Hate speek, il virus dell’odio
di Alba Vastano –
Se raffiguriamo su un grafico la curva dei comportamenti sociali nel corso della pandemia, in base ad alcuni parametri: solidarietà/tolleranza/ intolleranza/ odio sociale, possiamo evincere come la curva, specie dal 2021 , cresca in modo esponenziale sull’odio sociale. Di questo funesto parametro i social ne sono la fotografia e lo specchio. Costretti a lockdown severi e con l’abbandono conseguente della socialità, milioni di persone impaurite dai contatti umani reali, immaginati, a torto o a ragione, come veicolo di contagio, hanno trasferito la loro socialità online, laddove proliferava già da tempo.
Il fenomeno, che sfocia, ad oggi, in alti picchi d’intolleranza fino all’odio, prende corpo ogni giorno di più con una escalation tanto inquietante quanto rapida. Un fenomeno che si manifesta nell’hate speek, generando un’ondata malefica che è diventata via via uno tsunami di odio e di discriminazione fra coloro che vivono da un biennio lo stesso problema. Il dilagarsi del virus e gli effetti drammatici della malattia hanno prodotto in tempi diversificati, in intere popolazioni impaurite e ignare delle cause del fenomeno planetario, comportamenti rigidi atti a discriminare ed emarginare chi nutre, rispetto al virus, convinzioni diverse. Tante idee, nessuna certezza. Si va per approssimazioni e per sentito dire da….
L’overdose di informazioni che si sovrappongono in un nano minuto e smentiscono le precedenti, non hanno fatto altro che promuovere confusione, ma anche infondate certezze sui fatti, sugli sviluppi, sui rimedi, sull’organizzazione sociale per contenere il fenomeno. A fomentare l’hate speek hanno contribuito le varie correnti di pensiero degli esperti nel settore delle malattie infettive, virologi e epidemiologici, che si sono trasferiti full time nel piccolo schermo, sentenziando verità la cui credibilità decade il giorno dopo.
Di fronte ad un fenomeno così esplosivo, imprevedibile e dilagante che ha sconvolto la normalità della vita di tutti, piegandola a costrizioni quotidiane e comportamenti di chiusura che precludono la socialità, abbiamo cercato, sin dagli albori, il nemico responsabile dell’accaduto. Si era al febbraio 2020 e qualche cenno di ciò che sarebbe diventata la tragedia del secolo, ovvero l’esplodere assassino del virus della Sars-Cov2, si affacciava in Italia, proveniente da Wuhan ( fuga di virus da laboratorio? Wet market, allevamento intensivo? Spillover da ospite pipistrello?) (www.blog-lavoroesalute.org/spillover-siamo-tutti-responsabili). L’hate speek, all’epoca era tutto causato dalla sinofobia.
‘Allontaniamo dal nostro Paese l’untore cinese’ era il grido di allarme che si andava diffondendo di ora in ora. Prendeva corpo una caccia spietata all’uomo dagli occhi a mandorla, responsabile di diffondere il virus letale. Era l’appestato da cui occorreva prendere ogni distanza. Il capro espiatorio si era ufficialmente trovato. Gli odiatori avevano pane per i loro denti e potevano tranquillamente dirigere il loro livore verso una specifica etnia. Tutte le altre erano considerate pure e sane. Nel contempo eravamo tutti animati da uno spirito di fratellanza esemplare, uniti come non mai sotto la stessa bandiera della disgrazia che era caracollata improvvisamente sulle nostre vite.
Incredibile, ma vero, scattava fra noi quel senso di solidarietà e mutualismo che avevamo smarrito, persi com’eravamo nell’adeguarci alle nuove regole della globalizzazione e nella frenesia del quotidiano. Tutti uniti dallo stesso problema, ma isolati nelle nostre case, impotenti nel debellare il virus sconosciuto, cantavamo sui balconi inni nazionali e stornelli popolari. “Il nemico è uno solo– affermavano gli odiatori seriali- è il cinese che ci ha portato il virus”. Al netto dei Cinesi,i presunti untori, e odiatori a parte, straordinariamente all’epoca, ci volevamo un sacco bene, informandoci e preoccupandoci costantemente della salute degli altri ed eravamo pieni di belle speranze per un futuro molto vicino di liberazione dal male comune che ci era capitato di vivere. Liberazione che, ottimisticamente, prevedevamo prossima.
‘Andrà tutto bene’, era lo slogan, ripetitivo fino a diventare un mantra per tutta la Penisola, ha invaso per oltre un anno balconi, strade, piazze e profili social, mentre le città erano deserte e regnava una sensazione forte di paura generale contro un nemico comune invisibile. Vie deserte, come in uno stato di guerra. E’ mancata solo la sirena dei bombardamenti. Sulle piazze solo piccioni e serrande degli esercenti abbassate. Vetture parcheggiate da giorni. Atmosfera ovattata.
Silenzio rotto solo dall’inno nazionale, cantato a squarciagola, proveniente da qualche balcone, a macchia di leopardo. C’è chi sostiene di aver visto degli albatros sorvolare le città ad ali spiegat, attratti forse dal silenzio innaturale, scambiandole ad ogni apertura d’ali per il Capo di Buona Speranza.
Maggio 2020. Fine primo lockdown, confinamento generale decretato dai vari Dpcm del governo. Talmente numerosi che non si faceva in tempo a prendere conoscenza delle varie normative che già venivano sostituite dal seguente decreto. Ci cominciava a girare un po’ la testa e non solo. I dubbi iniziavano a ribollire fra le sinapsi messe a riposo. Che possiamo fare? Che dobbiamo fare? Possiamo uscire fino all’angolo della via? Quanti metri si possono percorrere? Possiamo prender la macchina e andare trovare la mamma? Nooo, la puoi contagiare. Un amico, la figlia, un parente lontano. No, fermi tutti. A casa, chiusi. Si lavora tutti in smart working. (www.blog-lavoroesalute.org/pandemia-smart-working-e-rabbia-sociale). In 70 mq di casa ben cinque postazioni. Pc connessi 20 h al giorno. Stragi familiari fortunatamente sventate per quel residuo di raziocinio rimasto dalle riserve di salutari distacchi quotidiani precedenti.
Eravamo ancora ottimisti, grazie al mantra ripetuto fino allo sfinimento ‘Andrà tutto bene’. Pensavamo. “ In fondo il premio finale sarà la libertà e il ritorno alla normalità. Ancora pochi giorni e ne usciamo tutti”. Era giugno 2020. Si aprono le gabbie. E’ finita. Tutti fuori al sole. Tutti in vacanza. L’incubo è pas…sa…t…. No, a Settembre, l’incubo del virus torna e fa l’en plein contagiando dalle Alpi alle Piramidi. L’Italia si colora,a fasce alterne, di giallo, di verde e di rosso (zona primo lockdown). Ci risiamo. Se facciamo i bravi ci aprono a Natale. Se trasgrediamo le regole dei nuovi Dpcm ci chiudono e stavolta non ci aprono che nel 2025. Ci aprono, ci chiudono. Cose, non più persone, pensanti tantomeno. E dagli di mascherine ffp2, di distanziamento, di sanzioni. Il nemico non è più il cinese, ma lo scorgiamo in ogni passante, da cui ci affrettiamo a prender le distanze. Finché quel passante diventa l’amico caro, il fratello, il compagno di lotte comuni.
Un passo indietro nell’excursus e torniamo al Natale 2020 con le tavole sguarnite, non più vestite a festa, i convivi che sono solo un ricordo e parenti e amici da salutare tramite lo schermo del pc su piattaforme fino allora sconosciute. E arriva il sancta sanctorum, il vaccino. Era gennaio 2021. Scende la manna dal cielo, la salvezza dei popoli in clausura. Ed è un chiedere a tutti con fare sospettoso, prima del ‘ciao, come stai?’
Che diventa inutile e superfluo, “Ti sei vaccinato?”. Se rispondevi, balbettando un po’ a disagio per la perentorietà con cui era posta la domanda, “Ehm, no ancora no. Ci penso un po’ su”, il fuoco del disprezzo dell’interlocutore occasionale ti trapassava da parte a parte. Se poi si osava rispondere: “ Non lo farò, finché non termina la sperimentazione”, venivi dato alle fiamme seduta stante. Ecco, nel 2021 cambia lo scenario di solidarietà e nasce l’odio sociale che prende corpo fino al manifestarsi dell’hate speek pù spinto, ancora attualissimo, sui social.
Crolla la solidarietà. Cresce l’odio. Arriva Draghi, colui che tutto può e con il suo governo dei migliori, emana editti a cui nessuno osa alzare un ditino contro. Lui è dio e non si discute. Poi c’è il Figliuolo, alla sua destra, addetto allo smistamento delle milioni di dosi da smaltire al più presto. E sempre alla sua destra c’è lo spirito santo Speranza che ha una fede illimitata nella parola del Padre e dice messa tutti i giorni in diretta tv. Il problema ovviamente non è il vaccino in sé che ha salvato da sempre generazioni di persone. Il problema è l’odio che ne scaturisce verso chi si è preso la sacrosanta libertà di dubitare di un farmaco creato in emergenza e in sperimentazione, soggetto a brevetti privati Bigpharma.
Il problema è che vengono inibiti e non riconosciuti, altri vaccini come il Soberana cubano, il cinese, il russo. Il problema è che i vaccini non ci sono per le popolazioni più fragili, proprio quelle a cui da sempre viene negato il riconoscimento del diritto universale alla salute. Quello per cui Gino Strada si è battuto per tutta la sua vita. Gino Strada, il cuore oltre l’ostacolo – Lavoro & Salute – Blog
Il problema è che si è barattato surrettiziamente l’obbligo al vaccino in cambio della libertà personale. Il problema è che milioni di lavoratori sono stati messi sotto scacco e sotto ricatto. E sono iniziate a tappeto le discriminazioni verso le minoranze, dimenticando volutamente che per Costituzione andrebbero tutelate, che esprimono dubbi legittimi su questa fase di costrizioni e ricatti sociali che nulla hanno a che vedere con la tutela della salute pubblica.
Il Paese si divide in due tranche di persone e si creano per loro rispettivamente due neologismi. Nasce così il popolo dei Sivax e quello dei Novax. Nel popolo di minoranza dei novax , al netto dei reazionari fascisti e complottisti, vengono impropriamente inseriti anche coloro che credono nella funzione benefica dei vaccini, ma, provvisti di spirito critico, vorrebbero avere maggiori certezze scientifiche, prima di farsi inoculare sostanze fino ad oggi sconosciute. Senza nulla togliere all’idea che il vaccino per antonomasia , quello che si fa una tantum, sperimentato per almeno 7 anni, salva davvero la vita. Insomma c’èst la guerre. I Novax se la prendono con i Sì vax e così i Sivax, che ormai diventano la maggioranza, unita come ai primi tempi pandemici della solidarietà, scaricano odio sui Novax, senza differenziare i reazionari complottisti da chi ha qualche dubbio legittimo in proposito.
Un odio eccezionale divide i due nuovi popoli. E si scatena l’ hate speek sui social che si riproduce con
una violenza inaudita, mettendo l’uno contro l’altro, nel gioco delle parti. Nascono i nuovi ‘Caino e Abele social’. Ogni gruppo elimina l’altro dai propri contatti. L’operazione di hate è ancora in corso e si estinguerà finché non si elimineranno vicendevolmente tutti i contatti. Su Facebook resterà solo Zuckerberg e i suoi algoritmi, mentre alla fine della pandemia il Pianeta sarà abitato solo da due scimmie. Una delle due , quella con un maggior piglio di autorevolezza e con maggior buon senso dell’altra, dichiarerà la fine dello stato d’emergenza. E tra loro, sia pur di diverso parere sui grandi problemi esistenziali e sui massimi sistemi, scatterà la solidarietà. Quella importante condizione che ci univa nella prima fase della pandemia, quando, nonostante il confinamento forzoso, ci sentivamo fratelli e cantavamo gli stornelli sui balconi.
Alba Vastano
Giornalista. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute
8/2/2022
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