come reagì a questo attacco?

La difesa repubblicana era limitata. La difesa passiva consisteva principalmente nei rifugi antiaerei, mentre la contraerea era insufficiente per una città delle dimensioni di Barcellona. Non c’erano abbastanza cannoni per proteggere l’intera area e, infatti, nessun aereo italiano fu abbattuto. Gli aerei italiani e tedeschi volavano a un’altezza tra i 3.500 e i 5.000 metri e non lasciavano cadere direttamente le bombe da quell’altezza. Le armi della Repubblica, principalmente mitragliatrici, non erano capaci di colpire a quell’altezza.

L’altro triste protagonista italiano di questa storia è il generale Giulio Douhet, l’ideologo del bombardamento aereo sulle città. Come ti spieghi che l’Italia sia stata così all’avanguardia in questa tecnica di terrorismo di Stato?

Douhet è considerato uno dei teorici del bombardamento aereo, sostenendo che questa tecnica potesse avere un impatto decisivo in guerra. Fu uno dei primi a preconizzare l’uso massiccio dell’aviazione non solo contro obiettivi militari, ma anche come strumento per colpire le città e terrorizzare la popolazione, una tattica che contribuì a influenzare i bombardamenti di Barcellona. L’Italia aveva grandi ambizioni militari e un’industria potente. In più vi era un elemento culturale, il futurismo, che esaltava la tecnologia, la tecnica, il motore. Credo che futurismo e fascismo fossero molto legati e che questo elemento culturale abbia influenzato lo sviluppo di queste idee militari.

Quando scoppiò la guerra le potenze europee siglarono un patto di non intervento. Com’è noto solo Regno Unito e Francia lo rispettarono mentre Germania e Italia intervennero attivamente in sostegno dell’esercito di Franco. Come reagirono dinanzi ad azioni come quelle su Barcellona?

Le consentirono, questa è la verità. Impedirono l’arrivo di tutto l’aiuto che era diretto alla Repubblica. Nel 1936, per esempio, appena cominciò la guerra un sottomarino italiano colpì il miglior vascello della Repubblica, il Miguel de Cervantes, rendendolo inutilizzabile durante tutta la guerra e le potenze europee non mossero un dito. E in questo modo continuarono le cose durante tutto il conflitto. La Francia viveva una forte convulsione politica interna e passò dal governo del Fronte Popolare a uno di centro-destra. L’Inghilterra, invece, era governata dai conservatori e dal primo momento si capì da che parte stava. Esiste il non-intervento? Be’, sì, ma per alcuni mentre per gli altri si consentì l’arrivo di aiuti e l’intervento diretto in guerra. Questa fu una delle grandi truffe della Guerra Civile. Lo chiamarono non-intervento ma in realtà vi fu un chiarissimo intervento contro la Repubblica e la democrazia. 

Qualche anno fa la Ministra della Difesa Pinotti esaltava pubblicamente la figura di uno degli aviatori responsabili del bombardamento di Barcellona, Luigi Gnecchi. Inoltre l’Italia in tutti questi anni ha ostacolato l’indagine avviata dalla procura di Barcellona a seguito della denuncia effettuata dall’associazione AltraItalia Barcelona per identificare i piloti responsabili degli attacchi sulla popolazione civile. Come descriveresti l’atteggiamento dell’Italia riguardo le sue responsabilità nella Guerra Civile spagnola?

Il quadro di Pablo Picasso, il celebre Guernica, ha fatto sì che nella coscienza collettiva si associno i bombardamenti sulla Spagna repubblicana alla Germania nazista. Ma in realtà i primi tre bombardamenti su Guernica furono da parte di tre Savoia italiani. Ricordo ancora oggi un’intervista fatta al tenente che diresse quegli attacchi, sarà stato venticinque anni fa. Ebbene il pilota, un uomo preparato, colto, rivendicò il suo operato con orgoglio. «Era ora che qualcuno mi venisse a chiedere di Guernica!» disse. E raccontò pure che andò a New York a vedere il quadro di Picasso. Disse che non gli era piaciuto. In generale, riguardo al tema delle responsabilità storiche penso che sia un tema più teorico che concreto. Non sono un esperto del tema, osservo solo che sono davvero poche le circostanze in cui qualcuno ammette le proprie responsabilità. Chi partecipa alla guerra raramente mostra pentimento. D’altronde nella storia non vi è mai stato neanche un giorno di pace. 

Nicola Tanno è laureato in scienze politiche e in analisi economica delle istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato Tutta colpa di Robben (Ensemble, 2012). Vive e lavora da anni a Barcellona. Joan Villaroya è professore ordinario di storia contemporanea presso l’Universitat de Barcelona.

24/12/2024 https://jacobinitalia.it

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