I migranti italiani nell’Europa del mercato dei nuovi schiavi
La Brexit e l’emigrazione italiana
A partire dall’inizio di questo decennio, si è assistito a una notevole ripresa dell’emigrazione italiana verso l’estero. Il numero delle partenze è cresciuto di anno in anno e il flusso si è diretto prevalentemente verso un ristretto numero di Paesi europei appartenenti all’Unione, compresa la Gran Bretagna anche dopo la sua uscita dall’Europa, la Brexit. Al rinnovato flusso di uscite dall’Italia ha corrisposto negli ultimi anni un flusso in entrata soprattutto di stranieri. Il che fa del Paese un vero e proprio crocevia migratorio. E questo aspetto è diventato sempre più evidente tal ché nel 2017 gli stranieri soggiornanti in Italia risultavano pari a 5 milioni e 200 mila e i cittadini residenti all’estero pari a poco meno di cinque milioni.
Mentre nel Paese c’è un intenso dibattito sull’immigrazione, determinato anche e soprattutto dal nuovo clima istituzionale, caratterizzato prima dalle iniziative securitarie del ministro Marco Minniti e poi da quelle esplicitamente persecutorie del ministro Matteo Salvini, dell’emigrazione si parla poco, quasi che la questione fosse priva di rilievo. Proprio per questo ho scritto il libretto recentemente edito dal Mulino Quelli che se ne vanno: la nuova emigrazione italiana. Il libro intendeva mettere soprattutto in evidenza la portata significativa del fenomeno, criticare qualche luogo comune come ‘la fuga dei cervelli’ e denunciare la precarietà delle condizioni di lavoro e generali di questi nuovi migranti. Ma la Brexit ha gettato un’ombra sulla tematica che implica un’attenzione e una discussione ben più serie.
I protagonisti di questa nuova emigrazione hanno molte destinazioni, ma la stragrande maggioranza si recano in Paesi dell’Unione Europea (oltre che in Svizzera). E le mete più importanti sono state fin dall’inizio la Germania e l’Inghilterra. Nell’analizzare i fattori che hanno determinato la nuova emigrazione italiana con le sue caratteristiche e specificità, sono emersi due importanti dati di contesto: il consolidarsi del processo di integrazione europea a partire dall’inizio del secolo e la crisi finanziaria del 2008, seguita nei Paesi dell’Europa del Sud dalla recessione durata fino alla metà del decennio in corso.
Entrambi i fattori hanno contribuito a un’intensa mobilità di cittadini europei all’interno di uno spazio migratorio definito dai confini della Ue. L’esclusione dei Paesi dell’Europa del Sud dalla ripresa che a partire dal 2010 ha riguardato quelli del Nord, ha intensificato la nuova emigrazione che non ha rappresentato più solo una opportunità – dovuta alla facilità di spostamento, alla riduzione delle barriere e (nei Paesi dell’euro) alla moneta unica – ma anche una necessità dovuta al peggioramento della situazione economica.
Un fatto interessante da notare è che le partenze dall’Italia e dagli altri Paesi dell’Europa mediterranea non si sono fermate neanche quando la ripresa ha cominciato a interessare questi Paesi. Ciò deriva molto probabilmente dai limiti e dai condizionamenti che l’hanno caratterizzata, con il conseguente consolidamento del dualismo tra Sud e Nord Europa. Per questo, detto per inciso, si ha l’impressione che il nuovo ciclo della emigrazione italiana sia destinato a continuare.
Ma a modificare il quadro interviene una variabile di tutto rilievo rappresentata dalla Brexit. Innanzitutto essa avrà conseguenze dirette sulla emigrazione italiana verso la Gran Bretagna. Questa avverrà in condizioni certamente nuove e non ancora del tutto prevedibili, ma non sarà più parte di un movimento all’interno di uno spazio di libera circolazione e residenza, oltre che di godimento (ancorché parziale) di diritti sociali di cittadinanza. E non si tratta solo di questo: la Brexit è anche espressione di un clima radicalmente mutato al livello di opinione pubblica, ma anche di istituzioni e di forze politiche, nei confronti dell’Europa e rappresenta una radicale inversione di tendenza rispetto al processo di integrazione e a quel sentire comune di appartenenza all’Unione.
Ciò non significa che le spinte e i movimenti migratori necessariamente si ridurranno in maniera importante. Si sono messi in moto molti meccanismi, molte catene migratorie, molte aspettative e anche una certa abitudine agli spostamenti che spingeranno verso la prosecuzione della nuova emigrazione italiana. Tuttavia con maggiori difficoltà nella scelta delle destinazioni, nelle condizioni di inserimento e rispetto al godimento di diritti nel mutato clima sociale e istituzionale. E il Regno Unito – se la Brexit significherà Brexit – non avrà il ruolo svolto finora per l’emigrazione italiana quale primo Paese di destinazione (contendendosi questa primazia con la Germania).
Che ne sarà dunque dei nuovi emigranti italiani? Per rispondere a questa domanda è necessario fare un passo indietro e ritornare alle caratteristiche dell’emigrazione italiana in Gran Bretagna. L’eccezionale presenza in Inghilterra di accademici italiani rappresenta solo una parte degli immigrati ad alto livello di qualificazione (high skilled migration, come si usa dire) inserita nella società britannica. In un saggio, Colpi [2017] sottolinea questa importante componente dell’universo della immigrazione italiana e il fatto che sia relativamente silenziosa (o non udita) e contrastante con la rappresentazione dominante nell’immaginario britannico dell’immigrato italiano, cameriere di bar o di ristorante. Non mancano poi nel panorama le figure di giovani europei mobili alla ricerca anche di esperienze formative, compreso l’apprendimento della lingua, che finora hanno trovato nel Regno Unito la destinazione più opportuna. E non si tratta solo degli studenti dei programmi Erasmus.
E da questo punto di vista la condizione più problematica è quella della componente operaia in senso lato, nei confronti della quale si è espresso il massimo livello di risentimento da parte della componente più proletaria e popolare dell’elettorato britannico in occasione del referendum sulla Brexit.
Per comprendere quello che sta accadendo ai protagonisti della nuova emigrazione italiana è opportuno sottolineare alcune specificità della politica migratoria inglese che non riguardano solo gli italiani. Il Regno Unito all’interno dell’Unione Europea ha sempre mantenuto una posizione particolare riservandosi una serie di prerogative. A parte il fatto che non rientra nella zona dell’Euro – e questo rende forse meno drammatico l’effetto della Brexit – il Regno Unito non rientra neanche all’interno dello spazio Schengen, fatto di rilievo per le migrazioni. Più in generale, il Paese ha inteso mantenere una sorta di autonomia rispetto alle linee europee di gestione della politica migratoria, sia per quanto riguarda l’emigrazione da Stati esterni all’Unione Europea, sia rispetto a quella proveniente dagli stessi Stati membri della Ue. E anche sul piano del welfare, la letteratura ha messo in evidenza una serie di limitazioni volte a ridurne i benefici anche per gli immigrati provenienti da Paesi dell’Unione. Il processo si è espresso sia a livello legislativo che a livello di intervento operativo e di applicazione restrittiva delle norme esistenti.
D’altra parte questa non è una specificità britannica: in tutti i Paesi dell’Unione si sono verificate restrizioni alla libertà di movimento e al godimento dei benefici delle politiche sociali per i cittadini stranieri appartenenti a Paesi dell’Unione con un ruolo molto importante in questa direzione da parte della Corte Europea.
In un articolo recente Gabriella Alberti conduce una utile illustrazione delle restrizioni alla libertà di movimento del lavoro nell’Ue con particolare riferimento al caso della Gran Bretagna, passando in rassegna una molteplicità di studi sugli interventi restrittivi messi in atto sia nel campo del diritto alla residenza che su quello dell’accesso ai benefici del sistema di welfare, e partendo dalla convinzione che i due aspetti sono strettamente intrecciati. “Le restrizioni alle libertà dei migranti – scrive Alberti – emerge in maniera clamorosa nel Regno Unito dove il diritto ai benefici sociali è definito dalla condizione di lavoratore (…) e non dalla cittadinanza sociale (Alberti 2016: 44)”. Il che è in contrasto radicale con il carattere universalistico del sistema di welfare britannico.
Alla base di questa erosione c’è l’assunto che i migranti rappresentino un carico eccessivo per il sistema del welfare. E proprio sulla base di questo assunto, alla vigilia del referendum, nel febbraio 2016, fu firmato un accordo – poi invalidato ovviamente dall’esito del referendum – riguardante condizioni e limiti per avere l’accesso a benefici o per esserne esclusi. Ma già da prima di queste decisioni, condizionate dall’incombere del referendum, erano state introdotte nel 2013 norme riguardanti l’esclusione dei disoccupati cittadini di Stati membri dell’Ue dal sussidio. Altri esempi portati da D’Onofrio e Marino (2017) in un saggio sulla Rivista delle politiche sociali offrono ulteriore documentazione in questa direzione.
Gli esempi riportati riguardano, per quel che attiene il peggioramento delle condizioni, soprattutto i lavoratori immigrati appartenenti alla fascia più bassa della scala occupazionale, ma quelli riguardanti il diritto di residenza riguardano anche la componente costituita dagli europei mobili, appartenente alla fascia più scolarizzata e qualificata.
Ne deriva un quadro di durezza e precarietà delle condizioni di lavoro disponibile e accettate dai lavoratori immigrati in un contesto di generale aumento delle diseguaglianze e di precarietà crescente dei lavoratori autoctoni che fa montare il convincimento della funzione di social dumping svolta dalla immigrazione anche tra gli studiosi e che ha esacerbato l’animo dei lavoratori locali che soffrono la concorrenza in alcuni ambiti e vivono male anche nei settori non sottoposti alla concorrenza.
Il paradosso è che questa inversione di tendenza rispetto alla politica precedente ha avuto luogo per primo nel Paese in cui più alta era stata a partire dagli anni Novanta l’apertura agli stranieri e la mobilità dei migranti. E non a caso proprio con un riferimento principale alla Gran Bretagna erano state prodotte le rappresentazioni più note dei nuovi migranti.
A chiudersi con la Brexit è dunque il Paese che più di ogni altro aveva favorito la libertà di circolazione come espressione di una società liberale. Quali che saranno i livelli e i modi di chiusura alla mobilità e alla immigrazione degli italiani e degli europei in generale che il Governo inglese deciderà di (o potrà) applicare, l’effetto sarà pesante sui protagonisti della nuova emigrazione italiana verso questa destinazione e su quelli che c’erano dapprima. L’inversione di tendenza, ormai chiarissima, non riguarda solo il Regno Unito ma l’intero quadro generale delle relazioni intra-europee e in particolare delle migrazioni interne all’Unione quale si era andato costruendo negli anni finora trascorsi di questo secolo.
Per l’Europa non si tratta solo della “perdita di un pezzo”, peraltro molto significativo. A parte gli effetti immediati e concreti, l’esito del referendum inglese e la conseguente Brexit hanno un significato ancora più generale quali indicatori del nuovo clima che si respira in Europa: un clima meno aperto e meno solidale che avrà dei riflessi nelle politiche migratorie dell’Unione e dei suoi Stati membri per quel che è di loro competenza. Ciò ricordando che questi hanno comunque sempre preteso un elevato grado di autonomia, soprattutto per quanto attiene all’accoglienza: orientamento che potrebbe rafforzarsi nella direzione attualmente prevalente che è quella della chiusura.
Tornando, per concludere, agli effetti della Brexit e sugli italiani, le decisioni, le proposte e gli impegni non riguardano allo stesso modo tutte le figure sociali dei protagonisti della nuova emigrazione e non tutti soffrono della stessa antipatia da parte dalla società e delle istituzioni britanniche. Così le trattative in corso riguardano gli studenti, per i quali si pone un problema costosissimo di pagamento delle tasse universitarie e di accesso al welfare britannico. E per quanto riguarda poi la componente accademica, minoritaria ma importantissima, le istituzioni universitarie hanno tutto l’interesse a non perderla e questo sarà oggetto di trattativa.
Al riguardo Boffo e Gagliardi (2017:95), a proposito della Brexit e non solo, paventano il fatto che “una serie di spinte protezionistiche che stanno emergendo potrebbero infatti gestire anche la dimensione dell’immigrazione qualificata determinando non solo meno agevoli opportunità migratorie per i giovani italiani ma forse anche rientri forzati quantomeno nei settori più deboli”. Ma, come detto prima, la posizione più critica è quella della componente operaia. Quest’ultima ha un peso maggiore nel flusso proveniente dai Paesi dell’Est, nei confronti dei quali l’orientamento di chiusura sembra essere più netto di quello proveniente dal Sud Europa e dall’Italia. Ma anche tra gli italiani la componente operaia qualificata è importante ed estesa.
Può esser venuto al lettore qualche dubbio sulla opportunità dell’insistere sui numeri, sul quanti sono. La questione però è esplosa proprio in occasione delle trattative riguardanti la Brexit: ai 260 mila cittadini italiani risultanti residenti in Gran Bretagna secondo l’Aire, è stata contrapposta la cifra di 600 mila di fonte britannica (molto probabilmente esagerata). Alla dimensione del fenomeno in casi come questo corrisponde anche la dimensione del problema. Soprattutto nella eventualità auspicabilmente modesta che un irrigidimento nei criteri di applicazione della Brexit porti a scelte di contingentamento degli ingressi o a difficoltà di regolarizzazione (per ora, pare, esclusa) di quelli già presenti, molti si troveranno in una condizione di irregolarità che gli italiani da tempo avevano disimparato a conoscere.
E non si tratta solo di questo: i Salvini esistono in tutta Europa e quando la xenofobia monta non ci sono trattamenti di favore.
Riferimenti bibliografici
Alberti, G. (2016), “A new status for migrant workers: restrictions of free movement of labour in the EU”, in Mondi Migranti, n. 3/2016.
Colpi, T. (2017), “Benvenuti nel Regno Unito? British Perceptions and Realities of Italians in the UK”, in Studi Emigrazione, n. 207/2017.
Di Salvo, M. (2017), “Expat, espatriati, migranti: conflitti semantici e identitari”, in Studi Emigrazione n. 207/2017.
Marino, S., D’Onofrio, G. (2017), “La Brexit e l’emigrazione italiana”, in La rivista delle Politiche Sociali, n. 4/2017.
Mondi Migranti (2016), Numero speciale (3/2016) dedicato a “I processi migratori interni all’Unione Europea”, a cura F. A. Vianello e D. Sacchetto.
Sacchetto, D., Vianello, F. A. (2013), Navigando a vista: migranti nella crisi economica tra lavoro e disoccupazione, Milano: Franco Angeli.
Sanguinetti, A. (2016) “La nuova emigrazione italiana in Germania. In fuga dalla crisi”, in Mondi Migranti, n. 3/2016.
Enrico Pugliese
31/10/2018 http://sbilanciamoci.info
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