Fuori le forze dell’ordine dalle scuole
Non sappiamo come cambierà la politica del prossimo ministero dell’Istruzione, ma possiamo essere sicuri che qualcosa resterà immutato: ed è la presenza sempre più consistente, sempre più pervasiva, delle forze dell’ordine a scuola.
Attraverso accordi nazionali, regionali, o stretti direttamente con i singoli istituti, carabinieri, polizia, guardia di finanza e anche l’esercito sono di casa nelle scuole; come le caserme e i commissariati sono tra i pochi luoghi della società che i bambini conoscono.
Le prime uscite scolastiche che possono fare i bambini alla primaria vengono organizzati per conoscere come sono fatti i mezzi in dotazione alla polizia o ai carabinieri.
Se si deve parlare di educazione alla legalità, di bullismo e cyberbullismo, di pedopornografia, di sicurezza stradale, di dipendenze o abuso di alcol o di sostanze, di stalking e femminicidio, di tutela del patrimonio culturale, e molto altro, ci sono sempre comandanti dei carabinieri e di polizia pronti a fare lunghi discorsi educativi nelle scuole di ogni ordine e grado.
Pedagogia delegata Le forze dell’ordine e quelle militari non ricordano semplicemente quale sia l’apparato normativo, non spiegano soltanto quale sia la loro funzione di tutela delle leggi, ma spesso trasformano questi momenti in delle vere e proprie conferenze pedagogiche; in rete se ne trova una testimonianza copiosa: gli ufficiali si profondono in considerazioni sociologiche sulle abitudini dei ragazzi di oggi, sulle questioni sociali eminenti e sui modi di affrontarle.
Non si sottraggono nel dare consigli, paterni e intransigenti. Alle volte capita – per esempio a Ragusa a marzo scorso – che a pochi giorni dagli incontri sulla legalità, gli stessi carabinieri si ripresentino con le unità cinofile, per fare controlli nelle classi, con l’accordo della dirigenza e dei docenti, come operazione di contrasto allo spaccio.
L’idea che l’educazione alla legalità corrisponda a un’educazione non alla consapevolezza ma al controllo e all’irreggimentazione è anche più marcata nei progetti che nelle scuole coinvolgono l’esercito.
Nel dicembre 2021, per esempio, sempre in Sicilia, è stato firmato un accordo per il Pcto (percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, l’ex alternanza scuola-lavoro) tra Ufficio scolastico regionale ed esercito per affidare a quest’ultimo l’offerta formativa su materie come la topografia e la progettazione di progetti edili, e si sono anche pensati progetti destinati alle primarie su inglese e multiculturalismo con i marines delle basi di Santa Teresa di Riva (Messina) e Sigonella (Catania).
L’ufficio marketing dell’esercito (sic) ha in vigore un altro protocollo con il ministero dell’Istruzione intitolato Sogna Cresci Realizza che lascia all’esercito la possibilità di orientare gli studenti rispetto alla carriera militare direttamente nelle classi.
Troppe divise La familiarità che già dalle prime classi della primaria si ha con il mondo in divisa non ha paragoni con gli altri contesti sociali o altri soggetti civili. Per la maggior parte degli studenti restano ignote altre professioni e altri spazi: si può arrivare all’esame di maturità senza aver visto mai una fabbrica, un ospedale o una biblioteca.
Soprattutto si può aver discusso di legalità in classe senza essersi confrontati con chi le leggi le elabora o le approva (ragionando in questo modo che le regole sono frutto di contrattazione e di discussione pubblica), o chi si occupa di diritto per ragioni di studio; si possono conoscere i pericoli dell’uso di sostanze senza avere la minima idea della riduzione del danno e del consumo consapevole.
Quale è la ragione per cui militari e forze dell’ordine vengono investiti di questo ruolo educativo così autorevole, e spesso esclusivo?
Le risposte che vengono immediate riguardano la supplenza che persino nell’ambito educativo la politica chiede alle istituzioni d’ordine per educare alla cittadinanza.
Christian Raimo
6/10/2022 https://www.editorialedomani.it
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