Giornalisti uccisi. Mai così tanti dal 2013
La Federazione Internazionale dei Giornalisti ha pubblicato la lista dei cronisti morti nel 2023: sono 120. Il 68% di loro è stata uccisa a Gaza. E la strage cointinua
Il 31 dicembre, la Federazione Internazionale dei Giornalisti ha pubblicato la lista dei giornalisti e operatori dei media morti nel 2023: sono 120. Il 68% di loro è rimasto ucciso nella guerra di Gaza. In 547, invece, hanno passato il Capodanno in carcere Il bilancio di 120 morti dell’IFJ è alto. Ma sono 140 quelli indicati dalla Press Emblem Campaign (PEC), una Ong svizzera con status consultivo speciale presso le Nazioni Unite. La differenza è dovuta ai morti registrati nella guerra di Gaza, che variano a seconda dei criteri utilizzati per definire la qualifica professionale di un giornalista. E non solo. Reporter senza frontiere ne conta molti di meno perché considera solo chi è stato ucciso con la telecamera o il taccuino in mano. Ciò che sembra indiscutibile è che, in media, dal 7 ottobre di giornalisti ne sono morti quasi uno al giorno. Dei circa 80 palestinesi che hanno perso la vita, la maggior parte erano freelance che lavoravano per diverse testate, anche straniere.
Sono stati uccisi al lavoro o a casa, spesso insieme alle loro famiglie. “Questo è il numero di vittime di lavoratori dei media più alto durante un conflitto in uno spazio di tempo così breve”. Ricorda il presidente del PEC Blaise Lempen. E sottolinea: “Sebbene sia difficile verificare se i giornalisti siano stati presi di mira deliberatamente o meno, l’esercito israeliano ha sistematicamente distrutto la capacità operativa dei media palestinesi bombardando uffici e strutture”. Molte agenzie di stampa non esistono più ed è ancora impossibile per i giornalisti stranieri entrare a Gaza, causa motivi di sicurezza. E’ un duro colpo per l’informazione, fortunatamente mitigato dal contributo del Sindacato dei giornalisti palestinesi, che ha prodotto un rapporto completo e dettagliato su tutte le violazioni ai danni dei lavoratori dell’informazione nei Territori occupati. Fra queste ci sono le mancate cure ai giornalisti feriti, i 49 casi di attacchi da parte dei coloni in Cisgiordania e i circa 58 arresti dal 7 ottobre.
L’inferno di Gaza non risparmia nessuno
L’elenco dei morti di Gaza si è allungato domenica 7 gennaio. Altri due reporter sono stati uccisi da un missile mentre erano in macchina in viaggio da Khan Younis a Rafah. Uno di loro era il figlio del corrispondente di Al Jazeera Wael Dahdouh, che nella guerra aveva già perso la moglie, altri due figli e un nipote. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) ha appena chiesto di aprire un’indagine per capire se i due giornalisti siano stati vittime di un attacco mirato.
Nel resto del Mondo sono morti 59 giornalisti in 27 Paesi. Senza la guerra di Gaza, sarebbero diminuiti rispetto agli anni precedenti. In America Latina ci sono stati 20 omicidi mirati: 9 in Messico, 5 in Guatemala, 2 ad Haiti e 1 ciascuno in Argentina, Colombia, Honduras e Paraguay. Audrey Azoulay, direttore generale dell’UNESCO, ha condannato tutti gli assassinii e ha chiesto che le autorità indaghino. Sempre uccisi su mandato 3 giornalisti in India e in Pakistan e 2 in Afghanistan, Bangladesh e Filippine. Ignoti assassini li hanno presi di mira e, sia che siano poi stati identificati o meno, hanno sicuramente agito per conto di gangster o politici, per togliere di mezzo indagini scomode. Sono in pochi i reporter africani morti e lo sono per due motivi: omicidio, guerra o entrambi. Tornando al Medio Oriente, vanno ricordati 3 giornalisti saltati per aria in esplosioni in Siria, 3 giovani israeliani uccisi nell’attacco di Hamas del 7 ottobre e 3 che hanno perso la vita in servizio nel sud del Libano, forse mirati dall’esercito israeliano. I 4 reporter morti in Ucraina – 1 italiano, 1 francese e 2 russi – sono vittime accidentali della guerra. Infine, i 3 che hanno perso la vita negli Stati Uniti e in Canada sono stati uccisi per caso mentre assistevano a un crimine.
I motivi per cui i giornalisti muoiono sono molteplici. Ma, nonostante i numerosi appelli dell’UNESCO alle autorità e le raccomandazioni perché venga loro fornito un equipaggiamento adeguato, il problema di fornir loro una maggiore sicurezza rimane. I freelance, in particolare, sono molto a rischio. Il mese scorso, un reporter palestinese si è strappato il giubbotto antiproiettile in diretta televisiva, dicendo che non serviva a niente. Aveva ragione, anche un bussolotto di gomma l’avrebbe bucato.
Giornalisti in carcere
Il giornalista in prigione più famoso al Mondo è senza dubbio l’ex direttore di WikiLeaks, Julian Assange. Amnesty International, Human Rights Watch e molte altre ONG hanno ripetutamente chiesto il suo rilascio, come prigioniero di coscienza. Dopo anni di asilo politico all’interno dell’ambasciata ecuadoriana a Londra, nel 2019 la protezione gli è stata revocata ed è stato arrestato dalla polizia britannica. Da allora è detenuto in carcere sotto la costante minaccia di estradizione negli Stati Uniti, dove potrebbe essere processato da un tribunale militare e condannato a morte.
Nel 2023, sono stati arrestati 779 giornalisti a causa del loro lavoro. Molti anche solo per qualche giorno, ma quasi 550 rimangono in carcere, spesso con condanne pesanti. “Gli arresti arbitrari di giornalisti sono ampiamente utilizzati in molti Paesi per reprimere il diritto all’informazione”.
Scrive Reporter senza frontiere. “Quasi la metà dei casi è concentrata in quattro Stati: Cina, Myanmar e Bielorussia e Vietnam”. Ci sono 121 prigionieri in Cina e 69 in Myanmar (con la condanna più lunga: 20 anni al fotoreporter Sai Zaw Thaike). In Bielorussia 32. 39 in Vietnam. Ma tutti i Paesi autoritari utilizzano gli arresti arbitrari per intimidire i giornalisti; in Russia, Iran, Turchia, Egitto e in molte altre Nazioni, la stampa indipendente che disturba viene messa a tacere. Siamo appena entrati nel 2024 e già assistiamo all’arresto di un giornalista tunisino per aver osato criticare il ministro del Commercio e altri due palestinesi presi dalla polizia israeliana mentre filmavano una manifestazione di protesta in Cisgiordania.
Anna Violante
In copertina la Homepage dell’IFJ
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