I suicidi nell’Italia della depressione
La depressione sociale conseguente a disoccupazione (tramite chiusure, delocalizzazioni, licenziamenti senza giusta causa), povertà dilagante, servizi pubblici sempre meno esigibili se non già privatizzati, hanno ricadute sulla salute mentale e sempre più spesso lo sbocco è il suicidio in assenza di prevenzione e recepimento delle strutture sanitarie.
Il quadro peggiora se si considera la regionalizzazione del sistema sanitario che causa profonde disparità con la conseguenza di avere strutture adeguate al centronord a fronte di strutture di serie B e a volte di serie C al sud.
E il covid si aggiunto da due anni alle altre cause strutturali nella società italiana.
Un Manuale dell’Istituto Superiore di Sanità sull’impatto della pandemia sulla salute mentale documenta incofutabilmente il forte e crescente aumento dei fattori di stress rischio psicosociale e il loro effetto sul numero dei suicidi (Rapporto ISS Covid19 n. 23/2020).
La controprova l’abbiamo con l’aumento dell’utilizzo degli psicofarmaci con i quali si tenta “tecnicamente” di risolvere un problema che è sociale, quindi politico in quanto risulta elementare la correlazione tra disagio economico, buie prospettive del futuro e malessere psichico. Il forte incremento delle vendite di psicofarmaci registrato nell’ultimo anno, soprattutto tra i giovani e e vendite di tranquillanti in farmacia sono aumentati del 17% rispetto al marzo del 2019, quelle degli antidepressivi e degli stabilizzatori dell’umore salgono del 13,8%, e del 10% quelle degli antipsicotici. (Dati dell’agenzia Italiana del Farmaco).
Inoltre, uno studio dell’Istituto di fisiologia clinica del Cnr di Pisa Espad Italia 2018, i giovani italiani tra i 15 e i 19 anni sono i maggiori consumatori di psicofarmaci non prescritti in Europa (10% a fronte della media europea del 6%).
I fenomeni di autolesionismo sono aumentati del 20%, e globalmente il suicidio è al secondo posto come causa di morte tra i 10 e 25 anni. Strettamente collegato all’autolesionismo c’è anche il Covid con il suo impatto sull’ansia sociale tramite la paura di contaggiare o di essere contagiati? Certamente è un nuovo fattore ma da oggi non ci sono dati significativi per modificare un retroterra consolidato che ci consegna un quadro drammatico: dal 2015 al 2017 secondo l’Osservatorio Nazionale Adolescenza i tentativi di suicidio da parte dei teenager in due anni sono quasi raddoppiati: si è passati dal 3,3% al 5,9%, ovvero 6 su 100 di età tra i 14 e i 19 anni hanno provato a togliersi la vita. Un dramma che riguarda soprattutto le ragazze (71%). A dispetto della narrazione mediatica è evidente che il suicidio o il tentativo di suicidio non sono un raptus ma l’ultimo atto di un percorso di sofferenza in cui matura il disagio esistenziale dei giovani, in quanto più esposti emotivamente alle intemperie di una società a forte connotazione asociale determinata dalle disuguaglianze di studio e prospettive di lavoro.
Questo stato d’incertezza ha una esponenziale ricaduta sulla salute fisica, causa superlavoro (in particolare per chi lavora in uno stato di precarietà), causa disoccupazione e relative difficoltà economiche, isolamento psicologico si manifestano all’interno soprattutto dei gruppi sociali svantaggiati e tra giovani e giovanissimisociale (vedi i migranti in primo luogo), tendenza al consumo di droghe, conseguente assenza protezione, quali attività fisica, sana alimentazione, insonnia, spazi di cultura e servizi sanitari di prevenzione e di cura insigibili per povertà o assenza degli stessi.
Ovvio che le condizioni di disagio cresciuti nella crisi e nella totale assenza di prospettive: esiste una forte componente di classe, oltre che generazionale, nel dilagare del malessere psicologico. Infatti, come emerge da studi effettuati dall’ISFOL (Istituto per lo Sviluppo Formazione Professionale Lavoratori) “risulta un numero significativamente maggiore di ragazzi con status socioeconomico basso che sperimentano disagio psichico rispetto ai ragazzi con status medio e alto”.
Di questo ci parlano anche i dati di abbandono scolastico al sud, ma anche nelle abbandonate periferie del nord, con il 40% di abbandono della scuola d’obbligo e maggiore risulta la brutale selezione sociale nelle iscrizioni all’università
Se questo quadro non bastasse ad allarmare allarghiamo lo sguardo ad un’altro fenomeno terminale, un altro tipo di suicidio, non fisico ma mentale. Parliamo dell’avvento, in Italia ed in Europa, dei giovani “hikikomori”
Il significato del termine indica chi si isola in casa da tutti (anche dai famigliari) e da tutto, si intendono proprio tutti quegli individui che scelgono di isolarsi dalle relazioni sociali e famigliari. In Giappone, da dove deriva il termine, le stime parlano di 2 milioni di persone in questa condizione, che spesso scaturisce proprio – come abbiamo tentato di attenzionare in questo articolo – da antecedenti casi di ansia sociale, senso di colpa, depressione.
Questi i risultati di alcuni decenni di politiche governative seguaci del credo liberista, una religione economica che opera con gli artigli della politica dominante che disegna vere e proprie fosse comuni dentro le quali sono buttate le stesse vittime che sono indotte a scavare (spesso tenute all’oscuro ma spesso anche sostenitrici degli aguzzini). Si chiama Sindrome di Stoccolma.
Franco Cillenti
Editoriale numero di settembre del mensile Lavoro e Salute
Versione interattiva http://www.blog-lavoroesalute.org/lavoro-e-salute-settembre-2021/
PDF http://PDF http://www.lavoroesalute.org/
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