Governo Meloni, la fabbrica delle emergenze
Più minori in carcere, più aggravanti per tutti. Dai rave a Caivano, dalla resistenza passiva alla gestazione per altri. Hanno rinunciato a quasi tutte le grandi riforme, non hanno provvedimenti-bandiera da sventolare ma posseggono un’attitudine, un talento particolare: inventano reati come nessun altro.
di Susanna Turco da l’Espresso
l governo guidato da Giorgia Meloni è una fabbrica di commi, codicilli e aggravanti come il governo Berlusconi poteva essere una fabbrica di scudi personali a tutela del Cavaliere: stavolta l’abbondanza serve a coprire un vuoto di prospettiva, con la fantomatica indicazione di nemici di volta in volta diversi. Da solo, ad esempio, il ddl sicurezza – giunto al secondo passaggio ma che forse sarà modificato ancora per recepire le perplessità del Quirinale – prevede di introdurre almeno 14 reati e 9 aggravanti, come ha fatto notare Gianluigi Gatta, docente di diritto penale, in audizione al Senato.
Ad esempio prevede la cosiddetta norma anti-Gandhi, vale a dire la galera per chi blocca una strada o una ferrovia, il reato di rivolta carceraria che punisce pure la resistenza passiva, anche questo piuttosto anti-gandhiano considerando che potrebbe applicarsi a un detenuto in sciopero della fame, ma anche a un immigrato richiuso in un Cpr visto che c’è un nuovo reato anche per questo, inasprisce le pene per chi protesta davanti a opere pubbliche strategiche, come ad esempio il ponte sullo Stretto e la Tav, vieta ai migranti senza permesso di soggiorno di comprare una sim per telefonare, abolisce l’obbligo di rinviare l’esecuzione della pena per le donne in gravidanza e le madri di bambini sotto l’anno, cioè consente che un bambino passi in galera anche i suoi primi mesi di vita. E tutto questo escludendo per adesso l’ipotizzato scudo, o filtro, a tutela degli agenti. Appare un insieme troppo variegato? È la logica del pacchetto, approvato in Consiglio dei ministri a novembre 2023 e scongelato in Parlamento solo a metà maggio 2024, nel mezzo della campagna elettorale delle elezioni europee. Norme che hanno provocato, oltre ai cortei e alle proteste, anche la bocciatura da parte delle Nazioni unite e l’intervento del Consiglio d’Europa, che ha invitato il Senato a non adottare un testo che “restringe i diritti di manifestare pacificamente e la libertà di esprimere il proprio pensiero”.
Criminalizzare il dissenso, creare lo spazio per un’applicazione arbitraria e sproporzionata di reati spesso vaghi, è in effetti l’apoteosi di una strategia che cerca il titolone per mimare un attivismo nella stasi, minacciando invariabilmente chi non ha particolari leve di potere, si trova ai margini o in difficoltà. Non i grandi interessi o i grandi poteri: piuttosto i carcerati, gli immigrati, i disagiati, gli studenti, i dissidenti in genere. E meno male che, appena insediato, il guardasigilli Nordio ebbe a dire che “la velocizzazione della giustizia transita attraverso una forte depenalizzazione, una riduzione dei reati”.
È in realtà accaduto l’opposto. Gli unici reati che sono stati ridotti sono quelli contro la pubblica amministrazione: come l’abuso d’ufficio, abolito quasi integralmente, o il traffico di influenze, praticamente dimezzato. Per il resto si è alla moltiplicazione biblica. I pani, i pesci e le procedure. Per dare l’idea dell’emergenza sul fronte migratorio, si sono introdotte via decreto delle procedure di trattenimento nei centri di protezione temporanea che consentono di rinchiudere qualsiasi irregolare alla frontiera, salvo magari risultare inapplicabili.
Per dare il senso dell’emergenza sul fronte della lotta all’uso di droghe, si è sviluppata una lotta su più piani alla cannabis (per la medicina la meno pericolosa) e in ultimo una tolleranza zero nel nuovo codice della strada che, equiparando antidepressivi e ansiolitici a sostanze stupefacenti, ha fatto insorgere persino gli psichiatri, preoccupati che i loro pazienti smettano di curarsi. Per dare il senso di un’emergenza procreativa, si è deciso di rendere la gestazione per altri – pratica già vietata in Italia – perseguibile anche se realizzata all’estero da italiani: la famosa estensione “per tutto l’orbe terracqueo” che a Meloni non è riuscita contro gli scafisti, applicata invece ai genitori di bambini nati con la Gpa, anzi in realtà soprattutto ai bambini.
Tutto questo s’è visto fin dal primo giorno, quando il governo appena insediato ha vergato quel manifesto di intenti che è il decreto rave, col nuovo reato di occupazione di terreni ed edifici per raduni illegali. Una norma che, come ha detto lo stesso Nordio nel question time la scorsa settimana, non si è alla fine applicata perché auto-deterrente a effetto immediato: in pratica una formula magica. L’emergenza è sparita, la zucca è tornata zucca dopo che il governo l’aveva dichiarata carrozza.
Più efficace, se possiamo dire così, è stato il decreto Caivano, approvato a novembre 2023: il mix di pene più severe per reati di lieve entità, estensione del Daspo ai minori sopra i 14 anni, multe più alte e reclusioni più facili, ha portato a un aumento costante dei minori in carcere, secondo i dati forniti dal capo dipartimento per la giustizia minorile Antonio Sangermano, in linea con quelli dell’associazione Antigone che già in primavera, rilevava numeri di ragazzini carcerati più alti di sempre, il 50 per cento in più rispetto all’inizio del governo Meloni, sintetizzandolo come “un modello criminalizzante e carceri-centrico”. Intanto però l’esecutivo ne va fierissimo e anzi prima di Natale ha licenziato il Caivano bis, per esportarlo in sei/sette aree disagiate d’Italia. Ai tempi dell’approvazione del Caivano originale, il ministro dei Rapporti col Parlamento Luca Ciriani andava dicendo che poteva chiamarsi tranquillamente “decreto Meloni”, non a caso.
25/1/2025 https://www.osservatoriorepressione.info
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