Guerra a Gaza: perché l’Occidente sta abboccando al piano di Israele per distruggere l’UNRWA?
di David Hearst,
Middle East Eye, 1 febbraio 2024.
Se Israele riuscisse a persuadere Biden a eliminare l’UNRWA e a trasferire le attività dell’agenzia ad altre organizzazioni, l’ONU non riconoscerebbe più come rifugiati più di cinque milioni di palestinesi.
Ora è chiarissimo cosa i funzionari israeliani avevano in mente quando hanno informato il New York Times e il Wall Street Journal sulla presunta infiltrazione di Hamas nell’Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei profughi palestinesi (UNRWA).
Trovo ancora difficile capire la facilità con cui i governi di tutto il mondo occidentale abbiano abboccato all’esca, senza alcuna verifica dei fatti, e come, in un batter d’occhio, 17 paesi che contribuiscono più di 440 milioni di dollari, la metà del budget operativo dell’UNRWA, hanno sospeso i loro finanziamenti.
Nel fine settimana in cui questi paesi avrebbero dovuto pensare a togliere ogni finanziamento a Israele in seguito al verdetto della Corte Internazionale di Giustizia sulle misure provvisorie riguardo al caso di genocidio intentato dal Sudafrica contro Israele, si è parlato invece di defiscalizzare l’unica agenzia delle Nazioni Unite che tiene in vita i palestinesi a Gaza.
Nel caso che qualcuno l’avesse dimenticato, c’è una guerra in corso a Gaza.
L’UNRWA dà attualmente rifugio a oltre un milione di sfollati palestinesi a Gaza, in 154 diverse località. Non si tratta solo dei 13.000 palestinesi a cui dà lavoro come suoi impiegati; l’UNRWA è la più grande agenzia di soccorso che opera in questa zona di guerra, una zona di distruzione senza precedenti.
I camion dell’UNRWA, guidati da autisti dell’UNRWA, raccolgono i magri rifornimenti che arrivano dai confini. Si occupano del carico e dello scarico, organizzano gli aiuti nei loro magazzini e li distribuiscono. Riforniscono anche altre agenzie delle Nazioni Unite.
“Se l’UNRWA scomparisse, le conseguenze per Gaza sarebbero catastrofiche”, ha dichiarato Juliette Touma, direttore delle comunicazioni dell’UNRWA.
Eppure, che l’UNRWA debba cessare le operazioni è ora una possibilità molto concreta.
“Se i finanziamenti non riprendono, non saremo in grado di continuare il nostro lavoro umanitario, incluso quello che facciamo a Gaza, oltre la fine di febbraio. Non abbiamo riserve, né risparmi a cui attingere in caso di necessità”, ha aggiunto Touma.
Un elenco crescente di falsificazioni
Nessuno ha pensato a tutto questo nei 17 paesi [Italia compresa, NdT] che hanno sospeso i finanziamenti.
In un attimo, l’esercito israeliano che ha ucciso oltre 152 dipendenti dell’UNRWA a Gaza, si è trasformato, nella mente di questi paesi, in una vittima dell’agenzia ONU che era stata “infiltrata da Hamas”.
I media internazionali hanno riprodotto senza avanzare alcun dubbio il “dossier” di presunte prove che Israele ha distribuito ai giornalisti, dossier che non ha mai consegnato formalmente all’UNRWA stessa.
L’agenzia delle Nazioni Unite ha saputo per la prima volta dell’accusa secondo cui inizialmente 12, poi 190, poi 1200 dei suoi dipendenti erano “membri di Hamas” solo quando ne ha letto sui media. L’UNRWA condivide regolarmente gli elenchi dei suoi dipendenti con Israele e con i governi dei paesi che ospitano i rifugiati palestinesi.
Lo scorso maggio, ha consegnato a Israele un elenco di tutti i suoi dipendenti a Gaza, nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. “Non abbiamo mai ricevuto una risposta, tanto meno un’obiezione”, ha spiegato Touma.
Sicuramente se Israele avesse raccolto informazioni sulla penetrazione di Hamas in un’agenzia ONU di vitale importanza con così tanti dipendenti nei territori occupati, avrebbe potuto segnalare queste preoccupazioni nel 2023 o in qualsiasi altro anno precedente. Uno stato ospitante ha l’opportunità di farlo, eppure questo non è mai accaduto. L’UNRWA esiste da quando esiste lo Stato di Israele.
Nessuno si è soffermato a esaminare la credibilità delle affermazioni dell’esercito israeliano, specialmente alla luce della crescente lista di ben note falsificazioni che lo stesso esercito ha fabbricato per coprire le sue uccisioni di civili a Gaza.
Una delle affermazioni israeliane più incredibili è che i soldati avrebbero trovato un computer in cui sono elencati i membri di Hamas e avrebbero fatto un controllo incrociato con l’elenco del personale fornito dall’agenzia delle Nazioni Unite. Da ciò, hanno dedotto che circa il 10% dei 13.000 dipendenti dell’UNRWA a Gaza erano membri di Hamas.
Chiedete a qualsiasi esperto di controinsurrezione come si organizzano i movimenti islamici e vi diranno che non esiste un elenco di questo tipo. Hamas non ha un elenco di membri. Anche in Paesi come la Giordania, dove la Fratellanza Musulmana è ufficialmente riconosciuta, non esistono liste di membri della Fratellanza. Non esistono nemmeno in Egitto o in qualsiasi altro Paese in cui la Fratellanza ha una presenza politica.
Questo è il problema che l’ex diplomatico britannico John Jenkins ha dovuto affrontare quando ha scritto il suo rapporto sulla presenza dei Fratelli Musulmani in Gran Bretagna. All’epoca mi disse: “La Fratellanza non ha un indirizzo postale in questo Paese. Non c’è nulla da sequestrare, anche se lo volessimo”.
C’è una ragione per questo: i movimenti islamisti sono organizzati e finanziati in cellule la cui esistenza è tenuta segreta dagli uni agli altri.
Un’intelligence poco affidabile
Questo vale in particolare per un’organizzazione militare come Hamas.
I quattro uomini di Gaza che hanno organizzato l’attacco del 7 ottobre hanno tenuto segreto il piano a tutti i membri di Hamas al di fuori di Gaza, compreso il vice leader Saleh al-Arouri ucciso dagli israeliani a Beirut il mese scorso.
L’attacco del 7 ottobre è stato una sorpresa per tutti coloro che, vivendo nella diaspora, avevano dichiarato di essere in contatto con Hamas, che è un’organizzazione proibita nel Regno Unito.
La segretezza è incorporata in ogni livello della struttura di Hamas, ed è per questo che si sapeva così poco sul numero dei combattenti, sui metodi di reclutamento o sull’estensione della rete di tunnel. Anche il suo arsenale di razzi applicati a granate capaci di distruggere carri armati è stato una spiacevole sorpresa per l’esercito israeliano.
Tante sorprese vuol dire poca intelligence affidabile.
Per difendersi dalle critiche in patria sul fatto che non stesse facendo progressi nella campagna di terra, l’esercito israeliano ha affermato di aver scoperto un importante deposito di armi in uno dei tunnel. Per Hamas è stato facile negarlo.
Non hanno depositi di armi. Tutta la loro potenza di fuoco è distribuita e accuratamente nascosta per la fondamentale ragione militare che un deposito di armi di qualsiasi dimensione sarebbe vulnerabile agli attacchi aerei.
Tutti i giornalisti o i governi che ripetono a pappagallo le affermazioni israeliane dovrebbero ricordare quante volte negli ultimi quattro mesi l’esercito israeliano è stato sorpreso a fabbricare prove false su ciò che stava facendo a Gaza.
L’uccisione mirata del giornalista Hamza al-Dahdouh, figlio del capo ufficio di Al Jazeera a Gaza, Wael al Dahdouh, è uno dei tanti esempi recenti.
Hamza e il suo amico Mustafa Daraya facevano parte di un gruppo di giornalisti che stavano riportando la scena di un attacco aereo. Daraya era la persona di riferimento per le riprese con il drone a Gaza e il suo drone si è alzato brevemente per sorvegliare la scena della devastazione.
Pochi istanti dopo, il convoglio di giornalisti in partenza è stato colpito da due attacchi di droni, il secondo dei quali ha preso di mira l’auto in cui Hamza e Mustafa sono stati uccisi. L’esercito israeliano ha dichiarato di aver preso di mira “persone coinvolte in gruppi che attaccano attivamente l’IDF”.
Ogni giornalista che ha coperto il conflitto sa che i giornalisti sono il bersaglio frequente dei soldati israeliani, dal cecchino che ha ucciso Shiren Abu Akleh, giornalista palestinese-americana, ad almeno 117 giornalisti uccisi da Israele a Gaza durante questo conflitto.
Le affermazioni di intelligence che Israele rende pubbliche non possono essere prese per oro colato.
Quindi, perché un esercito che ha un curriculum di notizie false su un’operazione che sta richiedendo molto più tempo di quanto si pensasse dovrebbe essere creduto per quello che dice su un’organizzazione delle Nazioni Unite che ha cercato di abolire per molti anni?
Diritto al ritorno
Arriviamo quindi al vero motivo per cui Israele sta cercando di “far crollare” l’UNRWA.
Questo non ha nulla a che fare con Hamas e poco con l’attuale guerra a Gaza. Per questo dobbiamo tornare indietro nel tempo alle risoluzioni ONU del 1947, alla creazione di Israele come Stato nel 1948 e alla sua ammissione come Stato all’ONU.
Il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi è stato formulato per la prima volta dal mediatore dell’ONU per la Palestina Folke Bernadotte, che lo ha promosso durante la tregua del giugno 1948.
“Sarebbe un’offesa ai principi di giustizia elementare se a queste vittime innocenti del conflitto venisse negato il diritto di tornare alle loro case mentre gli immigrati ebrei affluiscono in Palestina e, di fatto, presentano almeno la minaccia di una sostituzione permanente dei profughi arabi che sono radicati nella terra da secoli”, scrisse nel suo primo rapporto al Segretario Generale nel 1948.
Bernadotte, uno svedese che salvò migliaia di ebrei dai campi di concentramento, fu assassinato da un gruppo clandestino ebraico guidato dal futuro primo ministro israeliano Yitzhak Shamir. Ma il suo appello al diritto al ritorno fu comunque incorporato nella Risoluzione 194 delle Nazioni Unite.
Questa era stata posta come condizione per l’ammissione di Israele alle Nazioni Unite nel 1949. Al rappresentante di Israele all’ONU, Abba Eban, fu chiesto se Israele avrebbe rispettato gli obblighi previsti dalla risoluzione 194. Eban rispose: “Posso dare una risposta affermativa senza riserve alla seconda domanda se coopereremo con gli organi delle Nazioni Unite con tutti i mezzi a nostra disposizione nell’adempimento della risoluzione riguardante i rifugiati”.
L’UNRWA è stata fondata nel 1949 per fornire istruzione, assistenza sanitaria e servizi sociali ai 700.000 rifugiati creati da Israele.
Niente UNRWA, niente rifugiati
Oggi è l’unica organizzazione delle Nazioni Unite che definisce un rifugiato palestinese come una persona il cui luogo di residenza tra il giugno 1946 e il maggio 1948 era la Palestina e che ha perso la propria casa a causa del conflitto.
Lo status di rifugiato si applica a tutti i loro discendenti, il che significa che ora l’UNRWA assiste più di cinque milioni di rifugiati palestinesi registrati in Libano, Siria, Giordania, Cisgiordania, Gerusalemme Est e Gaza.
Se Israele riuscisse a convincere il presidente degli Stati Uniti Joe Biden a eliminare l’UNRWA e a trasferire le sue attività ad altre agenzie come l’UNHCR o il Programma Alimentare Mondiale, l’ONU non riconoscerebbe più come rifugiati fino a cinque milioni di palestinesi.
Niente UNRWA, niente rifugiati. Niente rifugiati, niente problema. Israele accusa l’UNRWA di “perpetuare il problema dei rifugiati palestinesi” permettendo a questi ultimi di trasmettere il loro status di rifugiati alle generazioni successive.
In realtà, Israele è l’unico, impenitente e recidivo responsabile della creazione di rifugiati e della negazione del loro diritto al ritorno a casa. Domenica scorsa, 12 ministri dell’attuale gabinetto stavano cercando di creare altri rifugiati. Partecipavano a una conferenza che chiedeva a Israele di reinsediarsi nella Striscia di Gaza, un esempio agghiacciante e pubblico di incitamento al genocidio che è all’esame della Corte Mondiale.
Uno dei fondatori del movimento per il reinsediamento a Gaza è un assassino condannato, Uzi Sharbaf, che ha scontato sette anni per aver ucciso tre studenti del Collegio Islamico di Hebron nel 1983.
Alla conferenza hanno naturalmente partecipato i “cattivi”: il Ministro della Sicurezza Nazionale di estrema destra Itamar Ben Gvir e il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich. Ma alla conferenza era presente anche una forte partecipazione del partito Likud.
La conferenza ha discusso il concetto di “emigrazione volontaria” dei civili palestinesi di Gaza. Il ministro delle Comunicazioni del Likud, Shlomo Karhi, ha spiegato che in guerra “la volontarietà è a volte uno stato che si impone [a qualcuno] finché non dà il suo consenso”.
Crollo degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti danno lezioni al mondo su un ordine mondiale basato sul diritto. La Corte Mondiale ha ordinato a Israele di prendere tutte le misure in suo potere per prevenire gli atti di genocidio e punire gli atti di incitamento. E questa è la risposta di 12 ministri del gabinetto israeliano alla sentenza della Corte Mondiale; ma Washington non fa nulla.
Invece di costringere Israele a rispettare la Corte Mondiale, un gruppo di Democratici Ebrei al Congresso USA ha discusso le alternative all’UNRWA con il colonnello Elad Goren, Coordinatore delle Attività Governative nei Territori (COGAT).
Goren ha negato pubblicamente che a Gaza si stia verificando una fame di massa e ha affermato che Israele ha fatto del suo meglio per facilitare il flusso di aiuti a Gaza.
Casomai qualcuno avesse qualche dubbio sulle intenzioni di Israele, Netanyahu ha dichiarato mercoledì che era fondamentale porre fine alla missione dell’UNRWA.
L’America è così condotta non solo sulla strada del disastro riguardo alla guerra nella regione. Sta imboccando la strada che porta a distruggere le vite di milioni di rifugiati in tutto il mondo arabo, un atto che in un colpo solo destabilizzerebbe la Giordania e il Libano, oltre a tutti i territori occupati.
È assurdo che gli Stati Uniti si adeguino a questo. Finora Washington non ha mostrato alcun segno di rendersi conto di quanto sia pericoloso per l’ordine mondiale questo percorso.
Quando le generazioni future scriveranno la storia del crollo degli Stati Uniti come leader mondiale, saranno momenti come questi a essere ricordati come i punti fondamentali della decadenza dell’America come grande potenza globale.
David Hearst è cofondatore e caporedattore di Middle East Eye. È commentatore e relatore della regione e analista dell’Arabia Saudita. È stato redattore del Guardian per gli esteri ed è stato corrispondente in Russia, Europa e Belfast. È entrato al Guardian dal The Scotsman, dove era corrispondente per l’istruzione.
https://www.middleeasteye.net/opinion/gaza-war-why-west-falling-israel-plan-destroy-UNRWA
Traduzione a cura di AssoPacePalestina
4/2/2024 https://www.assopacepalestina.org/
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