Guerrini: un ministro a stelle e strisce
Nomen omen. A poche ore dall’anniversario della “strage del Cermis”, il ministro della Difesa Guerini (PD) è volato a Washington per mettersi sull’attenti. Come si ricorderà, il 3 febbraio 1998 un jet dei marines statunitensi, partito dalla base USAF di Aviano, tranciò il cavo di una funivia nei pressi di Cavalese, in Trentino, provocando la morte immediata di 20 persone. Nessun ferito o sopravvissuto.
In linea con una sovranità limitata che dura da 75 anni il Ministro Guerini è appena andato a Washington a prendere ordini, mentre l’amministrazione Trump prosegue nell’incendio sistematico del Medio Oriente con atti di guerra unilaterali, blocchi economici e “Piani di pace e affari del secolo” che legittimano l’Apartheid del governo israeliano contro i Palestinesi.
Al suo ritorno, in un’intervista su “La Stampa”, Guerini si mette l’elmetto e fa sapere che l’Italia non solo manterrà tutti gli impegni, come di consuetudine, ma vuole essere la prima della classe.
E’ così che resteremo in Afghanistan e Iraq (missioni costate già oltre 10 miliardi di euro), alla faccia del voto del parlamento iracheno e delle piazze che chiedono il ritiro delle truppe di occupazione. “Siamo stati tra i pochi Paesi che non hanno fatto uscire le loro forze” si vanta Guerini.
Ci sarà “maggiore impegno” nel Sahel, perché “uno sforzo maggiore europeo consentirà anche di aiutare gli USA a non abbandonare quell’area”, mentre in Libia ci si andrà, ma solo sotto tutela Usa, a cui si chiede “maggiore ingaggio politico” (e militare ?).
Da ministro della guerra di un governo zerbino, Guerini chiarisce che “l’Italia si assumerà le responsabilità a cui sarà chiamata”, che comprerà i costosi ed inutili F35, che “…Siamo impegnati in un processo di graduale aumento degli investimenti nella Difesa…” (Trump chiede di portare la spesa militare al 2% del PIL) e che in quanto a soldati messi a disposizione della NATO “…Noi siamo il secondo contributore, dopo gli Usa…”.
Insomma, quello che cambia col “governo del cambiamento” è che andiamo di male in peggio, con la trentennale e costosa belligeranza che vede il nostro Paese impegnato direttamente nei conflitti o utilizzato come rampa di lancio e deposito nucleare dagli Stati Uniti e dalla NATO.
Il governo fa l’esatto contrario di ciò che andrebbe fatto.
L’Italia deve ritirare i soldati italiani dall’Iraq, dall’Afghanistan e da tutti gli scenari in cui questi sono coinvolti come forze di occupazione e impiegarli a sostegno della protezione civile nelle crisi ambientali che colpiscono ogni anno il nostro Paese.
Deve ridurre drasticamente le spese militari, perché 70 milioni di euro al giorno sono una pazzia, e tagliare tutti i programmi da “supremazia” aeronavale come F35 e portaerei. Si investa in occupazione, sanità, educazione e manutenzione del territorio e si ripensi radicalmente il concetto di “Difesa”: le vere minacce alla nostra sicurezza sono il montante caos climatico e le conseguenze ambientali del capitalismo.
Il governo fermi immediatamente l’esportazione ed il transito di armi verso le monarchie del Golfo e la Turchia impegnate in devastanti aggressioni in Medio Oriente.
Prenda esempio di dignità e coraggio dai lavoratori portuali di Genova che, come i loro colleghi di Bilbao, Anversa, Marsiglia, Le Havre, stanno bloccando da mesi il carico di materiale bellico in transito dai loro porti destinato ad alimentare la guerra in Yemen.
Cominciamo anche da qui!
Chiudiamo i porti alla guerra!
Gregorio Piccin, Marco Consolo
4/2/2020 www.rifondazione.it
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