I nuovi OGM sono già stati piantati in Italia (senza aspettare le nuove regole UE)
A Pavia, nell’area geografica della Lomellina, è ufficialmente partita la prima sperimentazione in campo di organismi modificati mediante le tecniche di evoluzione assistita, i cosiddetti nuovi OGM. In questo caso, si tratta del riso cultivar Telemaco RIS8imo, modificato dall’Università di Studi di Milano spegnendo tre geni correlati alla suscettibilità al brusone, la principale patologia fungina del riso. Per l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che ha rilasciato parere positivo, i rischi per la salute umana, animale e l’ambiente sono “trascurabili”. La sperimentazione è stata resa possibile da una decisione del Governo italiano, il quale lo scorso 28 marzo ha rilasciato la prima autorizzazione alla coltivazione sperimentale in pieno campo per questa nuova generazione di organismi geneticamente modificati. Tuttavia, al riguardo, lascia perplessi il fatto che l’Europa stia ancora modificando il regolamento finalizzato a differenziare le procedure autorizzative tra vecchi e nuovi OGM.
Allo stato attuale, tutte le piante ottenute con le nuove tecniche genomiche (NGT) sono soggette alle stesse regole degli organismi geneticamente modificati convenzionali, ma l’UE sta lavorando al fine di ammorbidire le procedure per almeno una parte degli organismi ottenuti con tali tecniche. Per il momento, Strasburgo ha adottato il mandato negoziale mantenendo la proposta avanzata dalla Commissione europea. In particolare, il tentativo è quello di creare due nuove categorie di colture geneticamente modificate: NGT1, da considerare equivalente alle normali varietà colturali e quindi di fatto deregolamentata, e NGT2 che verrebbe invece assimilata agli OGM convenzionali e come tali rigorosamente valutata e monitorata prima e duramente l’approvazione. ll principio secondo cui si punta a cambiare le regole è legato al fatto che i nuovi OGM, a differenza di quelli di prima generazione, sono prodotti mediante una biotecnologia che non prevede l’effettivo inserimento di geni estranei (evoluzione assistita, per l’appunto). Una indubbia conquista della scienza che, a detta dei legislatori europei, potrebbe contribuire alla sostenibilità delle produzioni alimentari, aumentando la resilienza delle colture ai cambiamenti climatici e riducendo l’uso dei pesticidi. Tuttavia, il dibattito sulla loro effettiva sicurezza, specie in termini di impatto sociale e sulla biodiversità, è ancora vivo a livello scientifico.
Ciononostante, l’Italia non ha voluto attendere oltre. In un emendamento di due pagine incluso nel Decreto Siccità, e approvato all’unanimità dalle Commissioni Agricoltura e Ambiente del Senato, è stato infatti incluso il via libera alla sperimentazione in campo di organismi derivanti da Tecnologie di evoluzione assistita. A firmarlo dodici senatori di Fratelli d’Italia: una novità per il Belpaese che, da oltre vent’anni e aderendo strettamente al principio di precauzione, ha sempre vietato sul proprio territorio sia la coltivazione che la sperimentazione di organismi geneticamente modificati. L’Italia ha optato quindi per indebolire le precauzioni e di accogliere, ancora una volta, un’agricoltura potenzialmente deleteria anche per lo stesso “Made in Italy” che tanto si vorrebbe difendere. L’imposizione commerciale, e il sostegno politico, di varietà transgeniche minaccia ad esempio direttamente le pratiche agricole locali di sussistenza, nonché la diversità biologica ad esse legata. Senza contare che le sementi ottenute con tali biotecnologie sarebbero perlopiù sotto il dominio di grandi aziende del settore – come Bayer, BASF, Syngenta e Corteva – le quali hanno non a caso già presentato ben 139 richieste di brevetto. Il rischio è quindi che il mercato si concentri sempre più a favore di una manciata di multinazionali che promuovono un agricoltura aggressiva e tutt’altro che rispettosa dell’ambiente.
Un’altra preoccupazione sarebbe poi legata alla possibile contaminazione genetica di specie affini a quelle GM. Un rischio già appurato per gli organismi transgenici, che però persiste anche per quelli cisgenigi, cioè derivanti dalle nuove tecniche di ingegneria genetica. Per evitare uno scenario simile, la semina della varietà di riso Telemaco RIS8imo avrà luogo in un appezzamento di 28 metri quadrati, all’interno di un campo di 400 metri quadrati proprio per limitare il rischio di impollinazione incrociata. Più nel dettaglio, il test prevede la semina di 200 piante di riso modificato in 8 parcelle da 1 metro quadro, e la semina, in altre 8 parcelle, di altrettante piante della varietà originale non modificata. Attorno sarà seminata una fascia tampone con un’altra varietà di riso più alta in modo da formare un’ulteriore barriera fisica alla eventuale diffusione di polline dalle piante GM. Il sito sarà infine circondato da una rete metallica e da reti anti-uccelli a maglia stretta. Nonostante tutti questi accorgimenti, le critiche all’approccio generale però rimangono: «la sperimentazione in campo si fa per arrivare a produrre una coltura brevettata, perché questa tecnologia serve un modello agricolo industriale che fa dei brevetti la cifra distintiva, se grazie a una deregolamentazione europea questo riso arriverà alla coltivazione, non ci saranno misure di sicurezza a difendere i sistemi agricoli vicini dalla contaminazione», ha ad esempio ribadito Stefano Mori, coordinatore del Centro Internazionale Crocevia, organizzazione che, dal 1958, si batte per i diritti, l’agroecologia e la Sovranità Alimentare in tutto il mondo.
Simone Valeri
2/4/2024 https://www.lindipendente.online/
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