I lavoratori pagano, i manager incassano
Sotto la guida di Bonomi, Confindustria si è lanciata in uno scontro con il governo per ottenere un posto riservato agli industriali al banchetto dei miliardi che arriveranno dall’Europa per il coronavirus. È la stessa associazione che critica lo strumento della cassa integrazione e poi “mette” in cassa i giornalisti del Sole24ore
Arriveranno soldi, molti soldi, su questo non ci sono grandi dubbi: sono almeno 172 miliardi dall’Europa oltre i 36 miliardi del fondo salva Stati Mes che potranno essere usati per la sanità e che il governo italiano, nonostante le enormi fibrillazioni nella maggioranza, sembra intenzionato a richiedere. Ciò che sembra sfuggire a molti commentatori politici è che in Italia si vedranno cifre che sarebbe stato folle anche solo immaginare prima della pandemia e ogni volta che all’orizzonte si intravede il denaro le lobby, dalle più fameliche alle più ostinate, si preparano a aprire le fauci per ingerire la propria fetta.
All’odore dei soldi si è mossa subito la nuova Confindustria di Carlo Bonomi, quello che non ha nemmeno fatto raffreddare il festeggiamento per la sua elezione e si è già lanciato in uno scontro a muso duro con Giuseppe Conte e il suo governo per chiedere che Confindustria possa avere il suo lauto posto riservato per il prossimo banchetto.
Curiosa la storia del capo di Confindustria: colui che dovrebbe rappresentare tutti gli imprenditori d’Italia, e che quindi dovrebbe presumibilmente esserne un fulgido esempio, è a capo di una piccola azienda biomedica che fattura qualcosa come due milioni di euro all’anno, una miseria nel panorama imprenditoriale italiano che già di suo non eccede nelle dimensioni medie. Ma Bonomi è stato scelto per fare la parte del cattivo e lui ha preso molto sul serio il copione eccedendo perfino nella sua libertà lessicale: giusto qualche giorno fa ha dato lezioni di diritto costituzionale lanciando l’idea di una nuova democrazia che ha chiamato «negoziale» auspicando «una grande alleanza pubblico-privato» in cui «il decisore politico non ha delega insindacabile per mandato elettorale» ma dialoga «incessantemente attraverso le rappresentanze del mondo dell’impresa, del lavoro, delle professioni, del Terzo settore, della ricerca e della cultura».
Letta di primo acchito potrebbe anche sembrare avere un senso se non fosse che…
L’inchiesta prosegue su Left in edicola dal 26 giugno
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