Honeywell, i corpi si arrendono (per ora), ma non gli animi
Non sono bastati 60 giorni di sciopero ininterrotto. Non è bastato un presidio permanente, giorno e notte davanti i cancelli della fabbrica, né i picchetti davanti i magazzini per impedire che la produzione fosse portata via. Al ministero dello Sviluppo economico la multinazionale Honeywell Garrett ha scoperto le carte. Quello che da luglio denunciavano lavoratori e sindacati nonostante le smentite dell’azienda si è concretizzato: chiusura dello stabilimento; 420 lavoratori e lavoratrici a casa, senza contare l’indotto, che conta ad esempio i lavoratori dei magazzini esternalizzati. C’erano anche loro, infatti, lo scorso 15 novembre, mercoledì sera all’assemblea dei lavoratori Honeywell: chiedevano di non essere lasciati soli. Quando la Honeywell dismetterà il sito in Val di Sangro, ad Atessa (CH), quei magazzinieri rischiano il posto di lavoro.
Questa vicenda non ha nulla di particolare da raccontare se si osservano le dinamiche che hanno condotto alla prossima chiusura del sito italiano Honeywell. Siamo di fronte alla solita vicenda di accaparramento di soldi pubblici, cinica ricerca di profitto, movimenti di capitali, delocalizzazioni che non guardano in faccia a niente e nessuno, se non di aumentare la redditività aziendale. Lo stabilimento di Atessa è tutt’altro che una fabbrica decotta. Si tratta dell’unico stabilimento in Italia di questa multinazionale a fabbricare turbocompressori. Uno stabilimento che ha macinato grandi numeri e che tutt’oggi, nonostante la crisi economica mondiale, ha continuato a fare utili ed una produzione di oltre 700.000 turbocompressori l’anno destinati alle più grandi e prestigiose case automobilistiche.
Negli anni in cui la multinazionale statunitense è stata in Abruzzo ha potuto godere di quella generosità che lo Stato non mostra con i lavoratori, beneficiando: di oltre 4,5 miliardi di lire nel 1999 grazie ai benefici dellaLegge 64 del 1986; di una serie di finanziamenti con la famosa Legge 488, per un ammontare complessivo di circa 4,5 milioni di euro; 1,8 milioni di euro per credito d’imposta sfruttando la Legge 388; qualcosa come un miliardo di euro di esenzioni fiscali, beneficiate dal 1992 al 2002. Ma alla Honeywell non è bastato spremere le casse statali ed i lavoratori con richieste di flessibilità e sacrifici sempre crescenti, ora vuole andare a spremere finché può casse statali e lavoratori slovacchi.
In Slovacchia, infatti, la Honeywell ha cominciato a costruire uno stabilimento nel 2012. Un investimento di quasi 40 milioni di euro, la metà dei quali, però, sono soldi pubblici. Nello stabilimento slovacco la Honeywell ha realizzato una produzione identica a quella che ad Atessa terminerà entro il primo semestre del prossimo anno. Una scelta calata come un macigno sui lavoratori abruzzesi ai quali la Honeywell in questi anni ha imposto sacrifici e flessibilità in nome della produttività e della redditività aziendale che ora la massima dirigenza Honeywell godrà in Slovacchia.
Di straordinario, in questa vicenda, c’è invece la tenacia dei lavoratori. Lo sciopero è rientrato mercoledì sera, con una decisione dell’assemblea dei lavoratori dopo che l’azienda ha dimostrato di non essere disposta ad alcuna trattativa, ma soprattutto dopo una lotta durata 60 lunghi, estenuanti giorni di sciopero senza interruzioni, con due presidi permanenti, con la tensione di una vertenza difficile, la pioggia, i turni, le meschinità padronali. Uno sciopero che per durata ed intensità è stato qualcosa di straordinario, che ha visto il blocco delle merci, camion che hanno cercato di forzare il presidio, avvocati nascosti dentro i camion che cercavano di portar via la produzione nell’evidente tentativo di intimorire i lavoratori. E poi il ricatto tentato dal ministro Calenda, che aveva cercato di forzare la sospensione dello sciopero e del blocco dei cancelli minacciando che in caso contrario non avrebbe convocato il tavolo ministeriale con la multinazionale e che incontrerà i sindacati il prossimo 21 novembre. Niente ha fermato la lotta dei lavoratori Honeywell che hanno mantenuto lo sciopero fino a pochi giorni fa. Gramsci, parlando dei lavoratori della Fiat che dopo un mese di sciopero rientrarono al lavoro, scrisse che “non c’è vergogna nella sconfitta degli operai Fiat … non si può domandare più di quanto hanno dato questi compagni che sono ritornati al lavoro, tristemente, accoratamente, consapevoli della immediata impossibilità di resistere oltre o di reagire”. Quei lavoratori della Fiat rientrano al lavoro dopo un mese. I lavoratori della Honeywell hanno resistito 60 giorni di sciopero ininterrotto e con presidi permanenti davanti i cancelli della fabbrica e dei magazzini, senza stipendio. Lavoratori che sapevano di lottare per sé e non solo, come ha dimostrato la presenza di Rsa dei magazzini esternalizzati all’assemblea di mercoledì sera.
Questa vertenza insegna ancora una volta che lasciare la decisione di cosa, come e quando produrre solo in mano all’impresa è il ruolo che ha assunto uno Stato retto da chi ha accettato il dominio del profitto sulla democrazia, dell’impresa sui lavoratori. È un ruolo attivo che lo Stato non subisce semplicemente, ma che svolge con consapevolezza. Come dimenticare, ad esempio, che nel governo di quel Renzi che si ricandida a governare il Paese e che qualcuno a sinistra continua a considerare un interlocutore, c’era allo Sviluppo economico una certaministra Guidi che praticava le delocalizzazioni come strumento per ingrossare i propri profitti a scapito dei lavoratori e che ne rivendicava l’opportunità per migliorare la competitività aziendale? Quella competitività aziendale in nome della quale sono state avanzate riforme (Jobs act, Fornero, pensioni, per fare qualche esempio)che hanno indebolito la classe lavoratrice, rendendola più precaria, più ricattabile, più povera, più vulnerabile.
A questo comportamento infame della Honeywell e di chi permette che queste cose possano avvenire sulla pelle dei lavoratori, i dipendenti Honeywell che per 60 giorni hanno lottato con sciopero e presidi permanenti hanno insegnato ad una multinazionale arraffona e senza scrupoli e ad una politica compiacente e opportunista cos’è la dignità e cosa significa lottare per difendere lavoro, diritti e democrazia reale. Come per i lavoratori della Fiat descritti da Gramsci, “nulla è perduto se i corpi si arrendono … ma non gli animi”. E nell’assemblea del 15 novembre si è notato che la coscienza della necessità della lotta non è venuta meno. E allora, adesso tocca anche ad altri: alle istituzioni, ai soggetti politici, sindacali e sociali, ai lavoratori del territorio unirsi ai lavoratori della Honeywell per difendere il diritto al lavoro e non darla vinta all’avidità di profitto.
Intanto, adesso, bisogna togliersi il cappello di fronte alla lotta dei lavoratori Honeywell.
Carmine Tomeo
18/11/2017 www.lacittafutura.it
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