Gli italiani e la scomparsa del futuro
Poche righe sui giornali e poi il rapporto pubblicato dal CENSIS, il 6 dicembre, sulla situazione sociale del Paese è uscito dai radar della politica e dell’informazione. Ma bisogna ritornarci perché questa diagnosi sullo stato della società italiana al 2019 ci pone degli interrogativi a cui non possiamo sfuggire sulla dimensione di senso della nostra vita come comunità politica organizzata in uno Stato democratico.
L’indagine del CENSIS ci proietta l’immagine di un incubo. Di una società ammalata in cui ricorrono stati emotivi generalizzati come ansia, stress, solitudine, sfiducia, paura, furore. Il rapporto parla di una società ansiosa, macerata dalla sfiducia. L’incertezza è lo stato d’animo con cui gli italiani guardano al futuro. Ma come siamo arrivati a questo punto? Secondo il rapporto:
Gli italiani avevano dovuto prima metabolizzare la rarefazione della rete di protezione di un sistema di welfare pubblico in crisi di sostenibilità finanziaria, destinando risorse crescenti a strumenti privati di autotutela e introiettando l’ansia del dover fare da soli rispetto a bisogni non più coperti come in passato. Poi avevano dovuto fare i conti con la rottura dell’ascensore sociale, assumendo su di sé anche l’ansia provocata dal rischio di un possibile declassamento sociale. Anche perché la nuova occupazione creata negli ultimi anni è stata segnata da un andamento negativo di retribuzioni e redditi. Oggi il 69% degli italiani è convinto che la mobilità sociale è bloccata. Il 63% degli operai crede che in futuro resterà fermo nella condizione socio-economica attuale, perché è difficile salire nella scala sociale. Il 64% degli imprenditori e dei liberi professionisti teme invece la scivolata in basso. Venuti meno i pilastri del modello tradizionale di sviluppo, agli italiani non è arrivata però l’offerta di percorrere insieme nuovi sentieri di crescita per costruire il futuro. […] Contando di fatto solo sulle proprie forze, gli italiani hanno quindi messo in campo stratagemmi individuali per difendersi dalla scomparsa del futuro, in una solitaria difesa di se stessi. […] Finché l’ansia è riuscita a trasformarsi in furore, e il furore di vivere non è scomparso dai loro volti, non c’è stato alcun crollo. Ma ora c’è un prezzo da pagare. Lo stress esistenziale, logorante perché riguarda il rapporto di ciascuno con il proprio futuro, si manifesta con sintomi evidenti in una sorta di sindrome da stress post-traumatico. Nel corso dell’anno il 74% degli italiani si è sentito molto stressato per questioni familiari, per il lavoro o senza un motivo preciso. Disillusione, stress esistenziale e ansia originano un virus che si annida nelle pieghe della società: la sfiducia. Il 75% degli italiani non si fida più degli altri.
Naturalmente le conseguenze di questa crisi collettiva di fiducia si manifestano anche in campo politico e aprono la strada: «a tensioni che si pensavano riposte per sempre nella soffitta della storia, come l’attesa messianica dell’uomo forte che tutto risolve. Il 48% degli italiani oggi dichiara che ci vorrebbe un “uomo forte al potere” che non debba preoccuparsi di Parlamento ed elezioni». L’aspettativa dell’avvento dell’uomo forte non è frutto di impazzimento collettivo ma è direttamente collegata al disagio sociale. Infatti il rapporto osserva che il dato sale al 56% tra le persone con redditi bassi, al 62% tra i soggetti meno istruiti, al 67% tra gli operai.
Sullo sfondo c’è quello che il rapporto chiama “il bluff dell’occupazione che non produce reddito e crescita”, a causa della diminuzione del lavoro a tempo indeterminato a fronte dell’incremento di forme di occupazione precarie e sottopagate. L’elemento determinante, il nucleo della crisi che provoca il declino della società italiana e il suo precipitare nell’angoscia è la scomparsa del futuro. Nessuna società umana può vivere armoniosamente se non ha un futuro in cui credere, se non c’è un orizzonte comune in cui tutti si possano riconoscere nella dimensione della speranza. La scomparsa del futuro è certamente frutto di una crisi economica prolungata, ma il problema non è la crisi in sé ‒ in altre epoche storiche il nostro paese ha vissuto situazioni molto più disastrate ‒ bensì la capacità della politica di reagire alla crisi e di indicare un progetto di futuro verso il quale dirigersi. E tuttavia non può esistere un futuro se si perde di vista il passato. Quando nella società cresce l’aspirazione per l’uomo forte, vuol dire che si è perduto l’insegnamento che viene dal passato, che il passato è stato cancellato. Ma noi sappiamo che non vi può essere futuro senza passato.
Domenico Gallo
20/12/2019 volerelaluna.it
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