HIV. UNAIDS, bilancio amaro: “Falliti gli obiettivi 2020, il COVID può aggravare la situazione”. Lanciati i nuovi target 2025
Certo, i numeri complessivi dell’impatto mondiale dell’HIV/AIDS continuano a scendere ma troppo lentamente, tanto da rischiare ora una grave battuta d’arresto. Nel rapporto “Sconfiggere le pandemie mettendo le persone al centro”, UNAIDS, oltre a fissare i nuovi obiettivi per il 2025, fa i conti con l’impatto del mancato raggiungimento dei target 2020, un impatto drammatico, anche al netto del COVID. Ne riportiamo gli effetti più eclatanti:
- Le nuove infezioni nel mondo si sarebbero dovute portare, entro la fine dello scorso anno, sotto le 500mila unità invece sono state un milione e 700mila, una cifra di oltre tre volte superiore. Tra il 2015 e il 2020, in totale si contano ben tre milioni e mezzo in più d’infezioni rispetto al target 2020.
- A fine anno i morti per patologie AIDS-correlate sono stati quasi 700mila, sarebbero dovuti essere almeno 200 mila in meno. Se si valuta l’ultimo quinquennio, il numero di decessi per cause legate all’AIDS sono stati ben 820mila in più.
- Il target “90-90-90” che prescriveva , entro il 2020, di rendere consapevoli del proprio stato il 90% delle persone con HIV, di garantire al 90% di costoro l’accesso alle terapie Antiretrovirali (ART), di portare alla soppressione virologica almeno il 90% delle persone in terapia ART, si è attestato invece globalmente ad un “81-82-88” . In particolare, rispetto al secondo obiettivo (garantire l’accesso alle terapie al 90% delle persone con HIV), a giugno 2020 si contavano ventisei milioni di persone in terapia Antiretrovirale, mentre gli obiettivi ONU erano di almeno trenta milioni di persone in trattamento. Nel complesso, 12 milioni di persone nel mondo, non hanno ancora accesso alle terapie.
Non raggiunti nemmeno altri target specifici:
- Per ragazzi e ragazze si prescriveva che almeno il 90% potesse aver accesso a servizi e percorsi di prevenzione ma non si è andati oltre il 41%.
- Stesso obiettivo (copertura del 90% da parte dei servizi) era previsto per le Key Population, quelle più vulnerabili al rischio HIV. Invece non si è andati oltre il 44% dei/delle sex workers, al 30% degli MSM, al 34% delle persone che usano droghe (IDU).
- Fallita anche l’indicazione di portare in PrEP, l’efficacissima profilassi Pre-Esposizione, almeno tre milioni di persone entro la fine del 2020 quando, invece, si contano nel mondo non più di 590mila trattamenti di profilassi preventiva avviati.
La risposta globale all’HIV –afferma il programma ONU in una nota- era, dunque, già fuori strada prima della pandemia ma la diffusione del COVID ha provocato delle ulteriori, gravi, battute d’arresto: tra il 2020 e il 2022 –stima UNAIDS- potrebbero esserci tra le 123.000 e le 293.000 nuove infezioni da HIV in più, mentre i decessi correlati all’AIDS potrebbero essere tra i 69.000 a 148.000 in più. La Direttora esecutiva di UNAIDS, Winnnie Byanyma non fa sconti a Stati membri e donatori internazionali: “L’incapacità collettiva di investire a sufficienza in risposte all’HIV integrate, basate sui diritti e centrate sulle persone ci sta presentando un conto terribile –ha detto in una nota emessa per il WAD- l’aver implementato solo programmi politicamente appetibili non fermerà la marea montante del COVID-19 né porrà fine all’AIDS. Per riportare in linea la risposta globale sarà necessario mettere le persone al primo posto e affrontare le disuguaglianze su cui prosperano le epidemie”.
In sostanza, denuncia UNAIDS, aver stanziato risorse insufficienti contro l’HIV e altre infezioni pandemiche come tubercolosi, epatiti virali, malaria, ha lasciato la porta aperta anche al COVID-19. Se si fossero adeguatamente sostenuti i sistemi sanitari e le reti di sicurezza sociale, il mondo avrebbe potuto resistere meglio anche alla diffusione del SARS- Cov2. Investire in sicurezza sociale e sanitaria –afferma ancora UNAIDS- vuol dire anche avere economie più forti: come ci ha dimostrato il COVID se la salute pubblica è a rischio, traballano anche i sistemi produttivi.
Il duro richiamo di UNAIDS non si ferma qui: il mondo –si afferma ancora nella nota- impari dagli errori tragici commessi con l’HIV, con milioni di persone lasciate morire nei paesi più poveri in attesa di quelle cure disponibili, ormai da oltre vent’anni, nel nord del mondo. Molto è stato fatto ma, ancora oggi, sono più di dodici milioni le persone non hanno ancora accesso alle cure mentre, nel solo 2019, oltre un milione e 700mila persone ha contratto il virus perché non aveva accesso ai servizi essenziali per l’HIV. Per il contrasto al COVID è dunque fondamentale permettere l’accesso al vaccino in tutto il mondo e a tutti i popoli della terra. La richiesta alle aziende farmaceutiche è quella di condividere il loro Know-how e di bilanciare i diritti di brevetto con la necessità di un’immediata protezione globale.
Se queste sono le ombre, le luci della risposta al COVID sono quelle di comunità, mutuate proprio dall’attivismo nato con l’HIV: solidarietà globale, continuità di servizi, capacità di lottare affinché nessuno sia lasciato indietro.
A Stati membri e decisori politici viene dunque lanciata una nuova sfida con nuovi obiettivi, complessi ma misurabili, da raggiungere per il 2025, necessari a rimettersi in linea con i target 2030. Come si diceva, il nuovo studio di UNAIDS, “Sconfiggere le pandemie mettendo le persone al centro” ne fissa tappe e strategie d’intervento.
Sinteticamente, tali obiettivi attengono a tre sfere strettamente collegate:
- Implementare servizi completi e integrati per l’HIV.
- Orientare i servizi verso le persone e ai loro contesti specifici
- Rimuovere tutti gli ostacoli di ordine sociale e legale che possano sfavorire i servizi per l’HIV e un ricorso ai servizi stessi.
Alla prima e alla seconda sfera attengono i seguenti obiettivi da raggiungere entro il 2025:
- Far sì che almeno il 90% delle persone con HIV o esposte al rischio di HIV sia preso in carico da un polo di servizi integrati e incentrati sulla persona.
- Rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 95% delle persone con HIV e assicurare al 95% di chi si scopre positivo al virus un pieno accesso ai trattamenti. Far sì che il 95% di chi è in trattamento raggiunga la soppressione virologica e dunque una condizione di non-infettività.
- Il target “95-95-95” deve essere perseguito per tutte le fasce demografiche più esposte (giovani) e per tutti i gruppi di popolazione più vulnerabili: detenuti, sex workers, rifugiati e migranti, persone che usano droghe
- Garantire al 95% delle donne un pieno accesso ai servizi per la salute riproduttiva e sessuale.
- Garantire che il 95% delle donne con HIV in gravidanza e in allattamento abbia una carica virale soppressa.
- Garantire che il 95% dei bambini esposti all’HIV abbia ricevuto un test.
- Garantire una copertura del 95% della prevenzione combinata (condom , PrEP, riduzione del danno, U=U).
Alla terza sfera attengono i seguenti obiettivi:
- Portare sotto il 10%, la percentuale di paesi che adottano leggi e politiche punitive nei confronti delle persone con HIV o esposte all’HIV.
- Ridurre sotto il 10%, la percentuale di persone che subiscono discriminazioni e stigma.
- Portare sotto la soglia del 10% la percentuale di casi di violenza di genere o di disuguaglianza in base al genere.
Al centro di questa strategia complessa devono esserci le persone con HIV, le popolazioni più vulnerabili e le loro community.
I modelli epidemici adottati da UNAIDS mostrano come, il raggiungimento di questi target potrebbe portare entro il 2030, a una riduzione delle nuovi infezioni annuali prossima al 90%. Un’analoga riduzione potrebbe riguardare le morti collegate all’AIDS.
15/12/2020 https://www.lila.it
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