I soldi ci sono ma la coperta resta corta per molte/i
La coperta è corta per coprire gli effetti della crisi economica: giorno dopo giorno esplodono le emergenze causate dalla perdita del lavoro e di conseguenza del reddito.
I provvedimenti del Governo rappresentano proprio questa coperta corta (e tali vogliono essere non andando a prendere i soldi dove sono, cioè dai grandi patrimoni) talmente corta che si è completamente dimenticata della necessità di coprire il bisogno casa, di salvaguardarne il diritto. Ci siamo – per altro drammaticamente – abituati alle proroghe di tre mesi in tre mesi del blocco dell’esecuzione degli sfratti, proprio perché causa pandemia la parola d’ordine era di stare a casa, e appunto non si poteva togliere la casa alle famiglie in difficoltà! Ebbene nell’ultimo decreto approvato il Governo si è scordato di prorogare il blocco degli sfratti, per cui a oggi la scadenza rimane quella del 30 dicembre. Inaccettabile!
Il blocco dell’esecuzione degli sfratti non aveva bloccato invece gli iter procedurali, quelli invece si in aumento, per l’ottenimento di sfratto esecutivo, anche quando per morosità incolpevole. Fa tremare i polsi pensare che da gennaio riprendano le esecuzioni e centinaia di famiglie saranno buttate in mezzo alla strada. Superfluo ricordare che oltre il 90% degli sfratti sono per morosità incolpevole.
Lo scenario è quindi drammatico.
Le risorse economiche stanziate per fronteggiare l’emergenza casa, erano e sono insufficienti per la grave crisi economica che stiamo solo iniziando, la quale protrarrà i suoi effetti ancora per svariati anni. Se tali risorse avevano il carattere di “tampone” oggi non più nemmeno lontanamente sufficiente a fronte della nuova situazione, su una cosa c’è coerenza: mancava e continua a mancare una iniziativa strategica per uscire dal bisogno casa.
Mancava e manca un piano straordinario di edilizia economica e popolare per aumentare significativamente l’offerta di case popolari, rivolte alle decine di migliaia di famiglie in graduatoria comunale per l’assegnazione di un alloggio, alle centinaia di famiglie che vivono l’incubo della forza pubblica alle loro porte per cacciarle via come delinquenti, di altre famiglie in sovraffollamento o in locali inidonei, ecc.
Come sosteniamo da mesi “i soldi ci sono”: c’è un immenso patrimonio pubblico abbandonato e inutilizzato da anni, buona parte di esso riconvertibile immediatamente a patrimonio residenziale con piccoli investimenti e piccoli cantieri, e senza consumo di suolo.
Non è un errore casuale l’assenza di questo piano: risponde a una visione restrittiva e reazionaria per la quale gli aiuti hanno il carattere residuale dell’”elemosina”: si aiuta “pietisticamente” a sopravvivere, non si interviene per emancipare dal bisogno.
I soli provvedimenti tampone, rifinanziati con i vari dpcm, il fondo per il contributo affitto, ecc. pur essendo provvedimenti essenziali riferiti all’emergenza economica esponenzialmente cresciuta con la pandemia, diventano nei fatti forieri di un sistema di dipendenza per le famiglie che ricevono questi aiuti.
In parole povere l’impossibilità di fronteggiare l’imperare del mercato privato delle locazioni si protrarrà per svariati anni, durante i quali non è realisticamente pensabile che le famiglie riescano a poter fare a meno di questi contributi. E dunque l’incubo delle domande da presentare e ripresentare tutti gli anni, la speranza nella conferma del contributo e non nella sua riduzione (come spesso invece è avvenuto) è la realtà a cui sono condannate queste famiglie. Sentendosi privilegiate rispetto a chi mano esso avrà, creando quindi per altro una competizione al ribasso, una lotta da discarica sociale.
Discarica frutto di una stortura strutturale. Il contributo fondo affitti è uno strumento infatti nato per la famiglia momentaneamente in difficoltà e invece è usato costantemente per le famiglie impossibilitate a fronteggiare il mercato privato, ed è dunque stato usato in sostituzione della soluzione vera e principale, quella dell’assegnazione di un alloggio di edilizia popolare, che non c’era,
La priorità politica e sociale per fronteggiare la crisi economica e dare una speranza di vita con dignità a migliaia di famiglie è dunque un piano straordinario di edilizia popolare.
Comuni e Regioni con decisione devono individuare il patrimonio dismesso e destinarlo a residenza popolare. Una grande opera di riqualificazione delle città, del diritto all’abitare inteso anche come spazi sociali e collettivi. Le risorse economiche ci sono sia in ambito europeo che nazionale.
Recuperare il patrimonio dismesso a uso residenziale significa avviare un grande piano di riqualificazione delle nostre città, e senza consumo ulteriore di suolo, sottraendo definitivamente l’intervento pubblico da ambizioni immobiliari e speculative.
È un muro di indifferenza che va rotto, e quindi a partire dai nostri sportelli casa e dai nostri circoli vanno costruite campagne partecipate, condivise, individuando Comune per Comune un immobile pubblico dismesso, compatibile con residenza e uso sociale e pretenderne la sua riconversione ad edilizia sociale. Una campagna di solidarietà e di emancipazione dove si uniscono le forze di chi ha casa con chi invece non ce l’ha o rischia di perderla. Cioè la fuoriuscita solidale e comunitaria dalla precarietà sociale.
La profonda crisi economica sta rafforzando la società delle diseguaglianze. Perdita del lavoro e di reddito saranno il male dei prossimi anni. Tra le prime conseguenze Vi sarà la crescita esponenziale di famiglie che non possono accedere alla casa sul mercato delle locazioni private. Molti sono i provvedimenti necessari, a partire da una nuova legge sui canoni locatori, ecc. Il problema è che non esiste – visto il dramma in corso e in fieri – il tempo di aspettare gli effetti di politiche buone, fossero anche adottate, è quindi necessario aumentare velocemente la disponibilità di alloggi edilizia economica e popolare da assegnare subito. Tutto questo ci dice che oggi recuperare il patrimonio pubblico dismesso è la strada principale per evitare lo tsunami sociale, l’equazione “perdi lavoro =perdi la casa” può solo portare alla crescita di un sentimento di disperazione foriero anche di rabbia sociale e di rivolte
Abbiamo sempre sostenuto I soldi ci sono, con altrettanta convinzione sosteniamo che “le case ci sono”: Comuni e Regioni possono avere un ruolo da protagonisti nell’individuare questo patrimonio pubblico compatibile con residenza. Da parte nostra costruiamo campagne di consenso indicando gli immobili vuoti e abbandonati da destinare a casa per chi oggi casa non ce l’ha! Si parla tanto di nuova socialità come lezione dalla fase covid: questa lo è per chi ne beneficia e per chi vi partecipa, con segni tangibili di giustizia sociale!
Monica Sgherri
responsabile PRC diritto all’abitare, diritto alla casa
11/12/2020 http://www.rifondazione.it
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