Gli ecoattivisti in pericolo ovunque, tra persecuzioni giudiziarie e omicidi

Dalla norma “anti-Gandhi” alla sorveglianza speciale: come in Italia si fermano le azioni nonviolente contro il collasso climatico

Durante l’anno più caldo di sempre, a maggio scorso, Giacomo Baggio Zilio, trentatré anni, consulente legale e membro dell’associazione Ultima generazione, stava partecipando a una protesta nonviolenta per manifestare contro il collasso climatico. Fermato dalla polizia e maltrattato – con tanto di prognosi al pronto soccorso – ha recentemente ricevuto la comunicazione della procura di Roma che richiede per lui la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza. Una misura legata all’antimafia, riservata a contesti di malavita organizzata, che prevede la “reclusione” nei confini del comune di residenza, una sorta di coprifuoco, l’obbligo di firma giornaliero e il divieto di partecipare a manifestazioni ed eventi pubblici. Non è il primo episodio in cui si assiste all’accanimento legale ingiustificato contro una persona libera di manifestare e di esprimere pacificamente il proprio dissenso, diritto tutelato dall’articolo 21 della nostra Costituzione.

Le attiviste e gli attivisti delle associazioni ambientaliste, spesso giovani, subiscono quotidianamente azioni pesanti, tra fogli di via, perquisizioni e sequestri di oggetti personali, come computer e telefonini. Vari sono stati i casi di abuso, come la denuncia da parte di una donna di Extinction Rebellion, che è stata costretta a spogliarsi e piegarsi nella questura di Bologna.

Ora la situazione è ulteriormente peggiorata. La Camera ha infatti approvato alcuni emendamenti della maggioranza al disegno di legge sulla sicurezza, già presentati a giugno, che, secondo l’opposizione, hanno come obiettivo proprio la repressione dei movimenti ambientalisti. Con l’introduzione dell’articolo 14, chiunque ostacoli il traffico ferroviario o stradale può essere punito a titolo di illecito penale, anziché amministrativo. La pena parte da una multa di trecento euro per arrivare alla reclusione di un mese, ma, se l’azione è collettiva e organizzata, si alza fino a un anno. Sedersi in strada, incatenarsi in un luogo pubblico, lanciare vernice su quadri adeguatamente protetti, e le altre azioni di protesta nonviolenta che le organizzazioni per la tutela dell’ambiente come Ultima generazione hanno portato avanti negli ultimi anni, diventano reati puniti con la reclusione, al pari di spaccio o aggressione. La norma, rinominata “anti-Gandhi”, criminalizza i manifestanti pacifici e gli ecoattivisti, servendo da deterrente per chiunque voglia accostarsi alla disobbedienza civile e in generale al semplice pensiero critico.

L’accanimento mediatico e legale spinge l’opinione pubblica verso la marginalizzazione di questi gruppi, e fomenta la percezione diffusa che siano delinquenti o – ed è quasi peggio – giovani annoiati in cerca di emozioni forti. Ciò avviene nonostante la comunità scientifica sia per la maggior parte concorde sulla gravità della situazione climatica attuale, e si facciano sempre più frequenti gli episodi estremi con conseguenze dannose per tutte e tutti.

Nel mondo gli attivisti per il clima fanno evidentemente più paura della siccità e delle inondazioni. Lo riscontra il report annuale dell’Ong Global Witness, che dal 1993 monitora i movimenti ambientalisti internazionali e le pressioni delle lobby con interessi nell’area energetica. Almeno 196 persone sono state uccise nel 2023 per avere cercato di difendere l’ecosistema dallo sfruttamento estremo e ingiustificato di aziende e governi, un numero in aumento rispetto all’anno precedente. In media, una persona ogni due giorni. L’85% degli omicidi avviene in America centrale e meridionale, dove oltre la metà delle vittime è di origine indigena, e viene uccisa dal crimine organizzato, probabilmente al soldo dei grandi proprietari.

Al primo posto, per il secondo anno consecutivo, c’è la Colombia, seguita dal Brasile, dal Messico e dall’Honduras. Dal disboscamento alle colture intensive di avocado, i colombiani sono travolti dalle conseguenze devastanti delle grandi opere. Un esempio è la diga di Ituango, in costruzione da anni, che sarà la più grande di tutto il Paese e la quarta per importanza di tutta l’America latina, un muro alto 225 metri. Attorno al Cauca, un enorme fiume a nord-est del Paese, c’erano varie cittadine che vivevano di pesca, agricoltura ed estrazione artigianale dell’oro dai sedimenti dei fondali. Ora lo scenario appare distopico: lische di pesce in bacini aridi. Anche se la valutazione di impatto ambientale aveva messo in evidenza gli alti rischi connessi alle caratteristiche idrogeologiche della zona, infatti, i lavori per la grande opera sono iniziati. Contro la diga si è sviluppata una forte opposizione, coordinata dal movimento Rios vivos (Fiumi vivi) che ha tentato negli anni di portare avanti iniziative di sensibilizzazione, scontrandosi però con le temibili minacce di gruppi paramilitari al servizio di chi ha interessi economici nella regione. Le intimidazioni hanno obbligato molte e molti a fuggire per rifugiarsi in altre zone o all’estero, come l’attivista Milena Florez, che attualmente vive a Barcellona.

Questo è solo uno degli esempi che quotidianamente coinvolgono gli abitanti delle aree d’interesse energetico. Tuttavia, non è solo in Sud America che gli attivisti climatici vengono osteggiati, anche nei Paesi del Nord globale sta crescendo un’evidente spinta persecutoria. Nel Regno Unito, cinque attiviste e attivisti, tra cui Roger Hallam, il fondatore di Extintion Rebellion e di Just Stop Oil, sono stati condannati tra i quattro e i cinque anni di carcere per avere progettato un blocco autostradale. L’accusa di cospirazione è dovuta a una riunione online in cui parlavano di fermare per qualche ora la highway M25 nel novembre 2022. Una pena durissima, quindi, di solito riservata a reati come il traffico di droga o l’associazione a delinquere, per avere fatto un meeting su Zoom e avere causato dei ritardi nella viabilità.

Michel Forst, osservatore dell’Onu, è andato al processo dello scorso luglio per verificare se ci fossero gli estremi legali per denunciare una vera e propria persecuzione verso i difensori del clima. Ad allarmare le Nazioni Unite erano infatti le operazioni giudiziarie contro varie associazioni per la tutela del clima, in Germania contro Letzte Generation, in Italia contro Ultima generazione e, in Francia, contro Soulèvements de la Terre (che il ministro dell’Interno, Darmanin, ha tentato di mettere fuori legge). Se innumerevoli sono gli atti vessatori in tutto il mondo, nel frattempo, come denuncia Global Witness, alle conferenze per il clima, come la Cop 28, sono sempre presenti rappresentanti delle lobby energetiche, che spingono perché non si esca mai completamente dall’economia del fossile.

Chi però soffre dei cambiamenti climatici, e degli eventi estremi che caratterizzano i nostri anni, siamo tutte noi e tutti noi, da nord a sud, da est a ovest. Mentre la terra brucia, i governi se la prendono con chi grida che il re è nudo.

Marianna Gatta

20/9/2024 https://www.terzogiornale.it/

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