GUARDARE IL DITO E NON LA LUNA

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Parlare di noi è sempre difficile, non per amore della nostra privacy quanto per sottovalutazione, inconsapevole? del peso che hanno le nostre opinioni, i nostri comportamenti, le nostre scelte verso gli altri, disconoscendo le comuni condizioni che dovrebbero farci introiettare un principio attraverso il quale dedurre una verità elementare: gli altri siamo noi, a prescindere dalle particolarità di ognuno nella vita sociale come nel lavoro. Invece sono proprio quelle “particolarità” che portano a considerarsi diversi dal vicino di caseggiato, dal collega di lavoro, innescando così comportamenti, nonché opinioni politiche, che si foraggiano di individualismo che abbatte le nostra stessa personalità di individui componenti di una comunità di simili.

Quante volte vediamo nel collega di lavoro la causa non del disagio nel quale operiamo, non considerando che lui stesso è vittima di una disorganizzazione che lo induce a comportamenti professionali non adeguati?
Quante volte vediamo nella persona di colore il problema delle precarie condizioni sociali nelle quali stentiamo a vivere, a non avere un’occupazione?
Quante volte ci fermiamo a riflettere quanto di nostro ci sia nelle affermazioni che facciamo contro qualcuno che è disegnato dai messaggi che ci piovano addosso come un pericolo per i nostri diritti?
Quante volte ci informiamo sui cambiamenti che ci vengono proposti nelle regole dei governi nazionali e locali che determinano il vivere comune, imponendoci di rinunciare a luoghi nei quali possiamo farci ascoltare e decidere sui problemi di vita quotidiana che possono decidere se dobbiamo vivere disuguaglianze foriere di malessere a iniziare dalla salute?

Questo è quanto succede nella “normalità” ma oggi siamo proiettati in un’altra dimensione che ci conduce su percorsi alieni superando la stessa materialità del nostro poter dire e voler fare, è bastata la comparsa di un virus globale per amplificare all’ennesima potenza la cecità sul terreno concreto delle relazioni sociali come dell’economia e della politica che da questo virus hanno tratto ancor più vantaggio sulle disuguaglianze nei confronti, tratteggiando forme di dittatura diffusa ma silenziosa per le nostre orecchie che sentono solo un ronzio inquietante. Stiamo accettando di diventare ciechi e sordi vivendo di depressione, e apatia?

Come dimostrato dalla recente pandemia, i peggiori scenari escono alla luce della propaganda dei poteri dominanti nell’economia e nell’informazione globale in tutta la loro violenza e ci regalano, invadendo la nostra quotidianità, facendoci partecipi, a volte consapevolmente di un processo atto alla sorveglianza della massa funzionale al sistema economico che opera scelte che rappresentano un viatico facile, appunto perché condivise da troppi acriticamente, una accelerazione della trasformazione degli individui in merce, elaborando i dati comportamentali per minare il pensiero, l’autonomia e la dignità di massa. Un passaggio naturale dopo decenni di martellante propaganda dell’individualismo come maturazione, hanno detto, della soggettività esente dal confronto con la propria comunità sociale, nella stessa sfera lavorativa e a ricaduta nell’economia familiare.

Hanno creato il cittadino consumatore e spettatore delle decisioni politiche foriere delle tragedie di oggi, compreso il covid lasciato crescere in questi decenni fregandosene degli avvertimenti della scienza. Quella scienza avversa ai loro interessi di profitto economico e di potere politico basato sulla menzogna sulle produzioni alimentari nocive, ad esempio, che hanno ingrassato ulteriormente le multinazionali dell’alimentazione e quelle farmaceutiche pronte a produrre palliativi farmacologici per le malattie, vere o presunte, insorte dai pesticidi in tutti i cibi e i prodotti vari che consumiamo.

Spettatori? Le televisioni degli ultimi trent’anni non bastavano più per fagocitare compiutamente la massa, ed ecco prontamente arriva l’utilizzo dei social media che ci rende anche produttori di informazioni monetizzabili vendute a terzi, quindi al servizio, gratuito, della ricchezza del capitalismo digitale.
Noi crediamo che servono a liberarci perché ci danno ampia libertà di parola, che è vero quando non ci lasciamo prendere la mano e quindi il cervello ma che “nei fatti rendono spettatori tutti noi, aggiungono all’effetto-spettatore due nuove e brutte dimensioni. La prima, terribile, riguarda l’indifferenza, o addirittura l’approvazione nei confronti di atti violenti condivisi su Facebook, Twitter, Instagram.
La seconda, meno spaventosa ma più sconfortante, riguarda il fatto che si tenda a scambiare un like attribuito a questa o a quella buona causa con un intervento concreto in favore di quella buona causa
”. Annamaria Testa, esperta di comunicazione (rivista Internazionale).

L’ansia di partecipazione sociale, venuta meno quella in presenza, e non parliamo della pandemia, nei corpi intermedi (come i Partiti espressione di confronto e decisioni di pratica collettiva; i sindacati produttori di conflitti propedeutici al miglioramento delle condizioni di lavoro e dello stato sociale; i comitati popolari atti alla formazione e al controllo delle decisioni locali; le istituzioni, dal Parlamento ai consigli regionali e comunali, come abito di confronto e di sintesi tra ipotesi diverse) si è riversata come un maremoto su internet, in tutte le sue articolazioni, anche trasformandoci inconsapevolmente in agenti attivi di disinformazione.
Le tecnologie di rete hanno rivoluzionato l’accesso, il consumo e la produzione di informazione: non solo abbiamo oceani di dati a portata di click in ogni momento della giornata, siamo anche in grado di distribuire a nostra volta tali informazioni ad altri, in primis attraverso i social media. Purtroppo, le nostre capacità cognitive non sono aumentate di pari passo, né avrebbero potuto, visto che evoluzione biologica e trasformazione culturale hanno ritmi diversi. Il risultato è che oggi siamo superficialmente informati su moltissimi temi, senza che ciò abbia ampliato il novero delle cose su cui davvero siamo competenti: anzi, i pessimisti sostengono che lo abbia ristretto, riducendo l’attenzione che prestiamo all’approfondimento.”
Dal libro “La disinformazione felice”

Una prova, una delle innumerevoli -davanti agli occhi di tutti, quando assumono il colore dell’obbiettività -sta nella ipotetica “lotta alla casta” che imperversato in questi ultimi due decenni facendo la fortuna di un clan (Casaleggio/Grillo) autodefinitosi Movimento, al quale si sogno aggregati onesti illusi, nullafacenti e figli di papà potentati come di famiglie cortigiane di ambiti finanziari e reazionari che hanno sempre operato, anche nelle sette massoniche segrete, per sovvertire la democrazia repubblicana, non facendosi scrupolo alcuno di utilizzare fascisti e mafia, coperti dai servizi segreti dello Stato, per le stragi di massa che hanno insanguinato l’Italia negli anni 70 e 80.

La fortuna di questi, la sfortuna di chi ha concesso loro un consenso quasi fanatico tale da portarli al governo investendoli di un compito al quale non potevano ottemperare data la loro quasi totale incompetenza politica e di preparazione su questioni legislative fondamentali per il nostro vivere materiale che è tutt’altra cosa dal “vaffanculo”. Ovviamente, sono diventati immediatamente casta a loro volta ingozzandosi dell’oblio popolare infinocchiato dall’oppio della propaganda sostenuta dalla casta “nobile” dei potentati mediatici e finanziari che hanno cavalcato la rivolta mediatica e di piazza del grillo venditore ambulante per rafforzare la loro entrata nelle leve dell’economia pubblica dalla porta principale, già semiaperta dai governi di Berlusconi e Renzi , spalancata quindi dai 5stelle, prima con la regia della “Bestia” Salvini e poi da quel blob mistificante della parola “Sinistra” qual è il PD, sempre operoso in questi ultimi due decenni nel ruolo di buon Padrino dell’ordine capitalistico nelle scelte di politica economica teorizzate e praticate con lo smantellamento graduale della Costituzione democratica.

Tutto questo lavorio ai fianchi della grossa parte popolo, drogato e asservito, ha prodotto, anche, l’aumento abnorme dei costi della politica isolando, però, i cittadini paganti relegati al ruolo di spettatori portati per mano come i bambini a guardare il dito evitando accuratamente che possano vedere la luna ben offuscata dalle loro favole raccontate come diversivo sulla realtà dei loro crimini sociali che hanno allargato la forbice tra ricchi e poveri, in particolare tra i banditi del profitto e delle rendite da un lato e lavoratori, pensionati e giovani dall’altro. In tutto questo s’inquadra il voto a perdere al referendum sull’inganno del taglio del Parlamento, sul quale gli italiani hanno risparmiato un caffè al giorno senza badare alla ricca tavola imbandita, a loro spese, degli stipendi dei parlamentari. Uno dei tanti paradossi che fanno dell’Italia il teatro dell’assurdo.

Non c’è via uscita da questo teatro dove le porte sono state sbarrate e siamo destinati a morire di inedia o, peggio ancora, di quelle sofferenze terminali prodotte da questo sistema anche, e soprattutto, con il venir meno del diritto alla salvaguardia della nostra salute con la programmata fine della sanità pubblica, come degli omicidi quotidiani sul lavoro? No, una via d’uscita c’è sempre se prendiamo in mano il nostro destino e capiamo che “La libertà non è star sopra un albero, non è neanche un gesto o un’invenzione, la libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”. Giorgio Gaber

Partecipazione è sinonimo di lotta!

Franco Cilenti

Editoriale del numero di ottobre del mensile Lavoro e Salute

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