Gaza. Wedad, la giovane guerriera
Una ragazzina combatte contro le sfide della guerra per aiutare la madre vedova e prendersi cura dei tre fratelli più piccoli.
Fonte: English version
di Sojoud Bakroon – Striscia di Gaza, 17 novembre 2024
Immagine di copertina: La scuola dell’UNWRA dove Sojoud Bakroon ha incontrato Wedad. Foto: Sojoud Bakroon
Quando sono fuggita a Deir Al-Balah, ho incontrato Wedad. Aveva una storia che valeva la pena di raccontare. Era una giovane guerriera di 12 anni proveniente dalla zona orientale di Gaza, dal quartiere di Al-Shuja’iyya, noto per la sua gente gentile e coraggiosa. Wedad aveva una famiglia affettuosa, composta dai suoi genitori e da tre fratelli più piccoli. Il più piccolo di solo pochi mesi.
Un giorno, in un batter d’occhio, il mondo che Wedad conosceva è stato stravolto. Esplosioni vicine che scuotevano la terra e fumo che riempiva il cielo. Poiché la sua famiglia viveva a est di Gaza City, vicino al punto in cui i soldati israeliani entravano attraverso il confine, doveva fuggire ad ogni aggressione, questa volta però era diverso. Suo padre disse in tutta fretta alla famiglia che dovevano lasciare casa, così fecero le valigie con quel poco che potevano portare e cercarono riparo in una scuola vicina.
Il padre si trattenne ancora un po’ e quando poco dopo la loro partenza la casa fu presa di mira, rimase sepolto sotto le macerie. Così, in una frazione di secondo – un lampo accecante – una famiglia ha perso la stella che l’aveva sempre guidata e la calda casa che aveva. A Gaza, così tutto cambia rapidamente. La famiglia lasciata in reale pericolo, era solo nella fase iniziale di un percorso senza fine. “È stato il giorno più brutto della mia vita”, ha raccontato Wedad.
Non potevano nemmeno piangere, non c’era tempo per essere tristi. La scuola in cui arrivarono era sovraffollata, piena di famiglie in cerca di rifugio. La famiglia di Wedad ha dormito sul pavimento, condividendo il poco cibo che aveva. Pensavano di essere al sicuro. Era una scuola, dopotutto. “Non può essere presa di mira”, aveva detto sua madre.
Un secondo spostamento
Invece, la sicurezza della scuola durò poco. Mentre la notte incombeva su di loro, le bombe cominciarono a cadere sempre più vicine. Presero di mira il cortile della scuola pieno di gente. Il frastuono lacerava le orecchie e Wedad abbracciò i suoi fratellini terrorizzati. “Non volevo che vedessero il massacro, tutti i cadaveri”. Non avevano altra scelta che fuggire di nuovo. Dovettero scavalcare e superare i corpi dei martiri.
Corsero verso un’altra scuola. Il cuore di Wedad batteva a mille per la paura, ma lei continuava a camminare, tenendosi stretta alla mano della madre. Quando arrivarono era mezzanotte e trascorsero la notte sveglie; era impossibile per un essere umano dormire in quelle condizioni, con il terreno scosso dai bombardamenti e dalle esplosioni. “Dagli edifici piovevano pietre e vetri. Sentivo che una di esse poteva cadermi in testa da un momento all’altro”, mi ha detto Wedad.
Al sorgere del sole, la famiglia si radunò nel cortile della scuola. “Non potevamo credere di essere sopravvissuti alla nottata”, ha raccontato. Camminando per le strade piene di macerie verso l’ospedale Al-Shifa, si sono trovate di fronte a una città distrutta. Sono passate accanto a una bambina che urlava, incapace di rendersi conto che i suoi genitori erano stati fatti a pezzi.
All’ospedale Al-Shifa pensarono di aver finalmente raggiunto il luogo più sicuro possibile. Lì sono sopravvissute per un paio di mesi. Hanno trascorso giorni davvero duri in condizioni inimmaginabili: dormendo sul pavimento nel corridoio, vedendo tutti i feriti e i martiri passare di corsa, assistendo ai parenti che piangevano, si lamentavano e dicevano addio. È stato straziante assistere a tutto questo senza poter essere d’aiuto.
Essendo la maggiore e con il padre ormai morto, Wedad ha dovuto farsi coraggio e assumersi molte responsabilità. Ogni giorno aspettava in lunghe file per la sua famiglia, prima per prendere l’acqua e poi per una zuppa senza carne. Non avevano cibo, elettricità e acqua pulita.
“Una notte, all’una di notte, è iniziata una serie incessante di bombardamenti. I soldati hanno circondato l’ospedale con i carri armati che stazionavano nel cortile”, racconta Wedad. “Siamo stati tre giorni senza poter raggiungere cibo o acqua. Abbiamo finito i soldi e le provviste. I bambini urlavano e piangevano per la fame”.
La famiglia e alcune altre persone che condividevano lo stesso corridoio hanno deciso di rischiare e di lasciare l’ospedale, mostrando qualcosa di bianco per dimostrare di essere solo dei civili che vogliono sopravvivere. “Vedere i soldati è stato terrificante, soprattutto per i miei fratelli più piccoli”, ha raccontato la ragazzina. “Arrestavano gli uomini e li interrogavano, lasciando donne e bambini”.
Il viaggio verso sud
La madre decise che dovevano sfollare a sud, dove pensava che fosse più sicuro. Sperava che lì avrebbero trovato cibo e riparo. Dopo un lungo viaggio, hanno trovato rifugio in una scuola di Deir Al-Balah. La loro nuova casa era solo un piccolo angolo in un’aula.
Le scuole di Gaza non sono veri e propri rifugi, non sono state progettate per esserlo. Sovraffollate e difficili da pulire, sono l’ambiente perfetto per le malattie. I bambini come Wedad e i suoi fratelli sono quelli che soffrono di più, incapaci di vivere la vita spensierata che meriterebbero; al contrario, l’unico pensiero è in che modo trovare cibo, acqua e legna.
Wedad, una vera guerriera, ora vive una vita troppo dura per una bambina come lei. Mi racconta che desidera una vita in cui poter andare a scuola e giocare con i suoi amici, ma deve pazientemente lavorare per la sicurezza della sua famiglia. I bambini di Gaza imparano troppo presto il vero significato della pazienza. Spera anche in un futuro migliore per i suoi fratelli più piccoli.
Quella di Wedad è solo una delle tante storie non raccontate o messe a tacere. Mentre il mondo chiude gli occhi, qui i bambini perdono la loro infanzia.
Traduzione: Simonetta Lambertini – invictapalestina.org
4/1/2025 https://www.invictapalestina.org
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