Gli occhi del mondo puntati sul Venezuela. L’estrema destra cerca il colpo di stato
Nicolas Maduro è stato rieletto presidente del Venezuela con 5.150.902 (51,9%) sul candidato della Plataforma Unitaria Democrática (Pud), Edmundo González, che ha totalizzato 4.445.978 (44,2%). Un risultato irreversibile con l’80% di schede scrutinate. Per il resto dei conteggi bisognerà aspettare che venga totalmente ripristinato il sistema di trasmissione elettronico, attaccato con vari atti di hackeraggio durante lo spoglio di domenica scorsa.
Lo hanno denunciato in diretta le autorità del Consiglio nazionale elettorale (Cne) verso mezzanotte. E lo ha spiegato in dettaglio il presidente Maduro durante l’atto di giuramentazione che si è svolto nella sede del Cne e alla presenza di quasi 900 accompagnanti internazionali, provenienti dai cinque continenti.
Un nutrito gruppo di persone, che ha potuto seguire da vicino tutte le fasi di questa elezione e che ha redatto informative dettagliate per i partiti o le organizzazioni di appartenenza, ma che sono stati “totalmente invisibilizzati” perché la verità dei fatti deve far spazio alle interpretazioni che servono all’imperialismo per i propri piani.
Il piano dell’estrema destra – ha denunciato il presidente – era quello di impedire con ogni mezzo il conteggio del voto, per mettere in atto il copione già pronto, preparato in dettaglio già durante la giornata del voto, quando l’estrema destra aveva diffuso falsi dati che attribuivano la vittoria al suo candidato.
Principale protagonista di questo show, che ripete uno schema già visto in precedenza, Maria Corina Machado, ex deputata filoatlantica, inabilitata per golpismo, ansiosa di imporre in Venezuela l’ultra-liberismo di Milei in politica interna, e il sionismo modello Netanyahu in politica estera.
Su questa base, il sistema internazionale che la sostiene ha dato avvio a un poderoso attacco a colpi di comunicati e pronunciamenti nei quali uno “esige” e l’altro “ordina”, l’altro ancora “non riconosce”.
La compagnia è nota: si va da ex padrini del paramilitarismo come il colombiano Alvaro Uribe, ai componenti dell’ex Gruppo di Lima, che si intende riesumare per l’occasione. Per questo, nove paesi latinoamericani – Uruguay, Argentina, Costa Rica, Ecuador, Guatemala, Panamá, Paraguay, Perú y Repubblica Dominicana – hanno manifestato la loro “profonda preoccupazione” per il risultato del voto, e, in una dichiarazione congiunta, hanno preteso “la revisione completa” del voto e chiesto all’Organizzazione degli Stati Americani (Osa) una riunione urgente dell’organismo.
Per tutta risposta, il governo bolivariano ha ordinato a sette paesi – Argentina, Costa Rica, Panamá, Perú, Repubblica Dominicana, Uruguay e Cile – di ritirare il loro personale diplomatico dal Venezuela e ha fatto lo stesso con i propri ambasciatori. Tutti avevano rifiutato di riconoscere i risultati.
“La República Bolivariana del Venezuela – dice il comunicato – esprime il suo più fermo rigetto delle azioni interventiste e alle dichiarazioni di un gruppo di governi di destra, subordinati a Washington e apertamente impegnati con i più sordidi postulati ideologici del fascismo internazionale, per cercare di rieditare lo sconfitto Gruppo di Lima, e che pretendono disconoscere i risultati elettorali del 28 luglio 2024”.
Vi sono stati, però, anche alcuni pronunciamenti inopinati, provenienti dal Brasile o (parzialmente) dalla Colombia, che hanno prestato il fianco alla versione dominante diffusa dall’opposizione, che sostiene di avere in mano una quantità di schede non corrispondenti. Una cosa impossibile, perché ogni votante e ogni partito, di qualunque colore, ha in mano la copia automatizzata del voto emesso, e tutti i partiti hanno quello che viene chiamato “il salame”, ossia la stampa automatica di tutti i voti emessi in quel seggio (che chiunque può richiedere).
Il numero dei voti deve corrispondere al numero di biglietti inseriti manualmente in una scatola di cartone da ogni votante, la cui identità è stata verificata in base all’impronta corrispondente alla carta d’identità, e che vengono controllati immediatamente dopo la chiusura del seggio per i riscontri. Prima, durante e dopo il voto, vengono effettuale 16 verifiche, a cui hanno assistito gli accompagnanti internazionali.
Una fondamentale garanzia è determinata dal fatto che ogni forza politica possiede solo una parte della password d’entrata alla verifica del sistema, che per essere azionato necessita dell’apporto di tutti. Per questa ragione, quando l’opposizione (per guadagnare tempo, e diffondere l’idea di brogli di cui sarebbe stata vittima), richiese il ri-conteggio manuale dei voti dopo la prima elezione di Maduro, nel 2013, ci vollero mesi, però il riscontro risultò corrispondente a quello emesso dal Cne: al 98,8%. Ma, intanto, il danno era già stato fatto, e questo importava alla destra.
In base ai risultati offerti dalle schede scrutinate, le proiezioni consentono anche di prevedere che il risultato conclusivo, al 100% delle schede, farebbe arrivare Maduro a 6.462.733 preferenze, Edmundo González a 5.556.676. Per fare un confronto, nel 2018 il chavismo ha ottenuto 6.190.612 voti, il risultato più basso degli ultimi anni. Ora, potrebbe aumentare almeno di altri 250.000 voti.
Cosa spiega, dunque, le dichiarazioni di alcuni presidenti progressisti latinoamericani, come Lula, o ex presidenti, come Cristina Kirchner, che sono passati per lo stesso tipo di aggressioni dell’imperialismo? Lula da Silva ha proposto “una commissione di controllo internazionale, con l’appoggio delle Nazioni unite per risolvere il rebus delle schede”.
Un intervento assai fuori luogo: considerata la quantità di movimenti e politici brasiliani presenti in Venezuela (c’è anche il suo consigliere politico, Celso Amorin); considerata la consonanza tra le posizioni dell’estrema destra venezuelana e quella che sostiene Bolsonaro; e considerate le dichiarazioni di tono ben diverso fornite in altre occasioni da Lula per lodare la democrazia “partecipata e protagonista bolivariana, che passa da un’elezione all’altra”. E Maduro ha indetto un’altra consultazione popolare sui progetti da finanziare alle comunità per il 25 di agosto.
Al contempo, con un comunicato del ministero degli Esteri, il governo brasiliano ha espresso la sua soddisfazione per il carattere “pacifico” della giornata elettorale in Venezuela, e ha detto che continuerà a “monitorare” da vicino il seguito del processo elettorale per capire come si è arrivati al risultato.
Per non parlare di Gabriel Boric, in Cile, il cui sguardo è totalmente rivolto al nord, e assolutamente dimentico delle analogie fra quanto accade al Venezuela bolivariano e quel che accadde ad Allende in Cile.
Inutile fare gli struzzi, in ballo c’è il feticismo della democrazia borghese, che spiega sostanzialmente perché i loro governi si siano consegnati mani e piedi ai meccanismi che li hanno stritolati, senza far leva sulla forza della lotta di classe. Di conseguenza, oggi i loro paesi o sono stati devastati dal ritorno in forza dell’estrema destra, come in Argentina, o essi guidano governi che si reggono su precari equilibri di cui devono tener conto per non scontentarne i vari settori, oppure hanno disatteso platealmente le speranze di chi li aveva eletti.
E per questo devono fornire all’imperialismo costanti attestati di “democrazia”, che passano per la dissociazione dai processi reali di cambiamento nel loro continente. Non avviene così, e da tempo, anche nei paesi europei, ove per essere accolti nei salotti buoni della politica-spettacolo ci si deve ormai dissociare dai moti di Spartaco in poi?
Intanto, il Procuratore Generale, Tareck William Saab, che sta gestendo la denuncia penale in merito al sabotaggio del voto, ha assicurato che si sta lavorando al ripristino della pagina del Cne, sulla quale, come sempre, comparirà il dettaglio dei voti nei singoli collegi. Il ritardo è, d’altronde, irrisorio rispetto ai tempi d’attesa in altre “democrazie”. “L’attacco – ha detto Saab – è stato organizzato dalla Macedonia del Nord, con l’intenzione di manipolare i dati che si stavano ricevendo nel Cne”.
Fra coloro che contestano i risultati, prendendo per buone le denunce dell’estrema destra, oltre agli Stati uniti e all’Unione europea, si è fatto sentire Elon Musk, magnate delle reti sociali, fondatore di Tesla, che è intervenuto sul tema con arroganza ed epiteti offensivi nei confronti del presidente Maduro: il quale ha reagito con orgoglio, senza sottrarsi allo scontro, e denunciando i veri interessi del magnate, da sempre apertamente schierato con i progetti ultra-liberisti di Machado.
Oltre ai paesi dell’Alba, hanno difeso la sovranità del Venezuela anche Cina, Russia, Iran, Siria e Messico, e gli accompagnanti internazionali hanno diffuso vari comunicati di sostegno, a testimonianza della trasparenza dell’elezione.
E mentre la destra moderata ha ripetuto gli inviti alla pace e alla convivenza, e così ha fatto addirittura Fedecamara, la Confindustria venezuelana, l’estrema destra ha già messo in atto il copione stabilito, organizzando focolai di violenza in varie parti del paese. Machado ha chiesto l’intervento del Comando Sur e degli Stati uniti, e nuove sanzioni per il paese.
Vi sono stati incendi e aggressioni. Il presidente ha mostrato in diretta i video di alcuni attacchi e commentato però anche il tentativo di creare panico e caos mediante la diffusione di video degli anni passati, che mostrano solo un particolare, ma non il contesto generale che indica bambini intenti a giocare e cittadini che vanno a spegnere l’incendio appiccato usando acqua piovana.
Si tratta di un’estrema destra aggressiva e ben finanziata, che (come chi scrive ha potuto osservare anche in questa occasione), da anni ha cominciato a usare la grande criminalità, dopo che il socialismo le aveva tolto il terreno sotto i piedi, dando lavoro e coscienza ai marginali. Gli aggressori, filmati o arrestati per le violenze scattate già nella notte di domenica sono giovani con gli occhi spiritati e l’eloquio sconnesso per l’abuso di droghe.
Come nelle precedenti “guarimbas” affermano di aver ricevuto un compenso di 150 dollari giornalieri da parte di un incaricato che regge i cordoni della borsa, e che fa parte dei cosiddetti “comanditos” elettorali di Machado e compari.
Aggrediscono e linciano militanti isolati. Bruciano le sedi socialiste con i militanti dentro. E piagnucolano presso i loro padrini per presentarsi come “combattenti per la libertà”. Provano a innescare in Venezuela la riedizione della “rivoluzione di colore” di Maidan. Sanno che se cade il Venezuela bolivariano riusciranno a portare la guerra imperialista anche nel continente latinoamericano, fino ad ora rimasto immune.
È il voto torvo del fascismo, lo stesso che vediamo in Europa. Ma qui non l’avranno facile, anche perché la stessa militanza della destra è stufa, vuole solo vivere in pace e aumentare i propri affari. Infatti, già al secondo giorno, le violenze sono diminuite. E non è vero, come vogliono far credere, che qui si stia rompendo l’unione civico-militare.
E il popolo è già sceso in piazza per moltiplicare le mobilitazioni. E per difendere il palazzo di Miraflores. Da una parte all’altra del paese, lo stesso grido: “No volverán”. Non torneranno.
Geraldina Colotti
30/7/2024 https://www.lantidiplomatico.it
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