GAZA. Giornalisti in piazza contro Facebook
Un presidio per protestare contro la politica anti-palestinese di Facebook. È quanto ha organizzato lunedì il Journalist Support Committee (Jsc) fuori il quartier generale dell’Unesco a Gaza. Salah al-Masri, presidente del Jsc, non ha dubbi: “È davvero scandaloso osservare come Facebook agisca contro la causa palestinese bloccando e cancellando senza alcun preavviso gli account degli attivisti social e le pagine pro-Palestina. Facebook è una piattaforma che promuove la comunicazione tra comunità, le notizie su di loro e la loro cultura. Tuttavia, oggi è una piattaforma che serve gli [interessi] israeliani”. Secondo al-Masri, l’obiettivo del colosso californiano è quello di far dominare la narrativa israeliana silenziando quella dei palestinesi. Una situazione che, sostengono da Gaza, sarebbe peggiorata dopo il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele fatta dal presidente Usa Donald Trump lo scorso 6 dicembre.
Da qui l’idea di protestare in strada lunedì, non solo per sensibilizzare i gazawi sulle politiche pro-israeliane di Facebook, ma anche nel tentativo di esercitare pressioni sull’azienda statunitense affinché possa riaprire le pagine e gli account che ha recentemente chiuso.
La vicinanza tra Israele e il colosso sociale, del resto, è cosa risaputa: nel 2016 il governo di Tel Aviv e Facebook hanno trovato una intesa per “fermare l’istigazione”. Secondo quanto ha riferito alla stampa il direttore dell’ufficio informazioni del governo a Gaza, Salameh Maarouf, l’accordo tra le due parti è stato raggiunto il 9 settembre di due anni fa durante gli incontri tra i rappresentati dell’azienda californiana e i ministri israeliani Gilad Erdan (Sicurezza interna) e Ayelet Shaked (Giustizia).
L’esecutivo Netanyahu aveva esplicitamente chiesto al colosso diretto da Mark Zuckerberg di cancellare le pagine, gli account e i post palestinesi che “incitavano alla violenza”. Ad una conferenza sull’attivismo digitale che ha avuto luogo in Cisgiordania lo scorso gennaio, alla manager delle politiche di Facebook, Aibhinn Kelleher, è stato chiesto della presunta cooperazione tra la sua azienda e Tel Aviv. Israele avrebbe chiesto informazioni per 509 account Facebook nella prima metà del 2017 e, nel 77% dei casi, avrebbe ottenuto almeno qualche informazione. Kelleher ha però parlato di “fraintendimenti” sugli incontri tra i rappresentati della compagnia e il governo israeliano perché il colosso dei social “non ha preso posizione”.
Sarà. Ma intanto Khaled Safi, un consulente media palestinese, sostiene che l’azienda californiana continua a silenziare le voci dei palestinesi. La vicenda del giornalista gazawi Muthana al-Najjar (oltre 100.000 “like” sulla sua pagina Facebook, il terzo attivista social palestinese) è emblematica. Dall’annuncio del controverso riconoscimento di Gerusalemme del presidente statunitense, a Najjar è stato impedito di postare articoli per ben 4 volte. La prima volta per 30 giorni, la seconda per sette (metà gennaio), la terza per 3 (a inizio febbraio) e, infine, ha avuto un bando per altri 30 giorni a fine mese dopo che aveva postato un video in cui si chiedeva il rilascio di un palestinese detenuto in una prigione israeliana. Chiuse permanentemente sono poi le pagine Facebook Palestine Net, Isharaqat Magazine, Palestine 27, Palestine Plus, Jerusalem. Il Centro social Media Sada, che studia le violazioni contro contenuti palestinesi, dà i numeri: 500 infrazioni registrate da febbraio con 100 pagine chiuse e 70 account sospesi. Tutti, manco a dirlo, vicino alla causa palestinese. “Dalla dichiarazione di Trump su Gerusalemme – ha detto il coordinatore di Sada Iyad Rifai – Facebook ha aumentato il suo monitoraggio sulle pagine palestinesi descrivendo i loro contenuti come provocatori. Uno standard che non viene applicato però contro quelli israeliani. Abbiamo registrato più di 60.000 pubblicazioni israeliane [nello stesso periodo] che istigano [alla violenza contro i palestinesi] ed esortano l’esercito d’occupazione [israeliano] a uccidere i palestinesi”. “C’è in media – conclude Rifai – un post anti-palestinese ogni 47 secondi”.
7/3/2018 Nena News
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