I figli del Capitalismo: l’impatto psicologico del sistema sulla gioventù
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Gianmarco Mereu
Coordinamento nazionale Giovani comuniste/i PRC
Gruppo di lavoro Salute Mentale
Depressione, solitudine, suicidi, disoccupazione, futuro negato, repressione del dissenso, esclusione dallo studio, fragilità mentale.
Rispetto a cinquant’anni fa, la salute mentale non è più un tabù, ma sempre più si sta conformando come un elemento fondativo del proprio buon vivere e della dignità umana, ovvero come parte dei diritti inalienabili.
La crescita cubitale del consenso sull’essenzialità della psiche è così grande ed ha cambiato in maniera così
sconvolgente la società da poter imporre uno spazio di discussione sul valore delle pratiche cliniche, del sistema sanitario, dell’impianto epistemologico, della concezione del Welfare pubblico e del rapporto psicologico e intersezionale dell’individuo con tutte le strutture “intossicanti”, quali il modo produttivo e di consumi, la conseguente narrazione ideologica del lavoro come unico mezzo per l’appagamento e la crescita personale o l’incardinamento di ciascuno in concezioni precostituite gerarchicamente come il binarismo di genere, la razza, la neurotipia, la disabilità.
Le intersezioni tossiche
L’ampliamento del dibattito intersezionale anche alla sfera psichica, dunque, ha permesso di leggere l’impatto individuale dei costrutti sociali sopra elencati, benché parzialmente, dando adito alla possibilità di calcolare gli effetti nocivi del Capitalismo sull’unità, porgendo, in sostanza, il vocabolario psicologico come strumento di lettura e quasi-diagnosi del malessere prodotto dall’alienazione contemporanea.
Quest’arma nuova, potente, è racchiusa nel concetto di tossicità del Capitalismo.
Negli Anni Settanta era impensabile dichiarare in questi termini la condizione di vita personale sotto questo sistema, lo stesso termine, di norma, prendeva accezione ambientalista, lasciando intendere una natura sì velenosa, ma comunque fisica, inquinante, di corruzione ecologica della perfezione naturale.
La tossicità psicologica, invece, è una concezione agente, legge le cause che muovono ad azioni nocive per sé e per l’altrui persona nella loro apparente irrazionalità esteriore e ne motiva la presenza, spiegandone la logica interna.
Il potere che ha questo termine è quasi iperstizioso, cioè fa verificare nel reale ciò che asseriamo. Dire che il Lavoro, la Famiglia, le Relazioni, il Binarismo, la Razza, etc., sono tossici riporta alla ragione gli “intossicati” dal Capitale, li tocca nella loro validazione personale e ricorda loro il dolore nevrotico a cui sono soggetti costantemente dalla disfunzionalità che il sistema produce di sua volontà per dominarli. Appunto, dominio sia economico che ideologico hanno permesso che questo regime impattasse sulla vita delle persone e sulla loro psiche, limitandole e traendole nel disagio.
Pensiamo anche soltanto a tutti quei non expedit che applichiamo nel mondo del lavoro per “essere presentabili”, cosa succede se tal “presentabilità” inficia le scelte di vita più che sacrosante di una persona? Cosa fa una persona transessuale se la “presentabilità” sua è in aperta contraddizione col suo mero esistere? Il ricatto salariale, ahinoi, imporrebbe che si “presentasse” per il sesso di nascita, cioè coi connotati di genere più “accettabili” al costo della sua felicità, la pena in deterrenza a quest’ultima è troppo grande: è la fame. Il futuro dell’infelice, però, è costellato di dolori cronici, di repressione e paure, di transfobia e sessismo internalizzati, cioè si costituirebbe un ambiente tossico,
appunto, e più esso sussiste, più accrescono i danni della depressione, dell’ansia, di tutte quelle vie di fuga
surrogate alla vera libertà d’autodeterminarsi che viene negata e, come vedremo in seguito, ne esistono troppe di queste vie di fuga surrogate, al punto che determinano il comportamento di ampia parte della gioventù.
De facto, la nostra società non è capace di restituire un percorso di responsabile crescita personale ed autonomia decisionale, lo stesso modo di produzione si fonda sulla disautonomia ed anonimia dei partecipanti: il Capitalismo. Il punto è ora capire come sia possibile che un servizio di cura non risponda (o non riesca nell’intento) all’accrescere del disagio in uno stato endemico.
Lo sfaldamento della sanità e l’esplosione d’una crisi sociosanitaria della psiche, per di più, è direttamente
peggiorata da scelte politiche di stampo efficientistico che sinora hanno interrotto la prosecuzione di qualsiasi
progettualità liberante della psico-scienza e delle sue filiazioni, quasi che la stessa disfunzione prodotta dal
sistema ricada in quello stato della miseria che è la vita sotto Capitale persino per le dottrine che dovrebbero
sollecitare l’azione umana al buon vivere.
Après le Covid, le déluge
Già un anno dopo la pandemia, alcune sigle confederali della CGIL, con a capo le realtà studentesche di UdU e RSM, promossero una rilevazione statistica sulla salute psichica. Il risultato della somministrazione del
questionario “Chiedimi come sto”(1) fu che su trentamila intervistati fra studenti medi ed universitari, il novanta percento denunciava un forte disagio psichico, con più di due terzi in disregolazione alimentare od autolesione ed un quinto di abuso d’alcol o assunzione di stupefacenti. Appunto durante l’era Covid, l’emersione dello stato di malessere diffuso ha prodotto alcuni dibattiti sulla salute mentale dei giovani, purtroppo contornati dalla descrizione d’eccezionalità emergenziale, ma che ha successivamente portato (almeno) ad un tiepido risultato di assistenza sanitaria: il Bonus Psicologo.
Eppure, i segnali c’erano: già le proiezioni demografiche d’alcuni anni fa facevano parlare di “Età della Non-Ragione”(2), così come oggi le conferme delle statistiche post-pandemiche indicano l’attestazione d’una crescita costante dell’insorgenza di psicopatologie nelle società occidentali.
Giustappunto, “Headway – Mental Health Index 2.0”(3) denota su scala europea che più di metà della popolazione adolescenziale nei tre anni post-Covid ha sviluppato ansia e depressione, che un quinto della forza-lavoro è affetta da problematiche psichiche e che in tutta l’UE circa 250mila persone sono morte di correlazioni o direttamente di disturbi mentali e/o comportamentali, di cui 50mila, ossia un quinto, suicidandosi, aggiungiamo dalle rilevazioni dell’ISTAT che di queste 4mila ogni anno sono quelle giovanili(4).
Più studi, sia a campione che estesi, che già rilevano un profondo divario della ricerca nell’attenzione privilegiata verso la popolazione adulta rispetto alla controparte giovanile, indicano che le diffuse sintomatologie e diagnosi, in gran numero depressivo-ansiose, sono duplicate dopo l’avvento della pandemia, impennando una tendenza storica che già evolveva in tal direzione(5) e che esse necessitano un maggior interesse di fondi proprio per l’assenza di analisi dettagliate e per l’osticità di trattamento.
Vieppiù, mentre alcune ricerche hanno dimostrato che nel corso d’un trentennio c’è stato un aumento mondiale del trenta percento delle diagnosi giovanili di disturbi mentali(6), l’Italia ha incamerato nel bacino giovanile sempre più persone a rischio d’insorgenza di psicopatologie, sfornendosi d’un servizio diagnostico o di cura che potesse almeno mitigarne il crescendo e tralasciando qualsiasi metodo per un’analisi più focalizzata sul disagio giovanile(7). L’aggravante del disinteresse nella corretta catalogazione e metanalisi demografica ha spostato, di seguito, l’attenzione verso il mondo adulto e del lavoro.
Di conseguenza, gli strumenti di rilevamento, prima ancora che di diagnosi, dell’insorgenza di psicopatologie sono stati costretti nei criteri economicistico-produttivisti del Capitalismo, spesso, come illustravamo, focalizzati sugli adulti in età lavorativa. Per l’appunto, una conseguenza invalidante di questa dinamica è deducibile dalle statistiche nazionali sulla salute mentale, come ilreport ISTAT “La Salute Mentale nelle varie fasi della vita”(8), ove le condizioni di disagio e le diagnosi emerse sono sempre comparate al rapporto economico in termini di spesa
sanitaria e di produttività lavorativa, sia intesa come assenza dal luogo di lavoro sia come resa della propria
produzione.
Le persone neurodiverse ed i pazienti giovani od appena che maggiorenni che spesso risentono di più di quei fattori scatenanti delle malattie mentali sono in toto od in parte disaccoppiati dal sistema di lavoro dipendente, cioè precari, sotto o non occupati, lavoratori in nero o studenti ed inserire una correlazione tra lavoro e vita soddisfacente o sana, significa oscurare i dati sulla realtà giovanile, che, sprovvista delle tutele e certezze delle precedenti generazioni, ha un rapporto contraddittorio e conflittuale col mondo del lavoro.
Non c’è Sanità che tenga
Chiediamociscioccamente come, dopo anni diricerca,sviluppo tecnologico ed economico, progresso scientifico e sociale anche nel campo dell’autocoscienza e della comprensione della psiche, sia possibile che vi sia un così prepotente e strepitante dolore nel vivere. Perché è possibile per un sistema che ha informatizzato il mondo materiale e visto nascere l’Intelligenza Artificiale di predisporre questi al profitto e non alla prevenzione ed al superamento del disagio mentale. Ancor più squallido è dover contestualizzare che questa potenzialità è, in verità, già presente, ma posta sotto logiche di profitto; perché nell’ampio spettro di metodologie algoritmiche di metanalisi dei dati dell’attività online è integrato anche il rilevamento dello stato psichico del fruitore (ad esempio, desumibile dai dati biometrici), ma con lo scopo d’affinare la ricerca di contenuti da somministrargli per mantenerlo il più possibile attento ed in ascolto, cioè per vendere pubblicità nel mercato dell’Industria dell’Attenzione.
È ovvio che la tecnologia, resa inutile o detrimente al benessere psicologico, amplifica quei sintomi più allarmanti dell’epidemia (o, per meglio dire, endemia) di malessere mentale. La sfera digitale ci isola, il lavoro o la scuola ci stressano, il vuoto assistenziale del Welfare ci rende dipendenti dalle fluttuazioni finanziarie, precarizzando il futuro e così si manifesta l’incertezza metafisica della vita, sempre più condannata all’eterno presente della povertà di scelte e possibilità di cambiamento. In breve, siamo poveri di spirito nella nostra depressione non più “patologica”, cioè come malattia, ma come stato d’essere.
E in tutto ciò dov’è la sanità, l’unica arma necessaria ed essenziale al ristabilimento del nostro benessere? Nei ventennali tagli dei documenti di bilancio. Il sogno d’una medicina e psichiatria diffuse, democratiche, tempestive, dotate di controlli incrociati e di routine, approcci socio-sanitario-assistenziali interdisciplinari e concreta prevenzione del rischio di suicidi, condotte privative, etc., viene sempre più affievolito dall’incessante feticizzazione ed invalidazione del e nel malessere, un’inadeguata responsività clinica e dall’accelerazione del mercato nel processo ideologico e mercificante d’avulsione sociale che istiga alla performatività, all’isolamento, alla diffidenza ed alla dispensabilità dall’altro, già tutti segnali di fattori di rischio verso la malattia mentale, oltre che di deterioramento delle condizioni di vita.
Ora, infatti, si costituisce innanzi a noi sempre di più un contesto di solitudine e costante comparazione del
fallimento personale col successo altrui, invalidando qualsiasi progetto psicologico di sostegno all’autodeterminazione e responsabilizzazione. È in questa transizione mancata che notiamo gli altri effetti
dannosi degli ostacoli intercorsi al disfunzionamento del servizio di cura, i quali vanno oltre i continui tagli dei fondi e la crisi epistemologica.
L’assistenza specialistica ospedaliera, sempre più scarna ed impoverita, traghettata in quest’epoca dopo decenni
d’impostazione manicomiale, coi suoi arnesi, l’elettroshock, i ricoveri coatti, aveva una peculiarità rispetto alle altre medicine fisiatriche, la prelazione sulla cura e sulla farmacopea, oggi non è così. Non c’è più lo psichiatra-dominus del malato (e ciò è di certo un bene), ma non c’è neanche un radicale cambio di prospettiva verso la comunità curante ed inclusiva, da cui proviene l’impulso verso l’accettazione della propria identità e della ricchezza della diversità (pur se fosse ferita dal pregiudizio e dalle oppressioni) ed un piano terapico multimodale che dia una proposta di soluzione al disagio che in tanti modi può manifestarsi nel vivere, a priori dalla diagnosi.
C’è, anzi, lo psichiatra-Caronte: un traghettatore delle anime in pena, che diagnostica quest’anime prave, quelle dei “disturbati” ed a cui si deve l’obolo, per certi versi, il farmaco o la diagnosi.
D’altro canto, se è vero che c’è stato un graduale passaggio storico da una concezione del servizio di cura come struttura coercitiva e contenitiva, cioè dal manicomio, verso un sistema ospedaliero, l’innestamento del farmaco-centrismo, fa sì che vi sia un ulteriore fenomeno, cioè il successivo spostamento dall’ospedale alla farmacia.
Rispetto, però, al dolentissimo passato dell’istituzionalizzazione psichiatrica, s’è andato a perdere un elemento fondativo d’una cura integrata, cioè d’un sistema multimodale in cui l’intervento farmacologico è parallelo e simultaneo alla cura psicologica e che poteva essere una risposta molto più adeguata, se depurata da quell’impianto violento, all’attuale disaccoppiamento del farmaco dalla psicoterapia. In seguito, il fatto che di quel passato oggi resti poco in superficie e che siano cadute le condizioni materiali ed ideologiche perché fosse economicamente e socialmente sostenibile l’internamento e la medicalizzazione del diverso, è condizione insufficiente a sostenere un reale cambiamento del Sistema Sanitario.
La demistificazione del tabù sulla salute mentale, infatti, seppur necessaria per un miglioramento, è pur sempre incardinata in un’ambiente sociale di gravoso individualismo e mercificazione, ove l’Industria dell’Attenzione ed il modo produttivo hanno delle pesanti influenze, proprio perché spingono verso l’avulsione sociale e quindi l’eliminazione di uno spazio collettivo di rigogliosa crescita, cooperazione e sostegno reciproco.
Per certi versi, è proprio vero che non c’è sanità che tenga innanzi ad un contesto così complesso ed impattante, va, però, detto che il sistema sanitario, se riformato democraticamente, ha pur sempre i mezzi per poter combattere e contrastare le sintomatologie più invalidanti, tanto che anche soltanto l’istituzione dello psicologo di base potrebbe garantire un miglioramento del tenore di vita collettivo, attenuando quelle condotte diffusissime fra i giovani che ora s’espandono a macchia d’olio.
La sanità, però, non è un mezzo da lasciare al mero scopo “manutentivo” della società. Non è, per capirci, una cassetta degli attrezzi del Capitale utile per riaggiustare la forza-lavoro depressa, è il mezzo imprescindibile di garanzia di benessere del popolo e quindi anche dei giovani. In qualche modo, il nostro presente, le esigenze ed emergenze dei giovani stanno ponendo proprio tale questione. È il momento di cambiare sanità, di renderla culturale ed intrinseca al quotidiano, insegnare e diffondere progetti curativi nelle scuole e nei posti di lavoro o si cronicizzerà questo presente in un identico e deprimente futuro. In conclusione, vien da dire con una macabra ironia: non moriremo democristiani, ma ammalati di Capitale. È questa la morte che auguriamo ai nostri figli?
Gianmarco Mereu
LINK
1- https://www.spiweb.it/wp-content/uploads/2022/11/chiedimicomesto-1.pdf
2- https://www.economist.com/sites/default/files/20150711_mental_illness.pdf
3- https://www.notiziariochimicofarmaceutico.it/2023/07/12/presentati-i-risultati-del-rapporto-headway-sulla-salute-mentale/ https://www.ambrosetti.eu/healthcare/salute-mentale/
4- http://dati.istat.it/Index.aspx?DataSetCode=DCIS_SUICIDI
5- https://jamanetwork.com/journals/jamapediatrics/fullarticle/2782796
6- https://www.thelancet.com/journals/lanchi/article/PIIS2352-4642(22)00073-6/fulltext
7- https://www.fondazioneveronesi.it/magazine/articoli/neuroscienze/peggiora-la-salute-mentale-di-bambini-e adolescenti#:~:text=Sono%20oltre%202%20milioni%20i,esordiscono%20sotto%20i%2014%20anni
8- https://www.istat.it/it/files//2018/07/Report_Salute_mentale.pdf
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