Hiv e stigma: la metà delle volte la discriminazione è negli affetti e in ambito sanitario.

QuestionAids

Presentati a Icar 2015 nuovi dati della ricerca “QuestionAids: HIV e Stigma in Italia”. Emerge che più della metà delle persone che vivono con Hiv ha segnalato un trattamento ingiusto o diverso a causa dello stato sierologico. Questi comportamenti sono stati attuati nel 49% dei casi da partner sessuali e nel 48% delle volte da personale sanitario.

Durante Icar 2015 (Conferenza Italiana su AIDS e Retrovirus), nell’ambito degli interventi orali sul tema della “vulnerabilità sociale”, LILA ha presentato una estrapolazione dai dati della ricerca QuestionAids con un focus sullo stigma in Italia. La ricerca, condotta nel 2014, è stata finanziata da LILA Bologna e dalla sede Nazionale e si è avvalsa del supporto scientifico del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna.

Attraverso un questionario online interattivo ci si è proposti di indagare le conoscenze, gli atteggiamenti e le rappresentazioni rispetto alla percezione del rischio di trasmissione dell’Hiv nella popolazione generale, lo stigma legato all’HIV, nonché di analizzare i comportamenti sessuali e precauzionali della popolazione generale. L’obiettivo principale era ricavare una fotografia su conoscenza e atteggiamenti nella popolazione italiana per meglio orientare gli interventi futuri rispetto a gruppi target specifici. Il questionario online interattivo dava, per ogni domanda posta, un feedback che forniva la risposta esatta o la rivelava nel caso risultasse errata.

I partecipanti sono stati invitati a rispondere a domande rispetto a gender, orientamento sessuale, stato sierologico del partner. Alle persone che hanno dichiarato di avere l’Hiv sono state chieste informazioni rispetto a stigma interiorizzato, rivelazione della propria condizione sierologica. Alle persone Hiv negative, invece, sono state chieste informazioni relative al test per l’Hiv e agli atteggiamenti verso le persone con Hiv. In circa 6 mesi sono state 11.588 le persone ad avere compilato il questionario online. Il 59% dei partecipanti alla ricerca sono uomini. L’età è compresa fra i 18 e i 94 anni, la media è di circa 34 anni con una prevalenza dei partecipanti nella fascia di età compresa fra i 18 e i 29 anni. Il 61% delle persone che hanno risposto al questionario si sono dichiarate eterosessuali, il 30% gay, il 5% bisessuali e il 4% lesbiche. Elevata la percentuale di coloro che non hanno mai eseguito il test per l’Hiv: ben il 37% del campione.

Le persone con Hiv risultano essere il 7% (657) dell’intero campione. Proprio su questi intervistati è stato effettuato un focus specifico rispetto a comportamenti ingiusti, discriminazione, rivelazione del proprio stato sierologico e stigma interiorizzato. Dall’analisi dei dati emerge che più della metà delle persone che vivono con Hiv ha segnalato di aver riscontrato un comportamento ingiusto/diverso a causa dello stato sierologico. Questi comportamenti sono stati perpetrati principalmente da: partner sessuali nel 49% dei casi; personale sanitario nel 48% dei casi e dal dentista nel 23%. I colleghi 10% di lavoro sono in fondo alla lista, dopo amici 21 %, partners 18%, familiari 14%, medico di famiglia 10%, presumibilmente perché le PLHIV tendono a non dichiararlo in questo contesto. Ma quali sono i principali atteggiamenti stigmatizzanti? Atteggiamenti goffi, aumento della distanza fisica, uso non necessario di precauzioni e atteggiamenti giudicanti, sono questi quelli maggiormente segnalati.

Significativi i dati rispetto agli episodi di discriminazione subiti. Il 32% delle persone con Hiv intervistate hanno infatti dichiarato di essere state vittima di episodi discriminatori a causa dello stato sierologico. Molti degli episodi discriminatori sono avvenuti nel contesto sanitario, nello specifico: nel 44% dei casi è stata riferita una violazione del diritto della privacy e nel 35% dei casi il rifiuto di un servizio sanitario. Anche il luogo di lavoro è un contesto in cui le persone con Hiv sono state discriminate, per esempio nel 13% è stato negato un posto di lavoro, nell’8% violato il diritto alla privacy, nel 5% è stata assegnata una mansione diversa.

Rispetto alla rivelazione del proprio stato sierologico, il 5% delle Plhiv (persone che vivono con Hiv) non lo ha rivelato al proprio partner e di queste il 31% dichiara di non sapere come affrontare il problema e ne rinvia la comunicazione; il 23% teme che il partner non rimarrebbe in una relazione con una persona positiva all’Hiv; un altro 23% teme l’abbandono; il 15% sta prendendo tempo ma è sicuro di arrivare infine a comunicarlo; in ultimo l’8% pensa che non sia necessario e prende le dovute precauzioni.

Il 40% non ha rivelato il proprio stato sierologico ai familiari, la rivelazione viene taciuta principalmente per evitare loro sofferenza nel 57% dei casi. Infine circa il 40% lo ha comunicato agli amici più intimi, il 41% lo ha comunicato a pochi, mentre il 18% non lo ha detto a nessun amico. Il 74% delle Plhiv non ha dichiarato il proprio stato sierologico nel contesto lavorativo, mentre il 42% non lo ha dichiarato al partner occasionale. In particolare: nel 56% perché in ogni caso ha protetto i propri rapporti; nel 21% per paura che l’altro non avrebbe più voluto fare sesso mentre nel 16% per timori legati alla propria privacy.

Un dato interessante che emerge dalla ricerca è quello relativo agli Msm (men having sex with men, uomini che fanno sesso con uomini), che dichiarano la propria positività all’Hiv con meno probabilità a familiari e colleghi, presumibilmente a causa del doppio stigma. Il rapporto con le associazioni e la conoscenza di altre persone con Hiv/Aids sembrano influire positivamente sul processo di svelamento e si associano a un minore stigma interiorizzato. Tali esperienze di vita possono favorire il processo di svelamento e ridurre lo stigma interiorizzato perché diminuiscono il senso di solitudine che molte persone con Hiv possono provare (sentirsi l’unico/a al mondo), aumentando le possibilità di svelarsi senza subire conseguenze negative. Consentono di sviluppare un senso di appartenenza/inclusione e di ampliare il proprio repertorio di strumenti utili a fronteggiare lo stigma. Lo svelamento, quindi, non solo ha il potenziale di cambiare gli atteggiamenti stigmatizzanti delle persone senza Hiv, ma può anche stimolare cambiamenti positivi nelle persone con HivAids.

Lo studio mostra un livello medio alto di stigma interiorizzato nelle persone che vivono con Hiv e bassi livelli di atteggiamenti stigmatizzanti nelle persone Hiv negative. Ciò potrebbe essere spiegato in due modi: 1) le persone con Hiv potrebbero sovrastimare i livelli di stigma nella loro comunità, oppure 2) il nostro campione potrebbe non essere rappresentativo della popolazione italiana, i cui atteggiamenti stigmatizzanti potrebbero essere superiori a quanto registrato dal nostro studio.

18/6/2015 www.lila.it/

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