I doppi standard su Gaza e Libano

La narrazione attorno alla guerra in Medio oriente mitiga le responsabilità dei massacri e il ruolo di molti paesi occidentali nel sostenerli. Ma non bisogna pensare (solo) all’esistenza di una lobby pro-Israele

Secondo Il libro nero dell’impero britannico di John Newsinger, fu l’esternalizzazione del genocidio a dare alla Gran Bretagna un vantaggio sui suoi rivali imperiali europei. Ponendosi a distanza di sicurezza dal massacro di massa compiuto per suo conto, lo stato britannico fu in grado di proiettare l’immagine di un impero più benevolo, a volte anche criticando pubblicamente la brutalità dei regimi suoi clienti.

Fu un’azione di propaganda senza precedenti e non è difficile individuarne l’eredità nel modo in cui le atrocità contro il popolo palestinese sono state nella maggior parte dei casi raccontate nell’ultimo anno. Proprio come farebbero dei boss che cercano di ripulirsi l’immagine per dissociarsi dai criminali che hanno a libro paga, i governi degli Stati uniti e del Regno unito hanno tentato di nascondere i loro finanziamenti alla macchina militare israeliana con critiche pacate e vuote richieste di moderazione. E i media tradizionali, tutto sommato, ci hanno creduto.

È un meccanismo complesso, ovviamente, e a prima vista, la copertura mediatica di Gaza nell’ultimo anno ha seguito a malapena il copione ufficiale di Israele. Quando Itv ha girato un filmato scioccante dell’esercito israeliano che sparava e uccideva un uomo che sventolava bandiera bianca, è andata controcorrente rispetto alla negazione e all’offuscamento ufficiali israeliani. E la Bbc non ha accettato del tutto la definizione del governo di Rishi Sunak sulle manifestazioni pacifiste a sostegno di Gaza come composte da folle di terroristi in preda all’odio. In effetti, l’ondata senza precedenti di simpatia pubblica per i palestinesi in tutto il mondo democratico ha indubbiamente dovuto molto alla trasmissione in tempo reale della distruzione totale della vita a Gaza e di ciò che gli esperti legali andavano sempre più definendo un genocidio in atto.

Dare forma alla narrazione

Quindi cosa accade? Innanzitutto, non possiamo ignorare l’importanza della scala e la tempistica delle notizie. Se è stata prestata relativamente più attenzione alla violenza scatenata sui palestinesi dal 7 ottobre rispetto a quella affrontata dagli israeliani il 7 ottobre, è solo perché la prima è in corso e attualmente è più di quaranta volte più grande della seconda. Forse non sorprende che questi due fatti piuttosto ovvi siano andati irrimediabilmente perduti in una ricerca condotta da uno studio legale filo-israeliano con zero competenza o esperienza nell’analisi dei media e finanziato da un «imprenditore israeliano».

I media istintivamente non lasciano vita facile agli aggressori o agli invasori. Quando gli alleati occidentali sono lo stato invasore, conquistatore o oppressore in un dato conflitto, vengono ampiamente ignorati (la guerra saudita sostenuta dagli Stati uniti e dal Regno unito contro lo Yemen è un esempio lampante) o sono soggetti esattamente allo stesso tipo di critica soft e contenuta che l’impero è portato a fare verso i suoi regimi clienti più ribelli.

C’è un ulteriore elemento di complicazione: Netanyahu non ha fatto alcun tentativo di nascondere la sua amicizia con i nemici giurati dell’Occidente, tra cui l’ungherese Viktor Orbán e persino, in una certa misura, Vladimir Putin. A ciò si aggiunge il suo profondo legame personale con Donald Trump, un presidente il cui rapporto inasprito con l’establishment della sicurezza statunitense è stato storicamente eguagliato solo da quello di John F. Kennedy.

Tutto ciò ha indubbiamente dato origine a un certo grado di disagio e a una sorta di divisione all’interno dei ranghi della struttura di potere di Washington/Londra. E non ci vuole molto perché tale disagio e incertezza si riflettano nelle narrazioni dei notiziari.

Ma il vero problema sta in ciò che questa sfumatura oscura. Per cominciare, distrae dal vantaggio sottile ma profondamente significativo degli israeliani nel dare forma alle agende e, soprattutto, al linguaggio dei resoconti. Questo è stato dimostrato in modo coerente da qualsiasi analisi credibile e seria della copertura mediatica mainstream del conflitto Israelopalestinese risalente a decenni fa. Nell’attuale conflitto, chiunque abbia ascoltato le notizie, anche nel rumore di fondo, riconoscerà i confini di ciò che può e non può essere detto. Quindi, per esempio, è perfettamente accettabile descrivere l’uccisione indiscriminata di palestinesi da parte dell’esercito israeliano come «attacchi in ritorsione» al 7 ottobre. Ma è stato molto più difficile descrivere l’uccisione indiscriminata di israeliani da parte di Hamas e di altri militanti il 7 ottobre come «attacchi in ritorsione» a uno o tutti i crimini di quello che è ormai quasi universalmente riconosciuto dai gruppi per i diritti umani come un brutale regime di apartheid.

C’è una caratteristica particolarmente degna di nota nel linguaggio adottato dalle testate britanniche dopo il 7 ottobre. Si tratta del modo in cui qualsiasi riferimento ad Hamas è comunemente associato a una qualche forma verbale che sottolinea che secondo il governo del Regno unito si tratta di un gruppo terroristico. Il reporter veterano della Bbc Jon Simpson ha fatto un’appassionata disserzione su questa convenzione all’indomani del 7 ottobre, quando i filo-israeliani erano furiosi perché la Bbc sentiva ancora la necessità di qualificare l’etichetta di terrorista. Simpson ha sostenuto che non spetta alla Bbc di limitarsi ad accettare per oro colato che Hamas è un’organizzazione terroristica solo perché il Regno unito, gli Stati uniti, Israele e altri governi affermano che lo sia.

Una domanda più pertinente completamente trascurata in questo pseudo-dibattito è perché le testate sentano la necessità di qualificare qualsiasi riferimento ad Hamas in questo modo. È una domanda che non ha nulla a che fare con il fatto che Hamas sia o debba essere considerata terrorista, ma piuttosto con i doppi standard applicati in relazione alle narrazioni su Israele. Ad esempio, diversi paesi hanno accusato Israele di terrorismo sponsorizzato dallo stato e di aver instaurato un regime di apartheid, ma ciò non viene quasi mai menzionato dai giornalisti in relazione alle fonti ufficiali israeliane. E dal 7 ottobre, un totale di trentatré paesi hanno classificato gli attacchi di Israele a Gaza come un genocidio, insieme a una sezione trasversale di organismi legali internazionali e gruppi per i diritti umani. Eppure non c’è alcuna pressione sui giornalisti della Bbc affinché lo sottolineino ripetutamente agli spettatori, nessuna necessità percepita di fornire un contesto nel modo in cui persino la segnalazione delle vittime da parte del ministero della salute è regolarmente soggetta a riserve in quanto «in mano ad Hamas».

In effetti, le affermazioni dei funzionari israeliani, dai bambini decapitati alle basi di Hamas collocate sotto gli ospedali, nell’ultimo anno state fin troppo spesso prese per buone e ampiamente riportate come fatti, molto prima di essere completamente smentite. Ancora adesso, nonostante prove schiaccianti di bombardamenti indiscriminati di civili e infrastrutture a Gaza, i giornalisti della Bbc continuano ad adottare il linguaggio dei propagandisti israeliani nel definire simili campagne di bombardamenti massicci in Libano come «attacchi contro Hezbollah».

Nascondere la complicità

Ma questi doppi standard impallidiscono rispetto al punto cieco dei media non solo sulla complicità attiva dell’Occidente e anche sul suo continuo sostegno a ciò che persino la Corte internazionale di giustizia ha stabilito essere un potenziale genocidio del popolo palestinese. Il problema non è solo l’uso osceno dei soldi dei contribuenti per alimentare una guerra a cui l’opinione pubblica è ampiamente contraria. Anche i produttori di armi stanno traendo enormi profitti da Gaza, come hanno fatto dall’Ucraina, e ciò mentre la spesa militare della Nato aumenta a un ritmo senza precedenti. Dopo aver scoperto che l’amministratore delegato di Bae Systems aveva intascato quasi un milione di sterline in contanti dal genocidio di Gaza, chi si occupa di indagare sul commercio di armi mi ha detto che diverse emittenti hanno espresso interesse nel coprire la storia, per poi abbandonarla prontamente prima della messa in onda. Trarre una strage personale da una strage di massa non è stato, a quanto pare, abbastanza degno di nota.

La profondità del coinvolgimento militare e dell’intelligence degli Stati uniti e del Regno unito è spesso oscurata o, più spesso, completamente ignorata dai media tradizionali. Declassified UK ha parlato dell’uso della base militare britannica a Cipro per dispiegare le forze speciali statunitensi in Israele, nonché di centinaia di spedizioni di merci e frequenti voli di aerei spia su Gaza e Libano. Eppure chi si informa dai media tradizionali non dovrebbe avere idea che esista un coinvolgimento diretto di questo tipo.

Inoltre, insieme agli enormi squilibri nel linguaggio, questo punto cieco rappresenta una trappola per alcuni critici pro-Palestina dei media che sono portati a percepire la propaganda israeliana come unica e universalmente potente. Ci sono buone ragioni per credere che la lobby pro-Israele nel Regno unito, negli Stati uniti e altrove operi attraverso una rete oscura ed estesa di influenza politica. Ma la trappola sta nel confondere questa influenza con una sorta di potere autonomo che Israele esercita sull’Occidente, con la conseguenza che i governi di Usa/Regno Unito/Unione europea sono costretti, con riluttanza o inconsapevolmente, a essere complici della portata e dell’azione della lobby filo-israeliana.

Ed è il prodotto di una verità antica: che il vero potere tende a cancellare sé stesso. Alla fine, la lobby pro-Israele esercita l’influenza che esercita solo perché è legittimata da interessi potenti e acquisiti all’interno dei paesi in cui opera.

Qualsiasi sguardo più ampio e onesto a come l’apartheid israeliano si è evoluto storicamente non può ignorare questa legittimazione, dalla Dichiarazione Balfour agli Accordi di Camp David, quando il potere degli Stati uniti ha sottoscritto la determinazione di Israele a non consentire mai uno stato palestinese contiguo e genuinamente indipendente.

Una rappresentazione davvero equilibrata degli orrori che hanno avuto luogo nell’ultimo anno non riguarda la par condicio tra oppressori e oppressi, o tra le vittime di un atroce attacco terroristico durato due giorni e le vittime di un massacro di massa su scala industriale durato finora dodici mesi. Piuttosto, dovremmo chiederci dove si trovi l’equilibrio tra l’attenzione alle atrocità e ai crimini di guerra compiuti da Israele e la critica dei suoi padroni, tra il killer e il boss della malavita che fornisce le armi e comanda.

Justin Schlosberg è professore di media e comunicazione presso l’Università di Westminster. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

24/1072024 https://jacobinitalia.it

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *