I droni di Sigonella per le strategie di guerra totale USA e NATO
Dodici antenne satellitari ben visibili a sud delle piste della stazione aeronavale di Sigonella quando si percorre in auto la superstrada che da Catania giunge a Gela. Sorgono in un’area della base di 1,200 metri quadri insieme ad una palazzina che ospita uffici, ripetitori e generatori di potenza. Si tratta dell’UAS SATCOM Relay Pads and Facility, il sito per supportare le telecomunicazioni via satellite e le operazioni di tutti i droni dell’Aeronautica e della Marina militare statunitense, la cui realizzazione è stata completata alla fine del 2017, trasformando la base siciliana in uno dei maggiori centri del pianeta per il comando e il controllo dei velivoli da guerra senza pilota USA. I lavori per l’UAS Satcom Relay sono stati condotti da due importanti consorzi transnazionali: JV Ske Italy 2012 di Vicenza (filiale italiana dell’omonima holding tedesca) ed M+w Lotos Italy Soc Consortile con sede ad Agrate Brianza, Monza (controllato in buona parte dall’Austrian Stumpf Group di Vienna). Il Pentagono ha firmato un contratto con il primo gruppo per 9.400.000 dollari ed i lavori sono stati consegnati il 21 febbraio 2017; al secondo consorzio sono andati invece 7.723.700 dollari e la consegna risale al 20 novembre 2017. Con l’entrata in funzione del nuovo complesso di telecomunicazioni satellitari sono stati trasferiti a Sigonella 55 militari e 58 dipendenti civili dell’US Air Force.
“Il sistema degli aerei senza pilota richiede un’ampia facility a Sigonella che assicuri la massime efficienza operativa durante le missioni di attacco armato e di riconoscimento a supporto dei war-fighters”, è riportato nella scheda progettuale fornita dal Dipartimento della difesa USA. “La costruzione di una SATCOM Antenna Relay facility è necessaria per supportare i link di comando dei velivoli controllati a distanza (UAV), in modo da collegare le stazioni terrestre presenti negli Stati Uniti con gli aerei senza pilota operativi nella regione dell’Oceano atlantico. Con il completamento di questo progetto saranno soddisfatte le richieste a lungo termine di ripetitori SATCOM per i “Predator” (MQ-1), i “Reaper” (MQ-9) e i “Global Hawk” (RQ-4). Il nuovo sito supporterà inoltre il sistema si sorveglianza aeronavale con velivoli senza pilota UAV Broad Area Maritime Surveillance (BAMS) di US Navy e le missioni speciali del Big Safari di US Air Force”. Il programma BAMS vede l’acquisizione di una quarantina di droni di ultima generazione “Global Hawk” da schierare nelle stazioni aeronavali di Jacksonville (Florida), Kadena (Giappone), Diego Garcia, Hawaii e Sigonella; il Big Safari è invece un articolato programma di acquisizione, gestione e potenziamento di speciali sistemi d’arma avanzati (velivoli senza pilota, grandi aerei da trasporto e per le operazioni d’intelligence e riconoscimento, ecc.) coordinato e diretto dal 303rd Aeronautical Systems Wing e dal National Air and Space Intelligence Center dell’US Air Force con sede nella base di Wright-Patterson (Ohio).
Con l’entrata in funzione dell’UAS SATCOM Relay Pads and Facility, la base siciliana di Sigonella può supportare oggi la trasmissione di tutti i dati necessari ai piani di volo e di attacco dei nuovi sistemi di guerra automatizzati e operare come “stazione gemella” del sito USA di Ramstein (Germania) e della grande base aerea di Creech (Nevada). Secondo quanto riportato dal periodico investigativo The Intercept, l’UAS Satcom Relay di Ramstein è il vero “cuore hi-teach della guerra USA dei droni”. “Ramstein fa viaggiare sia il segnale satellitare che dice al drone cosa fare, sia quello che trasporta le immagini che il drone vede”, spiega il periodico. “Grazie al sistema UAS Satcom, il segnale riesce a viaggiare senza ritardi in modo da permettere ai piloti di manovrare un velivolo a migliaia di chilometri con la necessaria tempestività”.
Tutti i droni killer di Sigonella
La grande stazione aeronavale di Sigonella opera contestualmente come base di lancio dei velivoli senza pilota dell’aeronautica militare statunitense. Secondo quanto ammesso dallo stesso Pentagono, nella base siciliana è ospitato uno stormo di droni-killer MQ-1 “Predator” ed MQ-9 “Reaper” (letteralmente macchina falciatrice). In verità, secondo quanto riportato dai media statunitensi, a partire dall’estate 2018 l’US Air Force avrebbe ritirato dal servizio effettivo i “Predator” per sostituirli con i “Reaper” che possono volare con maggiore velocità e trasportare un maggior numero di munizioni. Questa sostituzione dell’assetto tecnologico risponde ad una differente visione strategica nell’uso dei velivoli senza pilota: in passato i droni erano infatti principalmente utilizzati per operazioni di intelligence e riconoscimento, ma oggi vengono richiesti dal Pentagono per il “supporto” alle attività di strike e bombardamento aereo. Originariamente il “Predator” non era stato progettato per il trasporto di missili e solo in una seconda fase è stato convertito in arma d’attacco anche se con una portata bellica limitata; da qui la progressiva sostituzione con l’MQ-9 “Reaper” che può arrivare a trasportare sino a 4.000 libbre di carico bellico.
Parallelamente si è assistito ad un processo evolutivo delle finalità strategiche dei reparti militari destinati al controllo operativo dei droni. In passato i gruppi di volo equipaggiati con i “Reaper” erano stati designati come “squadroni d’attacco” (attack squadrons), mentre i gruppi di volo con gli UAV MQ-1 “Predator” avevano assunto il ruolo di “squadroni da riconoscimento” (reconnaissance squadrons). Nella primavera del 2016 l’US Air Force ha però approvato il cambio di qualifica ai gruppi di volo equipaggiati con i velivoli a pilotaggio remoto “Predator”, trasformando anch’essi in attack squadrons e affiancando le missioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione a quelle di attacco contro obiettivi “selettivi”. Con l’allineamento di tutti i gruppi di volo come attack squadron è stata avviata la transizione dell’intera flotta “Predator” alla versione Reaper-falciatrice.
Negli ultimi mesi l’MQ-9 è stato migliorato per raggiungere maggiori altitudini e raddoppiare il carico utile: grazie ad un nuovo motore, il drone killer può raggiungere una velocità massima 482 km/h e un’autonomia tra le 14 e le 28 ore, secondo il carico a bordo, mentre la quota di servizio è stimata a 7.500 metri d’altitudine. L’armamento comprende missili anticarro a guida semi-laser AGM-114 Hellfire e bombe a guida laser Paveway GBU-12 o EGBU-12 o GBU-38 JDAM da 500 libbre. L’MQ-9 “Reaper” può trasportare fino a quattro missili Hellfire II e due bombe a guida laser Paveway. I droni vengono principalmente impiegati per eliminare obiettivi prefissati come bunker, veicoli e altri obiettivi sensibili; all’occorrenza per portare fuoco d’interdizione in appoggio alle forze di terra. Nel giugno 2017 l’ultima versione del “Reaper” (Block 5) ha effettuato le prime missioni da combattimento: secondo l’US Air Force il velivolo ha volato per oltre 16 ore in supporto all’Operazione Inherent Resolve contro le formazioni dell’ISIS in Iraq e Siria. Successivamente le attività del “Reaper” Block 5 sono state estese al teatro di guerra libico.
NAS Sigonella trampolino degli strike di morte USA
I dati in possesso di ricercatori e giornalisti d’inchiesta consentono di affermare che la stazione aeronavale di Sigonella opera già da lungo tempo come base di partenza per le operazioni dei droni d’attacco. Nel gennaio 2016 è stata data notizia che il governo italiano aveva formalmente autorizzato il decollo di velivoli senza pilota armati USA dalla base siciliana per “operazioni militari contro lo Stato islamico in Libia e attraverso il Nord Africa”. Secondo il quotidiano The Wall Street Journal, il via libera da parte del governo Renzi sarebbe giunto “dopo più di un anno di negoziati” e con alcune limitazioni alle regole d’ingaggio. “Il permesso sarà dato dal governo italiano ogni volta caso per caso e i droni potranno decollare da Sigonella per proteggere il personale militare in pericolo durante le operazioni in Libia e in altre parti del Nord Africa”, scrive The Wall Street Journal.
All’autorizzazione italiana è seguito immediatamente l’uso in grande scala dei droni killer. Tra l’agosto e il dicembre 2016, nel corso dell’offensiva contro le milizie filo-ISIS presenti nella città di Sirte (operazione Odyssey Lighting) ordinata dall’amministrazione Obama, gli USA hanno effettuato ben 495 attacchi missilistici; di questi — come ha spiegato il colonnello Case Cunningham, comandante del 432nd Wing basato a Creech in Nevada — il 60% sono stati effettuati dai droni “Reaper”. “Si tratta quindi di circa 300 incursioni, durante le quali ciascun drone ha scagliato fino a sei ordigni”, ha riportato il giornalista Gianluca Di Feo de la Repubblica (20 giugno 2018). Il 18 gennaio 2017, qualche ora prima che Barack Obama lasciasse il suo incarico di presidente degli Stati Uniti d’America, alcuni “Reaper” e due bombardieri B-2 dell’US Air Force effettuarono un attacco aereo contro i campi di addestramento dello Stato islamico a sud della città di Sirte, uccidendo più di un’ottantina di persone. Secondo il Comando di US Africom, “gli attacchi effettuati in parte con droni Reaper decollati da una base della Sicilia, sono stati condotti in coordinamento con il governo del Primo ministro libico Fayez Serraj”.
Le azioni di strike dei droni USA in Libia sono proseguite con l‘insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump. Nel primo semestre 2017, secondo The New York Times (24 settembre 2017), sarebbero stati perlomeno una ventina gli attacchi con droni autorizzati dal neopresidente USA, con 17 presunti militanti uccisi. Una nuova ondata di attacchi aerei è stata ordinata il 6 e 13 giugno 2018. US Africom, in un comunicato, ha annunciato di aver condotto nel primo caso un’incursione aerea di precisione contro al-Qaida nel Maghreb islamico (AQIM), a circa 50 miglia a sud-est di Bani Walid con “l’uccisione di un terrorista”. Nel secondo raid, ancora nell’area di Bani Walid – sempre secondo il Comando USA per le operazioni nel continente africano – sarebbero stati uccisi quattro presunti militanti di AQIM, ma alcune Ong hanno denunciato pure la morte di ignari e innocenti passanti. Un precedente raid contro AQIM in Libia era stato condotto il 24 marzo 2018 con l’uccisione di Musa Abu Dawud, un “responsabile di alto livello di Al Qaida” secondo US Africom. Anche in questi casi le incursioni “sono state condotte da MQ-9 Reaper decollati da una base aerea in Sicilia”. Il 28 agosto 2018 The World Aeronautical Press Agency ha documentato un nuovo raid nella zona di Bani Walid in cui sarebbe rimasto ucciso Walid Abu Habiya, ritenuto come uno dei maggiori leader dello Stato islamico.
L’utilizzo dei droni d’attacco con partenza dalla base siciliana non è un fatto recente ma risale alla guerra scatenata contro il regime di Gheddafi nella primavera 2011. Un rapporto dell’International Institute for Strategic Studies di Londra sulle unità alleate impegnate nell’operazione “Unified Protector”, aveva documentato come a partire della metà dell’aprile 2011 due squadroni dell’US Air Force con droni-killer erano stati trasferiti nella base siciliana. I primi raid furono scatenati il 23 aprile contro una batteria di missili libici nei pressi del porto di Misurata; un secondo attacco fu sferrato a Tripoli il giorno seguente contro un sistema anti-aereo SA-8.
Fonti ufficiali statunitensi hanno accertato che il 25 marzo 2011 (un mese prima cioè delle azioni falciatrici a Misurata e Tripoli) era stato attivato a Sigonella il 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron dell’US Air Force, reparto d’élite che ha per motto il Veni, Vidi, Vici che Giulio Cesare pronunciò dopo aver sconfitto nel 47 a.C. l’esercito di Farnace II del Ponto a Zela, nella Turchia orientale. Secondo quanto dichiarato al periodico investigativo The Intercept dal colonnello Gary Peppers, già comandante del 324th Expeditionary Reconnaissance Squadron operante in Sicilia (ed ex supervisore degli attacchi con droni in Iraq, Afghanistan e Pakistan), nella tragica primavera del 2011 gli strike effettuatii con con i droni armati “Predator” in Libia furono ben 241.
I droni di Sigonella ebbero un ruolo chiave anche per intercettare Gheddafi in fuga nell’ottobre 2011, colpire la pattuglia di scorta e registrare dall’alto la cattura e l‘efferato omicidio della massima autorità di governo libico da parte delle milizie ribelli. Il 23 marzo 2018 Il Giornale ha pubblicato un ampio reportage in cui sono ricostruite le ultime ore di vita del leader libico e le operazioni d’intelligence dell’US Air Force in supporto ai ribelli anti-governativi. “L’unica certezza è che il cerchio attorno a Gheddafi si è chiuso grazie all’intervento di droni, elicotteri e caccia della Nato”, riporta il quotidiano. “La fine del Colonnello inizia con una telefonata satellitare che fa a Damasco, forse per garantirsi un rifugio in Siria, intercettata dagli alleati. Così la Nato ha la certezza che il Raìs in fuga è asserragliato nell’ultima ridotta di Sirte, la sua città natale. Il 20 ottobre 2011 Gheddafi e i resti dei suoi fedelissimi decidono l’ultima disperata sortita per sfuggire all’assedio. Nei giorni precedenti c’erano state diverse missioni tattiche di almeno nove elicotteri su Sirte – ha raccontato al Giornale una fonte Nato -. Uno inglese e gli altri francesi, che colpivano obiettivi mirati. Quando la colonna si mette in marcia è composta da 75 mezzi zeppi di guardie del corpo e con gli ultimi gerarchi del regime. Un velivolo in ricognizione della Raf individua il convoglio, ma subito dopo un drone Predator pilotato da Las Vegas e decollato dalla base americana di Sigonella lancia il primo missile Hellfire sul convoglio. Sulla scena interviene una coppia di caccia francesi Rafale, già in volo, che martellano la colonna fino a esaurire il munizionamento. I raid probabilmente condotti anche con elicotteri mettono fuori uso un terzo del convoglio e una dozzina di mezzi scappano verso sud. Gheddafi è costretto a fermarsi trovando riparo in uno scolo di cemento sotto la strada. I piloti dei velivoli Nato e il Predator forniscono continue informazioni alla base Nato di Napoli e Poggio Renatico, che gestisce le operazioni aeree. Parte di queste informazioni vengono girate ai corpi speciali e all’intelligence alleata, al fianco dei ribelli a Sirte. Quando i ribelli tirano fuori il Colonnello dal suo rifugio scoppia il caos”.
Quanto riportato dal quotidiano italiano è confermato indirettamente dallo stesso colonnello Gary Peppers. Dopo essersi ritirato dal servizio attivo nelle forze armate, Peppers ha ricostruito la sua missione a Sigonella in una lettera pubblicata da Eu.news.press.com il 18 maggio 2014. “Ho assunto il comando del 324th ERS nel settembre 2011 e ho guidato questo squadrone sino alla fine dell’Operazione Unified Protector e nel periodo di transizione sino alla costituzione del nuovo governo in Libia”, ha spiegato l’ex colonnello USA. “Io ho seguito l’omicidio di Muammar Gheddafi da parte di alcuni fanatici di al-Qaida in tempo reale e in alta definizione Tv, grazie al Predator che volava alto. Io non avrei desiderato quel destino per il mio peggior nemico. Se avessimo avuto un altro missile a bordo, avrei deciso di mandare l’intero gruppo al creatore. Con la fine di Unified Protector, gli Stati Uniti e l’Italia avevano la necessità di sottoscrivere un accordo bilaterale separato per sostituire la risoluzione Nato che ci autorizzava a far volare i Predator armati da Sigonella. La Libia continuava ad essere un luogo pericolosissimo molto tempo dopo la fine ufficiale delle ostilità. A partire dalla conclusione delle nostre operazioni di volo da Sigonella l’1 novembre 2011, c’era stato solo un piccolo utilizzo dei droni di sorveglianza. Io parlai diverse volte con il colonnello Freeman che sapevo essere il consigliere militare dell’ambasciatore USA in Italia. Generalmente mi chiamava in piena notte, anche perché al tempo lui stava a Washington. Gli spiegai le condizioni di pericolo in Libia e perché fosse necessario mantenere una presenza armata in aria a protezione del personale americano e Nato schierato nel paese. Egli era d’accordo su tutto e mi disse pure che il nuovo governo libico aveva chiesto agli Stati Uniti di proseguire con i voli armati. Il 14 novembre ebbi la mia ultima conversazione con il colonnello Freeman. Mi disse che finalmente stava per essere firmata dalle due parti una lettera d’accordo. Gli chiesi se si sarebbero potuti caricare a bordo gli Hellfires quando avremmo ricominciato i voli, e lui mi rispose di no, che non c’era stato l’accordo. Anche se il governo italiano alla fine sembrava di dover dare l’OK, egli aggiunse, e il governo libico lo aveva già approvato, il Dipartimento di Stato non aveva mai chiesto agli italiani l’autorizzazione a condurre i voli dei Predator armati. Mai chiesto! La Guerra al Terrore si era ufficialmente conclusa, così aveva dichiarato il Presidente e il Segretario di stato. Non c’era più bisogno dei Predator armati!”.
Come ha scritto Gianluca Di Feo su la Repubblica, tutte le attività dei droni americani da Sigonella venivano interrotte alla fine del 2011 con la morte di Gheddafi. “Dopo alcuni mesi riprendono i voli dei Predator per le missioni di ricognizione, senza missili”, aggiunge Di Feo. “Solo in seguito all’assassinio dell’ambasciatore Stevens a Bengasi, nel settembre 2012 gli USA ottengono la possibilità di far decollare droni armati, con il vincolo di intervenire solo quando sia minacciata la vita dei cittadini americani. Nel 2014 e nel 2015 vengono segnalate alcune azioni mirate dei droni statunitensi per uccidere terroristi in Libia”. La breve sospensione degli strike dei droni in Libia da Sigonella è confermata dal Comando di US Air Force. “A partire del 2012, il 324th Squadron di stanza presso la Naval Air Station di Sigonella, assegnato al 409th Air Expeditionary Group, 435th Air Expeditionary Wing, ha effettuato operazioni di lancio e recupero a supporto dei velivoli ISR; prima con gli MQ-1B Predator e attualmente con gli MQ-9A Reaper”, si riporta nel sito ufficiale dell’aeronautica militare statunitense. Poi però sono ripresi i voli killer. “Il 324th Squadron fornisce in tempo reale ai Comandi delle forze aeree degli Stati Uniti d’America intelligence, sorveglianza e riconoscimento e strike cinetici a supporto della campagna anti-terrorismo grazie al lancio, recupero e manutenzione degli MQ-9”. Strike cinetici è l’eufemismo utilizzato dal Pentagono per confermare le azioni di sgancio di missili aria-superficie dai droni di Sigonella perlomeno dalla fine del 2012 sino ai giorni nostri.
Tutto sotto controllo per il governo e il parlamento italiano
Anche se con l’evidente scopo di fornire una versione edulcorata e tranquillizzante sulle operazioni dei droni da guerra USA, nel maggio 2013 l’Osservatorio di Politica Internazionale, un progetto di collaborazione tra il CeSI (Centro Studi Internazionali), il Senato della Repubblica, la Camera dei Deputati e il Ministero degli Affari Esteri, ha pubblicato uno studio sulla presenza dei velivoli senza pilota statunitensi a Sigonella in cui si riconosceva la presenza di “non meno di sei Predator USA da ricognizione e attacco”. “I droni temporaneamente basati a Sigonella hanno fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentassero delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”, scriveva l’Osservatorio. “Ai tumulti della Primavera Araba che hanno portato alla caduta dei regimi di Tunisia, Egitto e Libia ha fatto seguito un deterioramento della situazione di sicurezza culminato nel sanguinoso attacco al consolato di Bengasi e nella recente crisi in Mali, dove la Francia ha lanciato l’Operazione Serval. In considerazione di tale situazione, la Difesa Italiana ha concesso un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani a Sigonella”.
Sempre secondo il Centro Studi Internazionali di Roma, il Ministero della Difesa avrebbe concesso, con “due comunicazioni” del settembre 2012 e del gennaio 2013, l’autorizzazione “temporanea” allo schieramento dei droni d’intelligence e armati nella base di Sigonella. “Concedendo le autorizzazioni, le autorità italiane hanno fissato precisi limiti e vincoli alle missioni di queste specifiche piattaforme”, aggiungeva il rapporto. “Ogni operazione che abbia origine dal territorio italiano dovrà essere condotta come stabilito dagli accordi bilaterali in vigore e nei termini approvati nelle comunicazioni 135/11/4^ Sez. del 15 settembre 2012 e 135/10063 del 17 gennaio 2013”. Nello specifico, si sarebbero potute autorizzare solo le sortite di volo volte all’“evacuazione di personale civile, e più in generale non combattente, da zone di guerra e operazioni di recupero di ostaggi” e quelle di “supporto” al governo del Mali “secondo quanto previsto nella Risoluzione n. 2085 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite”. Inoltre le forze armate statunitensi sarebbero tenute ad informare le autorità italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività. Il report dell’Osservatorio di Politica Internazionale non chiarisce tuttavia le modalità con cui il governo e i vertici militari italiani potrebbero impedire agli Stati Uniti di utilizzare Sigonella per operazioni contrarie alla Costituzione e alle norme generali del diritto internazionale e interno e/o potenzialmente pregiudicanti degli interessi strategici nazionali.
In un successivo report del CeSI a firma del ricercatore Francesco Tosato, dal titolo Gli APR MQ-9 Reaper basati a Sigonella, pubblicato nel marzo 2016, sono stati forniti ulteriori elementi sui droni Usa schierati a Sigonella per le operazioni di guerra contro lo Stato islamico. “La Difesa Italiana ha concesso, tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, un’autorizzazione temporanea allo schieramento di ulteriori assetti americani nella base di Sigonella”, scrive Tosato. “Nello specifico si tratta di sei APR (Aeromobili a Pilotaggio Remoto) MQ-1 Predator o MQ-9 Reaper, velivoli da ricognizione e sorveglianza che possono eventualmente essere armati, alcuni ulteriori velivoli P-3 Orion AIP da pattugliamento marittimo e velivoli cargo C-130 Hercules con il relativo personale di supporto logistico (…) Ogni operazione che abbia origine dal territorio italiano deve essere condotta come stabilito dagli accordi bilaterali in vigore; l’autorizzazione ad effettuare sortite di volo è garantita solo alle seguenti condizioni: condurre Non Combatant Evacuation Operations e Hostage Rescue Operations; supportare il Governo del Mali per quanto previsto nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite n. 2085; notificare le Autorità Italiane prima dell’effettuazione di qualsiasi attività; le Autorità USA dovranno informare i Governi delle Nazioni interessate dall’attività al momento dell’effettuazione della stessa”.
“Anche relativamente all’aspetto di regolazione dell’attività di volo e di supporto logistico – aggiunge il nuovo report CeSI – gli assetti in dispiegamento temporaneo sono soggetti a precisi vincoli: l’esecuzione di tutta l’attività di volo deve essere subordinata alle esigenze nazionali e preventivamente coordinata con l’Ente ATC (Controllo Traffico Aereo) e l’Ufficio operazioni della base ospitante; in particolare, l’attività che interessa gli spazi aerei di Sigonella deve essere gestita con le medesime modalità vigenti per i reparti stanziali e preventivamente coordinata con il rispettivo Comando di Stormo per quanto concerne il numero di sortite, orari di svolgimento e procedure di attuazione; il parcheggio, l’assistenza velivoli ed il complesso logistico di supporto deve essere fornito dalla locale US Naval Air Station; l’attività degli assetti MQ-1/MQ-9 deve essere condotta strettamente in accordo alle procedure operative in vigore. La presenza dei Predator/Reaper temporaneamente basati a Sigonella, dunque, è sottoposta a precisi caveat imposti dal Governo italiano e ha fondamentalmente lo scopo di permettere alle autorità americane il dispiegamento di questi determinati dispositivi qualora si presentino delle situazioni di crisi nell’area nordafricana e del Sahel”. Precisi caveat imposti dal Governo italiano che stando però alle informazioni raccolte da autorevoli ricercatori e Ong internazionali non hanno impedito l’uso massiccio dei droni di Sigonella per gli omicidi extragiudiziali di presunti “terroristi” e finanche di civili nello scacchiere libico e probabilmente anche in tutta l’area nordafricana e del Sahel.
La verità negata sui crimini dei droni di Sigonella
Secondo uno specifico dossier diffuso il 20 giugno 2018 dal Centro di monitoraggio inglese Airwars e dal think thank New America, i bombardamenti aerei effettuati in Libia a partire del 2011 dalle forze armate di Stati Uniti, Francia, Egitto, Emirati Arabi Uniti e dei due Governi libici sarebbero stati 2.180 e avrebbero provocato la morte di un numero di civili compreso tra 244 e 398. Il data base del progetto diretto da New America e Airwars aggiornato alla data odierna fornisce numeri ancora più drammatici: 2.587 gli strike di aerei con e senza pilota con 1.125-1.501 morti di cui 300-460 civili. Sempre nel report del 20 giugno 2018 si specifica che le sole incursioni statunitensi, senza distinguere tra droni e velivoli con pilota, hanno contribuito all’uccisione da un minimo di 10 a un massimo di 20 civili, ma stando alle testimonianze raccolte in occasione dei più recenti raid a Sirte (dove è stato scatenato dalla coalizione internazionale un vero e proprio inferno), ci potrebbero essere stati altri 54 “non combattenti” che hanno perso la vita sotto le bombe. Airwars in particolare si sofferma su quanto accaduto il 28 novembre 2018 nella regione desertica meridionale di Ghat, vicino alla città di Al Uwaynat, quando uno strike di droni USA avrebbe causato la morte di 11 civili. “L’incidente rappresenta la maggiore accusa di danno a civili contro gli Stati Uniti in Libia sino ad oggi”, riporta il gruppo di ricerca inglese. “Inizialmente i report indicavano che gli USA avevano colpito appartenenti ad al-Qaida con un attacco di precisione in una città del sud della Libia. Africom ha confermato lo strike un paio di giorni più tardi, affermando però di aver ucciso 11 terroristi di al-Qaida in the Islamic Maghreb (AQIM) e distrutto tre veicoli. Fu aggiunto che nessun civile era stato ferito o ucciso nell’attacco”. La comunità Tuareg di Al Uwaynat ha però prontamente respinto le dichiarazioni del Comando USA per le operazioni nel continente africano, e nel corso di una protesta pubblica ha accusato i militari statunitensi di aver assassinato “undici persone innocenti, senza alcun legame con il terrorismo”. Tra le vittime ci sarebbe stato pure un comandante militare libico “che aveva combattuto il terrorismo a Sirte per assicurare al suo paese sicurezza e stabilità”. Il rapporto consegnato dai Tuareg alle autorità di Tripoli aggiunge che il convoglio di auto bombardato dai droni USA “stava viaggiando alla ricerca di un gruppo di Tuareg, vicino alla frontiera con l’Algeria, che erano sulle tracce di una gang di trafficanti dedita alla compravendita di macchinari pesanti con l’Algeria”. Sull’incidente è ancora in corso un’inchiesta dell’autorità giudiziaria libica.
Amnesty International ha pubblicato un approndito rapporto sul network internazionale che consente le esecrate e criminali operazioni di sterminio del Pentagono con l‘utilizzo dei droni, riservando proprio a Sigonella uno dei ruoli chiave. “Per via della sua assistenza significativa ai programmi USA con i droni – scrive Amnesty – l’Italia, come gli altri Paesi in oggetto, potrebbe essere considerata responsabile di aver fornito assistenza in eventuali attacchi statunitensi compiuti al di fuori del diritto internazionale ai sensi, soprattutto, dell’articolo 16 della Responsability of State for internationally Wrongful Acts della International Law Commission delle Nazioni Unite e potrebbe anche di conseguenza violare i suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale sui diritti umani”. Amnesty International e altre Ong hanno documentato attacchi illegali con i droni statunitensi nel corso di oltre un decennio, denunciando il fatto che questi raid hanno violato il diritto alla vita e in alcuni casi sono equiparabili a esecuzioni extragiudiziali e altre forme di uccisioni illegali. “Chiediamo al governo italiano di astenersi dall’assistere negli attacchi con i droni statunitensi e di avviare un’inchiesta pubblica e completa sull’assistenza al programma droni americano”, aggiunge l’organizzazione internazionale. “Chiediamo inoltre al governo di assicurare tempestive indagini su tutti i casi in cui vi sono fondati motivi per ritenere che abbiano fornito assistenza a un attacco con i droni statunitensi che ha provocato uccisioni illegali”. Sino ad oggi le autorità italiane non hanno però voluto fornire alcuna risposta all’appello di Amnesty.
Tutti i governi succedutisi dopo la guerra alla Libia del 2011 non hanno inoltre ritenuto doveroso informare il Parlamento e l’opinione pubblica sugli accordi sottoscritti per consentire l’uso del territorio e dello spazio aereo nazionale da parte dei velivoli senza pilota statunitensi. In base alle norme sulla trasparenza degli atti amministrativi, nel marzo 2017 l’European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR) di Berlino, in collaborazione con la cattedra di Diritto penale internazionale dell’Università di Milano (professoressa Chantal Meloni), ha chiesto al Ministero della Difesa, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Comando statunitense di Sigonella di poter visionare il testo degli accordi sull’uso della stazione aeronavale siciliana come base dei droni USA (sia quelli armati che non), ma dopo l’ennesimo e ingiustificato rifiuto del Governo, ha presentato un ricorso in sede di giustizia amministrativa. Mentre si attende un pronunciamento definitivo dei giudici, le forze armate USA continuano ad eseguire impunemente dalla Sicilia le sentenze di condanna a morte contro gli indiziati di “terrorismo internazionale”.
Droni d’intelligence per supportare le operazioni di guerra globale
Dall’ottobre 2010 a Sigonella sono schierati dall’US Air Force pure 4-5 aerei senza pilota da osservazione RQ-4B “Global Hawk” che operano sotto il controllo e la gestione del 7th Reconnaissance Squadron dell’US Air Force. Questa unità è stata riattivata a Sigonella il 15 maggio 2015 come parte del 69th Reconnaissance Group (di stanza a Grand Forks, North Dakota) e del 9th Reconnaissance Wing (Beale Air Force Base, California). “Il 7th Reconnaissance Squadron pianifica e realizza in qualsiasi luogo le missioni di intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR), comprese la raccolta d’informazioni in tempo di pace, le operazioni contingenti e la guerra convenzionale”, riporta il Comando di US Air Force. “Operando con i velivoli a pilotaggio remoto Global Hawk, il 7th fornisce i segnali e le immagini d’intelligence in tempo reale per tutte le richieste operative dei Comandi militari interforze in supporto al Segretario della Difesa”.
Al 7th Squadrone di US Air Force sono assegnati 85 militari e 67 civili. “Gli RQ-4 Global Hawk schierati a Sigonella supportano le missioni ISR di EuCom, Africom e CentCom nei loro teatri operativi sin dal 2011”, aggiunge il Comando delle forze aeree Usa. “I Global Hawks di questo gruppo di volo hanno avuto il loro battesimo con il fuoco l’1 maggio 2011, quando volarono per la prima volta sulla Libia per monitorare e assistere dall’alto le sortite contro gli obiettivi localizzati nella regione e rappresentati dalle batterie residuali di missili superficie-aria SAM e dai sistemi missilistici antiaereo a corto raggio trasportabili a spalla (MANPADS) dopo l’avvio dell’Operazione Odissey Dawn il 19 maggio 2011”.
“Dal loro schieramento nella base siciliana, i droni sono regolarmente utilizzati per missioni d’intelligence in Nord Africa, Europa orientale e Medio oriente”, aggiungono i vertici del Pentagono. “Nel marzo 2015, l’US Air Force ha reso noto il coinvolgimento dei Global Hawk nella guerra aerea all’ISIS non solo come piattaforma IMINT (Imagery Intelligence) ma anche come Nodo per le Comunicazioni Aeree nel Campo di Battaglia (Battlefield Airborne Communications Node – BACN), modificando il pacchetto dei sensori per le immagini normalmente installato nel velivolo, a supporto delle operazioni terrestri e assicurando le comunicazioni tra il personale militare e il velivolo aereo in modo da poter favorire gli strike contro i militanti dello Stato islamico”. Ciò conferma il ruolo di vera e propria macchina di guerra e d’attacco di questi droni: oltre a monitorare le aree d’intervento ed identificare gli obiettivi da colpire, i Global Hawk svolgono funzioni di guida a distanza delle operazioni di bombardamento da parte di velivoli con o senza pilota e finanche di eventuali reparti terrestri schierati sul terreno di battaglia.
I droni-BACN di Sigonella sono stati utilizzati con certezza durante i violentissimi strike lanciati dalla coalizione internazionale nella regione di Sirte il 4 febbraio 2017 e il 25 febbraio 2018 con missioni di volo ininterrotte per 21 ore sui cieli del nord-ovest libico, a un’altitudine di 46 mila piedi. Global Hawk decollati dalla Sicilia hanno operato nelle ore precedenti e durante gli attacchi aerei scatenati nei pressi della città siriana di Homs il 14 aprile 2018, affiancando i cacciabombardieri di Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna nei loro raid contro due depositi di armi che secondo il Pentagono sarebbero stati utilizzati “per stoccare armi chimiche o materiali utilizzati per la loro produzione”. L’analista e giornalista Babak Taghvaee in un ampio reportage sulla conduzione del raid a Homs ha documentato la partecipazione di tre bombardieri B-1B di US Air Force decollati dalla base di Al-Udeid (Qatar), otto cacciabombardieri F-15C del 493rd Fighter Squadron (48th Fighter Wing) di stanza nella base britannica di Lakenheath (Suffolk), ma decollati dall’aeroporto di Aviano (Pordenone) insieme ad otto cacciabombardieri F-16C del 555th Fighter Squadron di stanza nella base aerea friulana. “Ad Aviano sono stati schierati anche cinque aerei cisterna KC-135R/T del 351st Air Refueling Squadron di base a Mildenhall, Suffolk per rifornire in volo i caccia F-15 ed F-16”, ha riportato Taghvaee. “Prima dell’attacco gli Stati Uniti avevano effettuato tre giorni di missioni aeree d’intelligence per individuare gli obiettivi da bombardare con U-2S, RC-135V/U e droni RQ-4B del 12th Reconnaissance Squadron decollati dalla base di Sigonella”.
Con sempre più frequenza i “Global Hawk” schierati in Sicilia vengono utilizzati per missioni top secret in Mar Nero e nel sempre più complesso e pericoloso scenario di guerra ucraino. Le prime missioni in questa regione sono state documentate dai tracciati radar a partire dell’ottobre 2016, anche se già nell’aprile 2015 il generale Andrei Kartapolov, alla guida del dipartimento operativo dello Staff militare della Russia aveva denunciato all’opinione pubblica internazionale le attività di questi velivoli senza pilota in Crimea e in Ucraina. Nel caso relativo alla missione del 16 ottobre 2016, un RQ-4, dopo essere decollato da Sigonella, ha raggiunto prima i cieli della Bulgaria, poi il Mar Nero, la Crimea, Sochi e l’Ucraina per poi rientrare nella base siciliana dopo un volo durato circa 17 ore. Altri voli dei “Global Hawk” nello spazio aereo della regione contesa del Donbass sono stati tracciati il 14 novembre, il 2 e 16 dicembre 2016 (in quest’ultimo caso, il drone statunitense si è avvicinato a meno di 100 km dalle regioni russe di Voronezh e Rostov, al confine con la regione orientale ucraina di Luhansk).
Tra il 20 e il 21 luglio 2017 un drone RQ-4 “Global Hawk” decollato da Sigonella ha effettuato una missione ISR (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance) di 21 ore circa e ad una quota di 55 mila piedi, sorvolando prima la Bulgaria, il Mar Nero, la Crimea e l’Ucraina per poi far rientro in Sicilia via Romania, Bulgaria e Grecia. Il 23 ottobre 2017, secondo quanto denunciato all’agenzia Tass dal comandante delle difese aeree dell’esercito russo, generale Viktor Sevostyanov, ancora un Global Hawk raggiungeva provocatoriamente la frontiera della Russia nel Mar Nero. “Alla missione spia USA hanno concorso pure un velivolo RS-135 e un pattugliatore P-8A Poseidon; il Global Hawk e l’aereo RS-135 sono decollati entrambi dalla base Nato di Sigonella, mentre il P-8A è partito dalla base aerea di Souda, Grecia”, ha riferito l’alto ufficiale russo.
La frequenza delle missioni aeree dei droni USA sul Mar Nero è ulteriormente cresciuta nel corso del 2018: in particolare sono stati documentati voli dei “Global Hawk” il 9 e 25 gennaio; il 5, 16 e 28 febbraio (lungo le coste della Crimea e del Kuban); l’11 marzo; il 3 aprile (stavolta congiuntamente ad altri aerei spia statunitensi, compresi i P-8A “Poseidon”); il 13 maggio (sorvolato il confine tra Russia e Ucraina nella regione di Kharkov). Il 6 giugno è stato Camille Grand, vicesegretario generale per gli investimenti alla difesa della Nato ad annunciare da Bruxelles che un RQ-4B dell’US Air Force “era decollato da NAS Sigonella per effettuare una missione nel mar Baltico e in Lituania”. Ulteriori missioni ai confini occidentali russi sono state documentate il 16 settembre (ancora insieme ad un pattugliatore anti-sommergibile P-8A “Poseidon” di U.S. Navy); il 27 settembre (monitorata la linea di frontiera nel sud-est dell’Ucraina, parte delle coste della Crimea e il territorio di Krasnodar); il 7 e 26 ottobre (spazio aereo di Polonia, Ucraina, Lituania, Lettonia ed Estonia sino ai confini della regione di Kaliningrad).
Altre missioni d’intelligence dei “Global Hawk” e dei P-8A “Poseidon” di stanza a Sigonella sono state svolte durante e subito dopo il grave incidente avvenuto il 25 novembre 2018 nello Stretto di Kerch vicino la Crimea (tra il mar Nero e il Mare di Azov), quando tre imbarcazioni ucraine sono state sequestrate da unità da guerra russe che avrebbero pure aperto il fuoco ferendo due marinai ucraini. In particolare, la notte tra il 25 e il 26 novembre l’US Air Force ha ordinato il decollo dalla base siciliana di un RQ-4 UAV (denominato in codice Forte10) del 7th Reconnaissance Squadron; il velivolo ha raggiunto prima l’Ucraina occidentale, poi il Mar Nero sino alle coste sud-orientali della Crimea dove ha effettuato perlomeno otto ore di sorveglianza ininterrotta per poi rientrare a Sigonella via Bulgaria e Grecia. Forte 10 è tornato a sorvolare la Crimea la mattina del 27 novembre, seguendo le stesse rotte del giorno precedente; anche in questo caso il drone è stato affiancato da un Boeing P-8A “Poseidon” decollato qualche ora dopo da Sigonella. Più recentemente le missioni in Europa orientale dei “Global Hawk” sono state documentate il 2, 4 e 16 dicembre 2018 (in Crimea e nello spazio aereo prossimo all’enclave russa di Kaliningrad, nel mar Baltico); il 7 gennaio 2019 in Donbass e l’11 gennaio (in Crimea sino alle città di Novorossijsk e Soci).
La capitale mondiale dei droni USA e Nato
La base siciliana è stata prescelta inoltre come base operativa avanzata del sistema aereo MQ-4C “Triton” di US Navy, anch’esso basato sulla piattaforma del “Global Hawk” di ultima generazione. Secondo il Comando generale della Marina militare statunitense, i primi “Triton” inizieranno ad operare da Sigonella a partire del giugno 2019. Lungo 14,5 metri e con un’apertura alare di 39,9, il nuovo drone potrà operare entro un raggio di 2.000 miglia nautiche dalla base di decollo, a un’altitudine massima di 18.288 metri e una velocità di crociera di 575 km/h. Il velivolo godrà di un’autonomia di volo tra le 24 e le 30 ore consecutive.
Con un ritardo di quattro anni sul cronogramma fissato da Bruxelles e contractor, a Sigonella diverrà pienamente operativo nel primo quadrimestre 2019 anche il sofisticato sistema di comando, controllo, telerilevamento ed intelligence AGS (Alliance Ground Surveillance) della Nato basato anch’esso su velivoli a pilotaggio remoto UAV. Nel maggio 2018, la Nato ha firmato un contratto per il valore di 60 milioni di euro con il colosso delle costruzioni Astaldi S.p.A. di Roma per la progettazione e l’esecuzione dei lavori di ampliamento dell’area per le operazioni dei velivoli AGS. Nello specifico, a Sigonella saranno realizzati 14 edifici per il “rimessaggio-attrezzaggio degli aeromobili” e uffici-comando per circa 800 addetti dell’Alleanza Atlantica.
L’AGS dovrà fornire informazioni in tempo reale per compiti di vigilanza aria-terra a supporto dell’intero spettro delle operazioni alleate nel Mediterraneo, nei Balcani, in Africa e in Medio oriente. “Da Sigonella inizierà un viatico per proiettare la stabilità proprio sul confine meridionale della Nato, in collaborazione con lo Strategic Direction South Hub, basato presso il comando militare dell’Alleanza Atlantica di Napoli e che dal 2017 ha la finalità di aumentare la capacità di identificare e monitorare le molteplici minacce dal confine sud della Nato, con un centro di coordinamento per le operazioni di anti terrorismo, raccolta ed analisi dati ed informazioni sulle principali aree di crisi del vicino oriente e dell’Africa settentrionale”, spiega l’analista Alessandra Giada Dibenedetto del Ce.S.I. di Roma.
Il sistema AGS si articolerà in stazioni di terra fisse, mobili e trasportabili per la pianificazione e il supporto operativo alle missioni e da una componente aerea basata su cinque velivoli a controllo remoto RQ-4 “Global Hawk” Block 40. Esso s’interfaccerà con l’articolata rete operativa militare e con tutti i centri di comando, controllo, intelligence, sorveglianza e riconoscimento dell’Alleanza Atlantica a livello planetario. Il programma AGS è il più costoso nella storia della Nato (1,7 miliardi dollari secondo le previsioni del 2008). I droni potranno volare da Sigonella con un raggio d’azione di 16.000 km, sino a 18.000 metri di altezza e a una velocità di 575 km/h, in qualsiasi condizione atmosferica.
Il nuovo sistema di sorveglianza potrà contare sul supporto dei velivoli senza pilota Sentinel in dotazione alle forze armate britanniche ed Heron R1 che la Francia ha prodotto congiuntamente ad Israele. L’AGS s’interfaccerà inoltre con il programma Bams (Broad Maritime Area Surveillance) di rafforzamento della propria superiorità strategica nello svolgimento di missioni prolungate d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento (ISR) che la Marina militare USA ha avviato grazie ai nuovi pattugliatori marittimi P-8 “Poseidon” e all’ultima generazione di droni “Triton” della Northrop Grumman. Nel 2016 il Dipartimento della difesa ha ottenuto dal Congresso l’autorizzazione a costruire nella base siciliana gli hangar e una serie di infrastrutture di supporto per i “Triton” e i “Poseidon” con una spesa complessiva di 102.943.000 dollari.
In questi anni segnati dall’asfissiante dronizzazione di Sigonella e dei cieli siciliani, l’Isola è stata convertita pure in vera e propria “fortezza avanzata” per le attività di controllo e contrasto armato delle migrazioni. Ancora una volta è sempre l’Hub of The Med a fare da protagonista delle attività internazionali di “caccia” ai migranti nel Mediterraneo: a Sigonella, infatti, sono stati dislocati reparti e velivoli con e senza pilota nell’ambito della forza aeronavale Eunavfor Med (Operazione Sophia); mentre dal settembre 2013, lo scalo fornisce il supporto tecnico-operativo ai diversi assetti di Frontex (l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione europea), provenienti da Grecia, Portogallo, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito, Spagna, Francia, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca (Operazione Triton). Anche l’Aeronautica militare italiana concorre attivamente al processo di trasformazione di Sigonella nella base strategica delle nuove dottrine di guerra “automatizzata” del XXI secolo. Il 10 luglio 2017 è stato costituito nel settore sotto controllo italiano il 61° Gruppo Volo Ami, dotato di droni MQ-1C “Predator”, “allo scopo di consolidare e rafforzare il dispositivo di sicurezza nazionale per l’attività di sorveglianza nell’area del Mediterraneo, davanti alle coste del Nord Africa”. Il rischiaramento a Sigonella dei velivoli senza pilota dell’Aeronautica è stato ufficialmente avviato nell’ambito della missione anti-terrorismo e anti-migrazioni Mare Sicuro e con finalità di “protezione delle linee di comunicazione, dei natanti commerciali e delle piattaforme off-shore nazionali, ecc.”. I “Predator” del 61° Gruppo Volo di Sigonella possono operare a supporto delle autorità libiche per le attività di controllo del confine meridionale del Paese, grazie ad un “accordo tecnico” di cooperazione bilaterale italo-libico sottoscritto a Roma il 28 novembre 2013 dai ministri della difesa Mario Mauro e Abdullah Al-Thinni. Va altresì segnalato che nel 2016 l’Aeronautica militare ha ottenuto il permesso dal Congresso degli Stati Uniti d’America ad acquisire missili aria-terra e bombe a guida laser da montare a bordo dei nuovi droni RQ-9 “Reaper” in dotazione al 28° Gruppo Velivoli Teleguidati dell’Aeronautica militare di stanza nella base aera di Amendola (Foggia), il reparto responsabile delle missioni dei velivoli senza pilota operativi da Sigonella. Nonostante siano passati quasi tre anni dall’Ok statunitense e i fondi per l’acquisto dei sistemi d’arma per i “Reaper” siano stati messi in bilancio molto tempo prima, non è dato sapere se essi siano già a disposizione delle forze aeree italiane. Quando il processo d’acquisizione e di messa a punto del sistema killer sarò completato, anche l’Italia potrà mietere con i droni – anzi falciare – vite umane in Libia, nell’Africa sub-sahariana e in Medio oriente.
Sempre nell’ambito dell’uso dei velivoli senza pilota in quella che ormai può essere definita una guerra globale Ue e Nato ai migranti e alle migrazioni va segnalato che il 6 dicembre 2018 ha preso il via dallo scalo aereo di Lampedusa la campagna-voli del “Falco Evo”, il velivolo a pilotaggio remoto prodotto da Leonardo-Finmeccanica e Avio Aero, appositamente configurato per il monitoraggio marittimo, nell’ambito del programma di Frontex finalizzato alla “sperimentazione di droni per il controllo delle frontiere esterne dell’Unione Europea”. “Frontex sta analizzando la capacità di sorveglianza a media altitudine e lunga persistenza offerta dai velivoli pilotati a distanza, valutando efficienza economica ed operativa di tali sistemi”, hanno spiegato in un comunicato i manager di Leonardo. “La nostra società è stata appositamente selezionata per un contratto di servizio attraverso l’uso di droni nello spazio aereo civile italiano e maltese per un totale di 300 ore di volo con possibili ulteriori estensioni contrattuali”. Le operazioni di sorveglianza e ricognizione effettuate con il “Falco Evo” da un team della holding industriale-militare, vengono pianificate dalla Guardia di Finanza sotto il coordinamento del Ministero dell’Interno e in collaborazione con ENAC (Ente Nazionale per l’Aviazione Civile), ENAV (la società che gestisce il traffico aereo civile in Italia) e AST Aeroservizi (società di gestione dell’aeroporto di Lampedusa). “Il modello di business sviluppato da Leonardo prevede che l’azienda mantenga la proprietà e la responsabilità delle operazioni svolte con i velivoli della famiglia Falco, fornendo le informazioni di sorveglianza e i dati raccolti ai propri clienti”, aggiunge Leonardo. Frontex ha avviato la sperimentazione dei droni in funzione anti-migranti nel Mediterraneo a fine settembre 2017. “L’agenzia intende testare i velivoli senza pilota in diverse situazioni operative, come la sorveglianza marittima, il supporto alle attività di ricerca e salvataggio (SAR), l’individuazione di imbarcazioni sospettate di attività criminali come il traffico di droga e di armi e la raccolta d’informazioni, ecc.”, spiega lo staff di Frontex. Oltre che da Lampedusa, i velivoli senza pilota dell’agenzia europea operano dal Portogallo e dall’isola di Creta a supporto della guardia costiera e dell’aeronautica militare greca (si tratta in quest’ultimo caso dei velivoli “Heron” prodotti dalle Israel Aerospace Industries e gestiti in cooperazione con Airbus Defence and Security).
A rendere ancora più drammatico lo scenario siciliano nel processo di dronizzazione in atto a livello mondiale, il fatto che lo scalo aereo di Trapani-Birgi è stato convertito in poligono sperimentale dei nuovi velivoli senza pilota prodotti da industrie di guerra internazionali. Le società Piaggio Aereo Industries (controllata interamente da capitali degli Emirati Arabi Uniti) e Selex Es (Leonardo-Finmeccanica) utilizzano infatti dal novembre 2013 la base del 37° Stormo dell’Aeronautica militare di Trapani per i test di volo del dimostratore P.1HH DEMO, l’aereo a pilotaggio remoto realizzato nell’ambito del programma denominato “HammerHead” (Squalo Martello) e che sarà presto operativo per l’Aeronautica militare italiana (il contratto prevede la consegna di tre sistemi completi P-1HH con sei velivoli a pilotaggio remoto e tre stazioni di controllo terrestre). Con un’apertura alare di 15,5 metri, il drone può raggiungere la quota di 13.700 metri e permanere in volo per più di 16 ore. Il velivolo è stato dotato di torrette elettro-ottiche, visori a raggi infrarossi e radar “Seaspray 7300” che consentono d’individuare l’obiettivo, anche in movimento, fornendo le coordinate per l’attacco aereo o terrestre, o colpendolo direttamente con missili e bombe a guida di precisione (lo Squalo martello può essere facilmente modificato per il trasporto sino a 500 kg di armamenti). L’Italia si prepara sempre più ad affiancare gli storici alleati di Stati Uniti d’America, Francia e Gran Bretagna nelle campagne di killeraggio extragiudiziale in Africa e Medio oriente…
Paper presentato dall’autore in occasione della Conferenza internazionale Droni armati a Sigonella: Problemi giuridici e tensioni tra protezione del diritto alla vita, obblighi di trasparenza e strategia militare, organizzata dall’European Center for Constitutional and Human Rights e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Catania, con il Patrocinio del Dipartimento di Scienze Giuridiche “Cesare Beccaria” dell’Università degli Studi di Milano, venerdì 11 gennaio 2019, Villa Cerami, Catania.
Antonio Mazzeo
14/1/2019 https://antoniomazzeoblog.blogspot.com
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