I giovani fascisti “sono tornati”
Dalle braccia tese nei licei alle reti terroristiche sul web. La normalizzazione di simboli e ideali di estrema destra tra gli adolescenti è un campanello d’allarme, che la società non può più permettersi di ignorare
Svastiche, tirapugni, mazze, coltelli, machete, repliche di fucili e pistole – prive del tappo rosso che le identifica come false – e, ovviamente, bandiere e simboli riferibili al nazismo, al fascismo e al suprematismo bianco: questi gli oggetti sequestrati durante un’operazione di polizia che ha coinvolto dodici ragazzi in tutta Italia. Le indagini sono iniziate il 19 marzo scorso, quando un minore ha ripetutamente aggredito e derubato cittadini immigrati nella metropolitana di Milano. I testimoni hanno raccontato di averlo visto mostrare la svastica tatuata sul petto e gridare “i fascisti sono tornati”, una scena degna del film American History X.
L’arresto del ragazzo ha portato alla luce un’intera rete: canali Telegram e gruppi WhatsApp nascondevano incitazioni alla discriminazione per motivi razziali, etnici o religiosi. All’interno giovanissimi provenienti da tutto il Paese vantavano le loro azioni violente. Le indagini hanno coinvolto le questure di Torino, Roma, Firenze, Venezia, Novara, Ravenna e Biella. Le dodici persone identificate, dieci minorenni e due maggiorenni, sono state accusate di “propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” (art. 604 bis C. P.).
Purtroppo non è un caso isolato. Solo a settembre di quest’anno un’operazione della Digos di Milano, Cagliari e Vicenza ha identificato dei giovani facenti parte di un network nazifascista russo denominato “Aast”. Il gruppo era collegato a un’associazione terroristica di matrice suprematista chiamata “The Base”, a sua volta riconducibile al più ampio programma internazionale del White Suprematist Extremism. Queste reti reclutano nuovi adepti “con l’obiettivo primario di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo ed eversione per motivi di odio razziale”, si legge nel report online della polizia. Secondo l’indagine, i cosiddetti “soldati di Aast” si riferiscono ai “non bianchi” come “subumani” e programmano azioni violente, dalle semplici intimidazioni a vere e proprie aggressioni. L’inquietante cronologia del diciottenne fermato non solo ha dimostrato la ricerca spasmodica di armi di ogni tipo, ma anche la divulgazione di pornografia minorile. Aveva infatti costretto una quindicenne a divulgare video e immagini di atti sessuali.
È preoccupante la scarsa copertura mediatica che ha questo tipo di notizie, per lo più relegate alle pagine di cronaca locale e ridotte a trafiletti, ma che dimostrano un incremento di episodi violenti legati al neofascismo, con protagonisti soprattutto giovani minorenni. A indicare che molti adolescenti abbraccino l’ideologia dell’estrema destra ci sono infatti anche le fotografie, uscite proprio in questi giorni, che mostrano alcuni studenti del liceo Montessori di Roma con le braccia tese. È periodo di elezione per i rappresentanti d’istituto, e nelle scuole del quadrante nord della capitale si sono formate diverse liste di derivazione neofascista, con i soliti nomi latini come Iter o Virus. La Rete degli studenti medi, che ha condannato subito l’episodio, ha denunciato numerosi “attacchi ai militanti delle associazioni antifasciste”. Secondo gli attivisti, dietro questi movimenti, ci sono delle organizzazioni trasversali, come Generazione popolare, la Comunità militante Raido e il reparto giovanile di Fratelli d’Italia, Gioventù nazionale, con obiettivi ben più ampi della rappresentanza nei licei.
Superfluo risalire agli anni Settanta e Ottanta per ricordare che le organizzazioni fasciste studentesche ci sono sempre state, anche nel passato. Quindici anni fa, a terrorizzare i cortei, c’era il Blocco studentesco – che esiste tuttora: alcuni ricorderanno gli scontri alla manifestazione di piazza Navona, nel 2010. Tuttavia, oggi il problema non è solo italiano: anche all’estero, specialmente in Francia e in Germania, cresce tra i giovani un sentimento nostalgico verso i fascismi. Alle recenti elezioni europee, tra gli elettori francesi di età inferiore ai 34 anni, il partito di estrema destra, Rassemblement national, è risultato il più votato, assicurandosi il 32%, secondo l’emittente francese BfmTv. Mentre nel settembre scorso – riporta “Le Monde” – è stata scoperta in Germania la rete Artgemeinschaft, un gruppo di estrema destra descritto come “associazione di culto, profondamente razzista e antisemita”. Attiva su tutto il territorio tedesco, con l’obiettivo di indottrinare i giovani e i giovanissimi con letteratura di epoca nazista, l’associazione aveva una libreria online e diverse pagine social.
Olaf Scholz, in occasione dei settantanove anni dalla liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, ha parlato di queste organizzazioni: “Emergono continuamente nuovi rapporti sui neonazisti e sulle loro reti oscure. Allo stesso tempo, i populisti di destra stanno guadagnando terreno, alimentando la paura e seminando odio”. Il cancelliere ha invitato i tedeschi a opporsi agli estremismi per proteggere la democrazia: “Non dobbiamo accettare questo sviluppo”. Purtroppo non stupisce che non vi siano reazioni simili da parte del nostro governo; d’altronde ricordiamo la recente inchiesta di “Fanpage”, che ha mostrato la vera sostanza del gruppo giovanile di Fratelli d’Italia, Gioventù nazionale. Cori neonazisti, insulti antisemiti alla senatrice Ester Mieli, dello stesso partito, omofobia e tantissime braccia tese, e anche in quel caso a schierarsi erano poco più che ventenni.
Giovani e già così intolleranti, perché? Che siano a Milano, a Roma, a Göteborg o a Nantes, gli adolescenti e i giovani adulti cercano disperatamente un’identità e la rete li aiuta a trovarla. Questi canali, in cui si sentono finalmente compresi, non più soli, possono essere dei fan club di cantanti K-pop coreani, oppure, per quanto sembri assurdo, organizzazioni neonaziste attive a livello nazionale e internazionale. Il mezzo digitale con cui arrivano ai giovani questi contenuti, in grado di diffondere coreografie di balletti accattivanti come incitazioni all’odio razziale, li protegge dall’attenzione e dal giudizio dell’opinione pubblica, e allo stesso tempo permette loro di arrivare al cuore, di parlare direttamente all’intimità delle camerette in cui spesso sono autoreclusi.
Un altro fattore, spesso minimizzato, è il puro e semplice impatto visivo. Se per noi il fascino dell’iconografia neofascista è chiaramente incomprensibile, bisogna considerare la coerenza che hanno questi gruppi nel comunicare. Sono forti di un’immagine che non è mai cambiata. Che siano post social, manifesti o scritte sul muro, la loro identità visiva è semplice, riconoscibile, uguale a se stessa: il classico carattere stampatello che li unisce alle curve ultras, la grafica che si rifà ai futuristi, l’idea di un’eversione violenta e fuori dagli schemi. Cose, purtroppo, agognate da un adolescente, soprattutto se bianco, etero e cisgender.
“Non piegarti al conformismo, ritrova la strada!”, scrive l’organizzazione neofascista Generazione popolare su Instagram. Che la strada sia quella di essere un braccio armato del razzismo istituzionale, è un’altra storia: la narrativa rimane quella, cara agli adolescenti, della rivoluzione, del cambiamento. Sono frasi semplici, immediate, assimilabili a cori da stadio o a canzoni di Sanremo – ed è proprio in questo che trovano la loro forza, nella mancanza di complessità. Niente in confronto all’aspetto eterogeneo e vario che ha il mondo della sinistra, fatto di mille sfaccettature, correnti e centri sociali che si detestano tra loro, pur lottando per le stesse ragioni.
Le altre questioni che facilitano la vicinanza tra i giovani e gli ambienti neofascisti riguardano la normalizzazione del regime e la mancanza di memoria storica. Anni fa, un collega svizzero all’Università di Belle arti di Lisbona mi chiese perché a Roma erano ancora così evidenti i segni del ventennio fascista negli edifici, perché l’Eur fosse ancora in piedi, perché davanti allo stadio Olimpico ci fosse un obelisco con la scritta Dux. Sul momento la mia reazione fu protettiva: l’architettura razionalista non era necessariamente specchio delle ideologie controverse dell’epoca, così come non lo era la passione per l’antica Roma dei gerarchi. Non serve radere al suolo l’Eur per cancellare la traccia del fascismo, bisogna educare le persone, studiare il passato per capire il presente. Eppure, giorni fa, camminando sulla riva del Tevere, all’altezza del gazometro, tra i resti industriali c’è una cisterna dell’acqua con sopra un grande fascio littorio. Immaginiamo se al centro di Berlino, poniamo a Friedrichshain, ci fosse così, in mezzo a una via, un’enorme svastica. A che serve avere nella Costituzione il reato di apologia di fascismo, se poi nessuno si prende la briga di togliere un Dux da un obelisco, un fascio littorio dalla facciata di un palazzo? Non sono certo i simboli persi nel caos urbano a incidere sulle menti dei più giovani, eppure servono a normalizzare un passato tenebroso: “se lo lasciano in strada, non poteva certo essere così male”.
La memoria funziona finché ci sono persone che l’alimentano; oggi i giovani non hanno più né i genitori né i nonni che hanno visto la guerra, nessuno ha mai raccontato loro dell’oppressione del regime, se non qualche professoressa del liceo in corsa per finire il programma. Se poi c’è anche l’abitudine a vedere dei simboli e a non associarli con niente di doloroso, di atroce, a non collegarli ai treni che di notte, passando proprio dalle rive di Ostiense, portavano intere famiglie verso i forni crematori oltreconfine, allora il legame della realtà con la storia si perde completamente, e diventa fertile il terreno per il negazionismo.
Ora che i fronti sono di nuovo così definiti nel mondo – i Brics contro la Nato, la Russia contro l’Ucraina, Israele contro il mondo arabo –, la radicalizzazione aggressiva delle nuove generazioni fa paura. Evidenzia una cultura di intolleranza e razzismo che permea la nostra società, e trova il suo sfogo in veri e propri atti criminali, spesso minimizzati dai media e relegati a notizie di cronaca locale.
È allarmante come queste faccende vengano affrontate come episodi isolati, ignorando il pericolo sistemico che rappresentano. La normalizzazione di simboli e ideali neofascisti tra i giovani è un campanello di allarme, che la società non può più permettersi di ignorare.
Marianna Gatta
25/10/2024 https://www.terzogiornale.it/
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