Gli economisti Pd e l’insostituibilità del Jobs act
Da tempo immemore a sinistra si creano degli alibi per giustificare scelte errate e fallimentari. La colpa è sempre degli altri o di chi ha guidato partiti e movimenti portandoli su posizioni sbagliate. Con la nascita di Italia Viva si è diffusa l’opinione che tutti i fautori del jobs act siano passati alla creatura Renziana, nel Pd per molti sarebbero rimasti solo uomini e donne di sinistra, disponibili a rimettere mano all’art 18, al jobs act, alla Fornero, pronti ad allargare le alleanze a quanto resta della sinistra che un tempo si definì radicale. E di fronte ai dati economici non certo incoraggianti si continua a ipotizzare tagli delle tasse come la soluzione migliore, ma anni di defiscalizzazione hanno forse determinato miglioramenti effettivi?
Ma la realtà è invece ben diversa, e una intervista, a Il sole 24 Ore, dell’economista e senatore Tommaso Nannicini aiuta a confutare le credenze della sinistra facilona e senza memoria
Per Nannicini il Jobs act va infatti completato e non abolito perché a detta sua ha avuto effetti positivi e andrebbe invece migliorato sulle politiche attive.
Citiamo testualmente da Il Sole 24 Ore:
«Il Jobs act è un cantiere aperto, va completato, altro che abolito. Alcuni elementi di quella riforma, come le tutele crescenti in caso di licenziamenti illegittimi, non ci sono praticamente più, dopo la pronuncia del 2018 della Corte costituzionale, adesso c’è un semplice meccanismo risarcitorio tornato alla discrezionalità del giudice. Altri elementi dobbiamo completarli senza tornare indietro, come nel caso degli ammortizzatori sociali, che vanno sì rafforzati ma col taglio universalistico del Jobs act, evitando quindi di ripristinare una cassa integrazione discrezionale, senza limiti temporali e solo per pochi.».
Nannicini, senatore Pd, rivendica il jobs act, la sua posizione è tutt’altro che isolata e fotografa una situazione surreale nella quale la Cgil cala le brache davanti al governo, ma allo stesso tempo giustifica la sua arrendevole politica con il fatto che, sempre con il Governo, i sindacati stiano discutendo di ammortizzatori sociali, legge sulla rappresentanza, pensioni e appunto il jobs act. E Landini, a proposito della Legge di Bilancio, ha avanzato qualche tiepida critica ma ribadendo che la manovra presentava “molte cose giuste”
Dove sta allora la verità? Cerchiamo di capirla attraverso le parole del prof Nannicini (docente alla Bocconi) visto che parliamo di un autorevole economista
Innanzitutto la riforma degli ammortizzatori sociali e le politiche attive del lavoro rappresentano un problema reale alla base del quale c’è il rapporto tra Stato e imprese, tra pubblico e privato. In questi anni lo Stato è stato l’ammortizzatore sociale per coprire le scelte errate degli imprenditori, gli anni delle liberalizzazioni hanno spazzato via quel ruolo di controllore e di indirizzo dello Stato che invece in altri paesi è rimasto tale (Francia, Germania).
Ma questo rapporto subalterno al capitale non viene analizzato e rimesso in discussione dall’economista Pd, la sua unica preoccupazione è quella di rassicurare i lettori e gli industriali che non torneremo all’art 18 e alla reintegra in caso di licenziamento.
Allo stesso tempo il jobs act ha creato uno tsunami anche nelle tutele crescenti soprattutto dopo la Sentenza della Consulta che ha affidato al Giudice il compito di stabilire l’importo del risarcimento. E questa sentenza viene vista negativamente rispetto all’anzianità di servizio che nel jobs act dettava le mensilità di risarcimento
Nannicini non ha peli sulla lingua, per lui il jobs act è un successo e la reintegra in caso di licenziamento va applicata solo a casi veramente eccezionali, i cosiddetti casi discriminatori e gravi che in Giudizio poi quasi mai vengono dimostrati. Con il jobs act, per l’economista, i licenziamenti sarebbero diminuiti ma non ci sono dati a tale riguardo, di sicuro sono aumentati i casi nei quali si rinuncia perfino a intraprendere una causa nel timore di essere costretti a pagare le spese in Giudizio, ma ovviamente questo aspetto viene completamente tralasciato.
E’ fin troppo facile parlare di riforma degli ammortizzatori sociali e della lotta alle false partite Iva e collaborazioni ma alla base di ogni iniziativa dovrebbe esserci un elemento di chiarezza: qual è il ruolo dello Stato verso i soggetti privati? Dopo l’ubriacatura liberista delle privatizzazioni si intende proseguire sulla stessa strada, magari giustificando ogni eventuale statalizzazione come concessione al Movimento 5 Stelle per la tenuta del Governo? Quali solo i sistemi di controllo delle imprese? La cosiddetta mano invisibile del Mercato continuerà a farla da padrona?
Tutti argomenti seri dei quali non si vuole parlare, meglio discutere allora di questioni generiche senza mai rimettere in discussione l’impianto liberista e le leggi liberticide in materia di lavoro e previdenza che hanno stravolto e deteriorato le nostre esistenze costruendo le basi di una società sempre meno solidale ed equa sulla quale poi la Lega costruisce la sua fortuna politica.
Su un punto siamo invece concordi con Nannicini: entriamo nel merito delle questioni ma partendo da un altro presupposto ossia quali interessi materiali vogliamo tutelare, se pensiamo dirimente chiudere definitivamente la pagina delle liberalizzazioni abrogando e riscrivendo tutte le leggi a favore dell’impresa che hanno alimentato la repressione nei luoghi di lavoro, i licenziamenti, gli utili agli azionisti a discapito di un loro reinvestimento.
Ma probabilmente le nostre idee sono opposte a quelle del senatore prof di economia, e non solo le sue ma del Pd a cui continuano, dalla smemorata sinistra perbenista, a dare credenziali e atti di fiducia che alla luce di questa intervista sono decisamente mal riposti.
Redazione Lotta Continua
13/1/2020 www.lotta-continua.it
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