Gli insulti di Jovanotti alla cultura ecologica e il silenzio di convenienza della politica
Torno su uno dei tanti fatti inaccettabili che stanno macchiando questa estate bollente: le dichiarazioni di Jovanotti intorno al suo JovaBeachParty. Ci torno innanzitutto perché non posso accettare di ricevere dell’”econazista” -io come tanti altri che hanno “osato” sollevare dubbi- per di più nel bel mezzo di un tempo storico dove le destre e i nostalgici del fascismo potrebbero prendere il potere e farci tornare nel buio più buio. E non ci sto neppure a sopportare il silenzio di quasi tutti i politici che occupano le prime pagine di social e media i quali nulla dicono e han detto sull’accaduto, nulla sulle parole impronunciabili rivolte agli attivisti ambientali e nulla sulle mancate scuse da parte dell’artista pop a cui peraltro nessuno ha dato del “popnazista”. Probabilmente hanno fatto i loro conti e sanno che a dire qualcosa ci si potrebbe scottare e perdere molti voti. E così fan finta di niente e giocano la carta colpevole dell’inazione, della bocca cucita: giusto per non sbagliare. E invece sbagliano, eccome se sbagliano.
Per chi si è perso i fatti, questi sono semplici. Un cantante vuole fare i suoi concerti sulle spiagge italiane e li vuole fare pure sventolando ai quattro venti che sono una esperienza green; un gruppetto di ambientalisti gli fa notare che non è proprio così e che le coste sono ambienti fragili; e lui gli scodella addosso, in men che non si dica, che sono degli econazisti; il 9 agosto interviene a loro difesa (e a difesa delle coste) Mario Tozzi sulle pagine de La Stampa spiegando, pacatamente e con dati scientifici alla mano, i danni che eventi del genere procurano, facendo anche notare la sgradevole e irricevibile uscita con cui si è rivolto agli oppositori; il Jova replica l’11 agosto dando le sue ragioni, sventolando l’appoggio del Wwf e il fatto di aver tutti i permessi e che i ripristini che farà renderanno addirittura migliori le spiagge oltre al fatto che nei suoi concerti si fa educazione ambientale. E non si scusa affatto di aver detto “econazisti” a chi ha sollevato ragionevoli dubbi (in un Paese che ad oggi è ancora abbastanza democratico).
La questione rimane quindi grave. Grave perché innanzitutto ci conferma che se in questo Paese sei famoso, ricco e mobiliti consensi di massa, puoi fare quel che vuoi e la politica sta a guardare. C’è chi si è fatto un vulcano nella propria villa, chi se ne costruisce una sul mare e chi organizza i suoi concerti a pagamento per sé sulle spiagge di tutti e della natura innanzitutto. Quindi la morale è: se pago, se sono famoso, se sono ricco, posso pretendere e gli altri stiano muti. Quel che è accaduto fa passare questo messaggio che è dannosissimo per la cultura ecologica ma anche, attenzione, per quella democratica. Ed è su questo punto scivoloso che dovrebbero intervenire la politica e i politici mettendoci la faccia. Ma non mi pare sia accaduto.
Ho scorso i siti dei principali partiti: nulla di nulla. Non vi sono state repliche sui media. Nessun appoggio dai politicanti a Mario Tozzi. I neocandidati dei Verdi, con il loro leader, non hanno neppur cinguettato un tweet. Insomma, c’è uno che va sulle spiagge di mezza Italia sparando a zero su quelli che non sono d’accordo e dandogli pure dei nazisti, seppur green, e nessuno dei big democratici fiata? Evviva. Quale transizione ecologica ci attende da costoro se nessuno di loro ha il coraggio di metterci la faccia? Quale cambiamento di modello di sviluppo può mai arrivare da chi sta zitto davanti a tutto ciò anteponendo il proprio tornaconto elettorale alla necessità di dichiarare da che parte stare? Un brutto schiaffo anche per i giovani e la loro educazione. Già perché lo spettacolino loro offerto è quello di un loro leader pop che schiaccia come formiche, con grande rispetto per costoro, le ragioni ambientaliste. Hanno imparato che i vincenti sono quelli che alzano la voce, insultano e sono ricchi e gli altri sono perdenti: tanto vale stare con i vincenti. E dire che proprio qualche giorno prima di tutto ciò (8 agosto su la Repubblica), in risposta a un mega appello di alcuni ecoscienziati, nove sindaci smart si sono riempiti la bocca dicendo che occorrono politiche coraggiose. Ecco la spiaggia dove mostrare il vostro coraggio. È qui che serve, ma nessuno ce l’ha messo. Temo perché non gli convenga o, diranno loro, non gli compete rifugiandosi dietro la foglia di fico della burocrazia delle competenze che un attimo prima loro stessi contestavano perché gli lega le mani. Ed è la convenienza egoista il motore di tutta questa vicenda, uno dei pilastri del pensiero consumistico che ovviamente è disinteressato ai beni comuni, alla cosa di tutti, alla natura come bene universale. A cui piace la secessione, l’autonomia differenziata, la flat tax e cose del genere. Ed è questo accettare silenziosamente la convenienza come principio su cui poggiare un progetto di democrazia che dovrebbe ancor più farci andare su tutte le furie. Si fa quel che conviene in funzione di un profitto personale. Se a uno conviene star zitto in previsione di un proprio vantaggio politico, sta zitto e rinuncia a fare il politico. Se uno vuol fare il botto con i concerti e sceglie di farli “diversi” perché gli conviene, lo fa. E questo virus della convenienza egoistica che non riconosce limiti né nell’interesse comune né men che meno nell’interesse ecologico è una patologia grave di questo tempo e non certo un pilastro di cui andare fieri.
Vengo ora, pur in breve, alla replica di Jovanotti su La Stampa (11 agosto) perché anche qua ci sono passaggi inaccettabili, oltre a un tono arrogante e accusatorio (si veda il Ps), che rischiano di passare non solo per normali ma addirittura per giusti ed ecologici, piegando ovviamente il concetto di ecologia all’interesse di pochi o svilendolo a una buona azione green. Va da sé, come ho già detto, che la replica inizia proprio affermando di non volersi pentire per le affermazioni precedenti.
Concentriamoci su un paio di “argomenti ecologici” che il Jova usa. A un certo punto, per auto approvarsi, dice che le spiagge selezionate per i concerti sono quelle “dove le ruspe ci passano quasi tutte le mattine da maggio a ottobre”, non rendendosi conto di almeno due cose. La prima è che le ruspe non dovrebbero proprio passarci sulle spiagge perché danneggiano un ecosistema delicato, torturandolo solo a fini commerciali e speculativi, quelli degli stabilimenti balneari, peraltro, spesso inaccessibili alle fasce più deboli (e tema esplosivo per i governi). La seconda, forse più grave, è che la premessa di un danno o di un uso non ecologico diviene il lasciapassare incontrovertibile per un ulteriore uso non ecologico, e questo è il principio di ogni fine delle tutele (peraltro il divo pop sta dicendo, senza rendersi neppur conto, che i concerti impattano eccome). Jovanotti sta usando la teoria del vetro rotto a suo vantaggio: laddove tutto è eccezionalmente bello (lui cita la spiaggia di Budelli) allora lasciamo così, laddove c’è qualche danno, allora tanto vale aggiungerne altri. Ma è pazzesco. Bisognerebbe ragionare al contrario: dove la natura è compromessa, soccorriamola per ripristinare le sue migliore condizioni. E dove sta bene, eleviamo le tutele affinché non venga in mente a qualcuno di fare cose “pazze”.
Lasciar correre questo uso e abuso della teoria del vetro rotto da parte di un influencer come Jova significa poi ritrovarci i suoi effetti altrove e ovunque: se la periferia è brutta, possiamo farci una discarica; se un campo è abbandonato, possiamo asfaltarlo; se un bosco è stato danneggiato, possiamo abbatterlo; se un campo è piccolo, possiamo cementificarlo. Insomma le vittime non meritano più cure ma ancor più danni. Capite il disastro culturale? Vi è un altro passaggio grave tra i tanti. Jovanotti chiude poi il suo articolo invitando Tozzi a prendere una birra al suo concerto. Una specie di fine a taralluci e vino. Così Tozzi si potrà rendere conto che usano contenitori “compostabili”. Ed ecco un’altra follia culturale che passa per normale e anzi fa dell’uomo qualunque un eroe ecologico: basta fare la raccolta differenziata, usare un bicchiere compostabile e il nostro “dovere” ambientale lo abbiamo fatto, l’assoluzione è ottenuta. Non solo: la questione culturale si schiaccia di nuovo su un oggetto che incorpora una prestazione ambientale trasferendo così al suo utilizzatore una sorta di patente da buon ambientalista. Sappiamo che non è così, ovviamente. Questa non è che una neo frontiera del consumismo che si veste di verde e continua a non cambiare il modo di pensare noi stessi sul pianeta. Ridurre l’ambientalismo al bicchiere compostabile è puro pensiero ecologista superficiale, direbbe Arne Naess, teorico dell’ecologia profonda.
Non ci rendiamo conto, e di nuovo mi rivolgo all’inaccettabile silenzio dei politici, che queste risposte da parte di persone influenti hanno gravissime ricadute sulle persone e non ci fanno cambiare, ma anzi irrobustiscono la nostra spocchia di sapiens dominanti che tutto possono fare e hanno diritto di fare in perfetto stile “pago pretendo”. Penso a quanto degli sforzi immensi dei nostri insegnanti vengono bruciati dalla risposta di Jovanotti, laddove nelle classi spiegano con fatica la natura e il suo rispetto, ancor più quando è già compromessa e degradata. Ma penso, purtroppo, che tutta questa vicenda, oltre a mettere in mostra la miseria di chi ha un ruolo pubblico e di rappresentanza e tace, mostra ancora una volta che la nostra cultura ecologica è fragile e basta poco a spazzarla via. Se nessuno fiata, non rilevando in questa vicenda un profilo di gravità, forse è proprio perché non abbiamo gli strumenti per riconoscere a sufficienza cosa è un ecosistema e quali danni si generano deturpandolo. Pensate che bello sarebbe stato e sarebbe, sentire i leader dei partiti in lizza per la prossima legislatura dire a gran voce (e riempire una pagina di giornale) che verranno quintuplicati gli investimenti in cultura, ricerca e soprattutto in divulgazione ambientale. Ma nessuno dice questo sebbene tutti si siano accodati a piangere, giustamente, la scomparsa di Piero Angela, grandissimo divulgatore. Peccato che nessun programma politico preveda uno straccio di investimento nella divulgazione scientifica (men che meno nella formazione ecologica di aspiranti politici): probabilmente basta mettere dei bicchieri compostabili alla Camera e al Senato e fare così di un Parlamento un ecoParlamento. E vissero tutti felici e contenti: loro, non l’ambiente, non gli altri.
Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)
17/8/2022 https://altreconomia.it
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