I nuovi schiavi… degli algoritmi e delle gerarchie aziendali

orologio

Vogliamo andare in ordine sparso cedendo alla presunta caoticità di argomenti che solo un osservatore superficiale giudicherebbe tra loro scollegati.
Nei giorni scorsi, una sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito che i lavoratori pubblici e quelli privati di fronte alla gerarchia aziendale e a ordini di servizio anche illegittimi debbono rispondere nel medesimo modo: obbedire.
Credere, obbedire e servire al posto del credere, obbedire e combattere di epoca mussoliniana, il diritto del lavoro è ormai prono ai rapporti di forza che da 30 anni a questa parte sono decisamente a favore dei padroni.
Ci chiediamo se, in caso di procedimento penale o civile contro quel lavoratore obbediente, o davanti alla richiesta di qualche risarcimento avanzata dalla Magistratura contabile, l’obbedienza dovuta potrebbe essere una giustificazione sufficiente a scongiurare ogni causa o richiesta di danni ai danni del lavoratore che , suo malgrado, eseguendo degli ordini illegittimi ha commesso un reato o un danno erariale.
La domanda è provocatoria ma non cosi’ lontano dalla realtà perchè le cause intentate contro i dipendenti pubblici o le richieste di danni da parte della Corte dei Conti sono in continuo aumento e l’obbedienza al superiore gerarchico è diventata indiscutibile anche per la Giustizia e, per di piu’, perfino di fronte a ordini illegittimi. Nel frattempo il dipendente potrebbe anche essere licenziato perchè la Giurisprudenza ormai prevede la cacciata del lavoro anche dopo il primo grado di giudizio, per non parlare poi delle spese legali a suo carico che con molta probabilità non saranno piu’ recuperate. Non siamo davanti a un paradosso o a un incubo, potremmo raccontare storie documentandole con atti giudiziari per dimostrare quanto facile sia non solo licenziare un dipendente pubblico ma anche ridurlo sul lastrico e sia ben chiaro che non parliamo di furbetti del cartellino che penalizzano l’intera categoria.
A poche ore dalla chiusura dei seggi elettorali ci chiediamo la ragione per la quale sindacati piazzisti di pacchetti assicurativi o promotori del welfare aziendale abbiano riportato sostanzialmente buoni risultati alle elezioni Rsu del Pubblico impiego, non importa se un sindacato ha provocato lo tsunami che ha distrutto diritti e salari , quello che conta è il pacchetto assicurativo offerto a prezzi scontati insieme alla delega sindacale, giusto per mettersi al riparo (almeno per 12 o 24 mesi ….poi si vedrà) da qualche multa o grana processuale che rischierebbe di “mangiarsi” la prima casa di proprietà.
Amara constatazione la nostra ma un po’ di obiettività non guasta: dai primi risultati delle elezioni Rsu che hanno coinvolto 3 milioni di dipendenti pubblici arrivano risultati che confermano la pur limitata crescita del sindacalismo di base ma un aumento di voti assai contenuto con il monopolio della rappresentanza saldamente nelle mani dei sindacati che nei nove anni di blocco dei salari e della contrattazione hanno fatto ben poco per contrastare la perdita di potere di acquisto e i decreti Madia.
Il dipendente pubblico, salvo eccezioni ovviamente, è quindi felice di essere rappresentato da piazzisti di fondi pensioni o della previdenza integrativa e, al di là del mugugno italiota, non sembrerebbe accorgersi della trasformazione del suo stesso lavoro, preferisce, in linea con la sentenza di Cassazione prima citata, obbedire, non avere grane e delegare i sindacati che lo hanno trasformato in un servo sciocco e prono alle gerarchie aziendali.

Chi scrive è un dipendente pubblico che ogni giorno tocca con mano la trasformazione di tanti colleghi\e, al quieto vivere è subentrata paura, rassegnazione e la logica della riduzione del danno, i codici disciplinari e la gerarchia hanno raggiunto l’obiettivo prefissatosi, quello di separare le istanze della forza lavoro da quelle dei cittadini utenti che pagano ogni giorno la contrazione dei servizi (e degli organici) pubblici. E dove domina la subalternità culturale , la stessa conflittualità sindacale non ha vita facile.
Il filo conduttore del nostro ragionamento è l’obbedienza, per questo non possiamo che parlare degli schiavi dell’algoritmo alla luce di una sentenza recente del Tribunale di Torino che ha negato il riconoscimento di lavoratori subordinati ad alcuni riders di Foodora.
Un riders puo’ essere a disposizione di una azienda, in attesa di qualche ordine sul suo smartphonee non percepire neppure un euro o lavorare ogni giorno del mese arrivando a poco piu’ di 1000 euro da cui detrarre innumerevoli spese.
Sole 24 ore e alcuni giuslavoristi come Tiziano Treu (ricordate il suo pacchetto che sdogano’ ai tempi di Prodi il lavoro interinale?) da giorni si stanno interrogando sui nuovi diritti, ovviamente felici che la causa di Torino non abbia riconosciuto la natura subordinata di questi lavori (una felicità inspiegabilmente condivisa con qualche santone del cosiddetto quinto stato) . Lor signori invocano un confronto aperto e senza pregiudizi (loro….), stesse parole utilizzate quando imposero lacci e lacciuoli al diritto di sciopero.
Negli Usa sono circa 14 milioni i lavoratori della gig economy, lavoretti che spesso costituiscono la sola fonte di reddito per giovani e meno giovani costretti ad un lavoro ad alto tasso di sfruttamento celatosi dietro a qualche algoritmo.
Ci dicono che non bisogna riportare le lancette dell’orologio al secolo scorso ma cercare un nuovo status giuridico per i nuovi schiavi della tecnologia che viene governata dall’uomo e a fini capitalistici.
Quelle lancette in realtà sono bloccate alle nuove regole della rappresentanza nei luoghi di lavoro (vuoi presentare liste nel settore privato? Sottoscrivi un protocollo e rinuncia a confliggere) o alla intesa sui salari che depotenzia il contratto nazionale e stabilisce la supremazia del salario minimo, quel salario sotto il quale non si scende ma che rappresenterà la sola diga da contrapporre a una tempesta destinata a scardinare l’esistenza di tanti lavoratori e lavoratrici che presto si troveranno senza contratto, senza rappresentanza, con salari da fame e costretti ad impegnare parte del loro basso reddito in una sanità privata o in un fondo previdenziale.
L’obbedienza non assume i connotati della virtu’ ma piuttosto della debacle e della sventura che condanna i lavoratori alla precarietà lavorativa ed esistenziale. Al resto pensano poi la Magistratura e il diritto borghese negando il carattere subordinato della forza lavoro o sancendo la legittimità di licenziamenti contro dipendenti disobbedienti “rei ” di avere contestato ordini illegittimi che per quanto tali non potranno piu’ essere contestati.
A pochi giorni dal 25 aprile sarà il caso di domandarci se una sorta di nuovo e strisciante fascismo non abbia già vinto, quel fascismo tipicamente padronale che condanna alla cieca obbedienza e al disconoscimento di diritti elementari, anche quelli che dovrebbero essere inalienabili come la tutela della dignità umana, il rifiuto di obbedire a ordini illegittimi e la rivendicazione di salari dignitosi.

Federico Giusti

22/4/2018 www.controlacrisi.org

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