Gli etichettabili. I fragili schedati a scuola

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Ad ogni cambio di ministro, il mondo della scuola trema, pensando: non potrà essere peggio del ministro, o ministra, uscente. Puntualmente si scopre, con amarezza, che al peggio non v’è mai fine, che quando pensi di aver toccato il fondo, ti ritrovi a dover ancora scavare e via così. Ora siamo passati dal piacione emiliano della scuola affettuosa al verde Valditara della scuola del merito e dell’umiliazione. Come d’abitudine ormai, anche questo ministro snocciola a ripetizione sue personali opinioni, sentenze da medioevo, parole pesanti, prontamente smentite quando si manifesta il disagio che creano. Così un giorno lancia la ricetta antibullismo invocando l’umiliazione dei bulli, e il giorno dopo ritratta. Si è trattato di un lapsus. La parola era “umiltà”, il concetto quello di ottenere il pentimento del Franti di turno insegnandogli ad essere umile.

Le analisi sulla nullità pedagogica di queste posizioni, che fanno pensare ad un’idea di scuola vecchia ma soprattutto crudele sul piano sociale sono fin troppo facili. Si arriva perfino a minacciare i percettori di reddito di cittadinanza di andare a scovare, nelle pagelle, lo scarso rendimento, giusta causa per non essere sostenuti. Continuando a dire e smentire, mentre nella legge di bilancio si annunciano tagli di dirigenti e di scuole, il ministro rassicura, il calo demografico non produrrà riduzioni di personale. Ma le parole, quando non sfuggono al controllo in un lapsus, possono essere scelte e composte ad arte e sembrare pure progressiste, a leggerle senza occhiali.

Che poi a quelle parole corrispondano atti concreti e scelte operative è un altro paio di maniche. E se si prova a connettere le principali enunciazioni del neo ministro con altre notizie, il disegno appare molto chiaro. Partiamo dal merito, concetto che solletica l’orgoglio di quanti credono di essere meritevoli e di saper riconoscere e misurare i meriti altrui: la scuola di Valditara vuole sfornare giovani meritevoli (ma anche umili) valorizzare le eccellenze, selezionare ed orientare (forse all’agricoltura) al mondo del lavoro.

Questo disegno di scuola classista e selettiva, rigorosa ed efficiente va collocato nel quadro dell’altra grande ossessione, legata chiaramente al merito: il merito va valutato, per poter assegnare premi e punizioni. Quali sono gli strumenti di valutazione oggi in uso nella scuola? Da molti anni le scuole sottopongono gli studenti, a partire dalla seconda elementare a test standardizzati, le famose prove Invalsi, che conferiscono, con i risultati ottenuti, certificazioni di qualità, alle istituzioni scolastiche.

Ora, è di questi giorni la notizia dell’introduzione di un nuovo interessantissimo dato:l’indicatore di “fragilità “ individuale , per gli studenti che non raggiungono il livello minimo nei test. Questo dovrebbe servire a individuare le sacche di disagio e difficoltà delle scuole che verrebbero prontamente inondate dalle risorse previste dal PNRR per recuperare il gap prestazionale. L’assegnazione di fondi aggiuntivi per realizzare progetti di recupero non è una novità. Ma oggi il meccanismo è più strutturato. Quindi, le scuole sottopongono gli studenti e le studentesse ai test: chi non raggiunge il punteggio sufficiente riceve un’etichetta di “ fragilità”, cioè un segnale predittivo di possibile disagio e dispersione scolastica. Per il bene dei fanciulli, si intende. Il parere di Roberto Ricci, presidente dell’ Invalsi è che sia un po’ come uno screening “ se ho determinate caratteristiche fisiche, sono esposto a determinati rischi,e mi controllerò per prevenirli”. Sembra corretto?

In presenza di molte fragilità, le scuole deficitarie dovranno attivare procedure specifiche per ottenere i fondi: progettare interventi di recupero, ed impegnarsi formalmente, con un atto d’obbligo a raggiungere gli obiettivi fissati, misurati e monitorati trimestralmente. In caso di perdurante insuccesso, la scuola potrebbe essere oggetto di interventi esterni, supportata magari da qualche solido ente specializzato nella formazione, con annessi corsi, proposte editoriali che provvidenzialmente supporteranno le scuole di serie B, naturalmente incassando i famosi fondi del PNRR. Sempre la solita solfa, insomma.

La scuola pubblica ha ormai una sola funzione: fare da centro di smistamento per denaro di varia provenienza, come i fondi europei. Le scuole che si aggiudicano gli allettanti progetti (ad esempio i famigerati PON), consentono ad aziende private di vendere prodotti e servizi. Didattica, tecnologia, strumenti, arredi, rappresentano una fetta di mercato floridissima, in costante e crescente espansione e che nella scuola trova il volano naturale. Ma le ragioni di preoccupazione per questa nuova funzione dei test non finiscono qui. A livello individuale, di studenti, individui che vengono catalogati ed etichettati a loro insaputa, perché la notizia non viene comunicata alle famiglie ma rimane alla scuola come indicatore di probabile o potenziale difficoltà.

Quanto influirà questo dato sull’altro grande capitolo che il ministro vuole sviluppare nella scuola pubblica, quello dell’orientamento ? Forse si consiglierà, a studenti che ottengono risultati scarsi, di mettersi a disposizione delle aziende del territorio senza troppe pretese? Sulla base, si badi, non di una valutazione complessiva, globale, approfondita come quella che può e deve scaturire dal percorso scolastico dell’allievo, dal confronto con e tra i suoi insegnanti, ma sulla base di risultati di test e prove sulla cui attendibilità si esprimono i docenti molte riserve.

E cosa sarà dei docenti che hanno molti allievi fragili? Alunni di serie B, docenti di serie B, presumibilmente tutti nelle zone più povere e complicate del paese. Saranno considerati inefficaci, incompetenti, magari “ bocciati” pure loro, giudicati da dirigenti sempre più attenti a mantenere un’immagine di scuola di successo. Ecco, le scuole pubbliche nelle realtà più difficili , che inevitabilmente saranno le maggiori portatrici di candidati al disagio, troveranno la loro ragione di esistere nella funzione di centri per l’allocazione dei fondi messi a disposizione. D’altra parte, chi, potendo scegliere, manderebbe i propri figli in una scuola inefficiente? Il divario tra buone scuole e scuole zoppicanti, è destinato ad allargarsi, come sempre più netta si realizza la separazione dei destini di vita e di lavoro dei giovani in base alla classe sociale e al territorio di appartenenza.

La scuola, pubbica, che prepara al lavoro (possibilmente umile e che nobiliti) per i poveri, nonché destinati al disagio, che, nonostante tutte le opere pie delle fondazioni e delle società di servizi educativi, rimane la seconda o terza scelta, e poi l’altra scuola, quella dove le difficoltà non esistono, dove i ricchi studiano la storia che piace al ministro, che ha vergognosamente scelto, come primo messaggio ufficiale, di scrivere a studenti e studentesse per ricordare loro quale” glorioso giorno” rappresenti il 9 novembre, la caduta del muro d Berlino.

Loretta Deluca

Insegnante. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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