Giovani, ipercornnessi e disinformati
Un ricerca appena pubblicata da Assirm per Pubblicità Progresso dice che il 40% degli universitari italiani trascorre più di 4 ore al giorno sul web, ma non per fare ricerche o informarsi. La loro attività principale è guardare video e chattare, quattro ore al giorno di chiacchiere, film e serie tivù. Solo il 7% si connette anche per sapere che cosa succede nel mondo, e se lo fa usa soprattutto i social media, mentre la carta stampata è letta da un misero 2,2%. Siccome nemo profeta in patria, anche i giornalisti si sono allevati il nemico in casa. Ecco un breve resoconto della impari e vana lotta di una giornalista e del di lei figlio, qui chiamato Soggetto, nel tentativo di renderlo aduso alla lettura di fogli stampati, detti anche giornali. È certo che la suddetta è in buona compagnia.
L’imprinting avvenne a tre anni e per caso. Sul divano c’era un Espresso che in copertina aveva una modella a seno nudissimo (pare che i nudi facessero vendere il 30% di copie in più). Passando lì davanti, il Soggetto si bloccò e disse: «Però, che tette ha questa qua». Non si sa che idea si fece dei giornali in quel momento, ma si sospetta che lì nacque il seme che anni dopo gli fece dire alla madre:«Io nella vita voglio fare un mestiere utile, mica come te» e infatti è diventato ingegnere.
Le elementari e le medie trascorsero in una blanda indifferenza, preferiva la televisione. Quando voleva sapere qualcosa, chiedeva un riassunto in famiglia. «Ma perché non leggi le notizie da solo?», gli si domandava. E lui: «È meno sbatti chiederlo a te». Al liceo cominciò a interessarsi, ogni giorno sfogliava i giornali che trovava in casa, ma la massima soddisfazione la provava quando scendeva al bar perché lì trovava la Gazza. Se non riusciva a prenderla perché qualcuno la stava leggendo, si lamentava con la madre che non la comprava mai. «Hai una paghetta – gli diceva – prendila con i tuoi soldi». «Ma sei matta? Mica li spreco così», rispondeva lui. Da alcuni anni il Soggetto ha lasciato le mura domestiche e nulla è cambiato. Si informa sul web, ha trovato un paio di siti ben fatti, ma rigorosamente gratuiti. Quando passa dai genitori sprofonda sul divano e legge tutta la carta stampata che trova, ma guai a tirare fuori dei soldi per acquistare un quotidiano. Non gli è nemmeno mai venuto in mente che i lettori, in fondo, sono quelli che gli hanno dato da mangiare e, ora che è autonomo, potrebbe contribuire.
Ogni tanto mi prende l’angoscia per questa generazione iper connessa. Se anche la metà degli universitari non legge e non si informa, come voteranno? Che idee si formeranno? A chi e cosa crederanno? La mutazione è già in atto. Sui mezzi, il 90% delle persone ha la testa nel cellulare. Al ristorante o in pizzeria è frequente vedere tavolate di giovani che mangiano senza parlarsi perché sprofondati in uno schermo, sui treni ho visto coppie fare interi viaggi senza mai guardarsi negli occhi, troppo impegnati a fissare un tablet. Qualcuno reagisce. Una ristoratrice italiana che vive a Formentera, stufa di non riuscire a farsi ascoltare dai clienti young, ha escogitato questa idea. Prima di andare a prendere le ordinazioni dice ai collaboratori: «Spegnete il wifi per dieci minuti, così almeno mi ascoltano, sennò non riesco neanche a farmi dire che cosa vogliono mangiare». Ora lo so. Eleggeranno con i like gli attori più fighi, i personaggi più trash, gli effetti speciali più sorprendenti. Negli Usa lo hanno già fatto e, guarda un po’, la carta stampata è rinata. Vuoi vedere che anche il Soggetto prima o poi tirerà fuori un euro e cinquanta per comprarsi un giornale?
Mariangela Mianiti
13/6/2017 www.ilmanifesto.it
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