Gkn e le altre. Gli operai, i padroni e la fabbrica socialmente integrata
Avete più sentito parlare della Wartsila di Trieste? E della Sanac di Massa? E dell’Ilva di Taranto? E avete mai letto sui media mainstream della Trafocoop di Perugia o della Wbo Italcables di Napoli? Probabilmente no, perché il lavoro fa notizia solo quando si licenzia in tronco e non quando si chiudono le fabbriche per sfinimento, o ancora quando sono gli operai a rilevarle e a farle funzionare. Le storie dell’Italia che resiste sono risuonate sabato scorso al presidio ex Gkn di Campi Bisenzio, nella giornata campale per la reindustrializzazione e l’attivismo climatico, alla quale hanno partecipato un centinaio di persone, tra delegati sindacali, operaie, attivisti per il clima, solidali, con la pausa per il pranzo che si è tenuta al presidio di Mondo Convenienza. Un’iniziativa intermedia in preparazione dell’8 e 9 luglio quando, a due anni dalla nascita dell’assemblea permanente e dell’inizio della lotta dell’ex Gkn, il territorio si stringerà ancora una volta in via Fratelli Cervi per un concerto davanti ai cancelli, l’arrivo della carovana del mutualismo e altri eventi in costruzione.
«Questa giornata è stata un momento di studio sull’ipotesi di reindustrializzazione per autorecupero, uno degli strumenti a disposizione per uscire dall’immobilismo e dal logoramento», ha detto Dario Salvetti, Rsu dell’ex GKN. «La fabbrica socialmente integrata rimane il nostro l’obiettivo, perché ci sono solo due grossi investitori che hanno tenuto in piedi l’ex Gkn: la comunità e l’assemblea permanente. Sono loro che hanno la proprietà morale della fabbrica».
Intanto il logoramento continua. La cassa integrazione retroattiva, concessa a un’azienda che si pone fuori da leggi e contratti nazionali non pagando da otto mesi né stipendi, né ferie, malattia, permessi 104 eccetera, non arriva perché all’Inps non sono stati inviati i flussi, ossia le informazioni necessarie a calcolare la cifra da pagare. O meglio, sono arrivati solo per tre mesi e i bonifici non sono ancora partiti. Lunedì scorso gli operai sono andati a chiederne conto direttamente all’Inps e ne sono usciti con una dichiarazione sui social: “Nessun problema burocratico, almeno secondo l’Inps, ma una azienda che non trasmette tutto il necessario per permettere il pagamento di tutti i mesi arretrati (soldi pubblici…). Qf continua a giocare con i nervi di famiglie ostaggio di logiche poco chiare, torbide. La burocrazia amministrativa fa da scudo, volontario o no, a queste logiche”.
Una storia di logoramento che non è nuova e che vediamo in tante altre realtà presenti sabato scorso in fabbrica. Prendiamo ad esempio la Wartsila di Trieste, la più grande fabbrica europea di motori navali, che nel settembre scorso annuncia il licenziamento dei 451 lavoratori per riportare la produzione nella madre padria, la Finlandia, dove l’azienda viene nazionalizzata. Ne parlano i media nazionali, tutta la città si mobilita, i portuali si rifiutano di caricare i motori da esportare. E poi? Com’è andata a finire? Con il logoramento. Lo spiega bene Raffaele Pelizon, operaio Wartsila dell’Usb: «La nostra forza contrattuale erano quei motori, perché ogni giorno di ritardo erano penali da pagare e allora l’azienda era invogliata a trovare un reindustrializzatore credibile. I sindacati confederali però hanno firmato un accordo per far uscire i prodotti, in cambio dell’impegno dell’azienda a trovare un reindustrializzatore. Per il momento l’accordo non è stato rispettato, anche perché non dovendo più pagare le penali per l’azienda non c’è più l’urgenza di farlo. Se non si trova entro il 30 settembre siamo tutti licenziati. Nel frattempo, l’officina si è svuotata e noi siamo rimasti in 287. Per restare uniti bisogna avere forza contrattuale e difendere lo stabilimento e i prodotti che ci sono dentro». Un messaggio di sostegno a quello che sta avvenendo ancora oggi alla ex-Gkn, dopo due anni dall’annuncio dei licenziamenti.
La giornata di sabato è stata anche di prospettiva e di speranza, con le testimonianze delle imprese recuperate e degli attivisti per il clima, che vedono nella reindustrializzazione dell’ex-Gkn un modello per il futuro. I primi ad intervenire sono stati i lavoratori della Trafocoop di Tavernelle, in provincia di Perugia. La loro è una storia abbastanza recente e che si è risolta in tempi piuttosto rapidi, per quello che avviene di solito nel recupero delle imprese, o meglio nel recupero del lavoro, come ci tengono a sottolineare, «perché noi volevamo solo riavere il nostro posto di lavoro». La Trafomet è un’azienda storica di trasformatori, presente in Umbria fin dal 1981. Nel 2008, con la crisi finanziaria, inizia un declino lungo e doloroso, che finisce con il commissariamento. Nel 2016 la situazione sembra risolta perché viene acquistata da un concorrente, ma in realtà è solo un peggioramento. Il 10 giugno 2022 ricevono una pec dell’agenzia delle entrate che comunica il pignoramento dei conti dell’azienda e quindi l’impossibilità di pagare gli stipendi. L’imprenditore rimane immobile per un mese, fino a che l’assemblea si trova davanti due strade, come racconta Roberto Buono, socio lavoratore della Trafocoop: «Potevamo mettere la crisi in mano alla politica, cercando l’ennesimo imprenditore disposto a salvarci e chiedendo la cassa integrazione, oppure potevamo tentare una strada sconosciuta e più rischiosa, andare verso il fallimento e rilevare noi l’attività in cooperativa». Il 10 maggio scorso sono tornati a lavorare, «a fare quello che ci piace» dicono, e dopo dodici mesi senza reddito ricevono il primo stipendio da Trafocoop «solo con le nostre braccia e la nostra mente».
La situazione dell’ex-Gkn è diversa, più complessa e ambiziosa, l’azienda non è fallita, i numeri sono molto più alti e non c’è la possibilità di continuare con lo stesso prodotto. A maggior ragione, se la fabbrica di Campi Bisenzio ripartisse così sarebbe un precedente nazionale: una cassa di mutuo soccorso per le imprese recuperate, un’assemblea permanente, sindacale o di gestione cooperativistica, la dimostrazione che democrazia dal basso, economia sostenibile e transizione ecologica possono stare insieme soprattutto in momento di crisi. Certo non sarà questo che risolverà il problema della dismissione dell’automotive in Italia, né tanto meno dell’impatto ambientale del sistema capitalistico, ma intanto un punto è stato messo e si è creato un precedente.
«Tenete duro», è il consiglio che arriva da Trafocoop a fine giornata, quando chiediamo loro se c’è un consiglio che si sentono di dare al Collettivo di Fabbrica: «Avere i piedi per terra, essere estremamente determinati e focalizzati sul risultato. Questi sono i consigli che ci sentiamo di dare, oltre al fatto che bisogna capire i limiti del gruppo e basare l’azione anche su quelli. Poi serve tanto sacrificio e forza di volontà, perché la strada è in salita ma il percorso poi porterà i suoi frutti». (valentina baronti)
21/6/2023 https://www.perunaltracitta.org/
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