I tanti femminismi

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La storia delle donne è costellata di grandi figure, avanguardie solitarie ed anonime, e di “semplici” ribelli emarginate e perseguitate che hanno pagato con la vita la propria volontà di affermazione, in diverse epoche e contesti; alcune hanno aperto la via all’affermazione di movimenti, leggi, battaglie, con una forte valenza simbolica e per questo sono ricordate.
Hanno rivendicato per se stesse il diritto alla conoscenza, come Ipazia di Alessandria, o la capacità e l’eroismo di condurre un esercito come Giovanna d’Arco. Hanno affermato il proprio talento artistico come la pittrice Artemisia Gentileschi, pagando un costo altissimo, lo stupro e la successiva umiliazione processuale, così frequente anche ai giorni nostri.

Una delle prime rivendicazioni più nettamente politiche, oltre la vicenda biografica, è stata quella di Olympe de Gourges, che in piena Rivoluzione Francese si batteva per l’ uguaglianza, fino a scrivere una “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina “ (1791). Appassionata oppositrice della schiavitù e della pena di morte, venne accusata di essere filo-monarchica e giustiziata nel 1793 per volere di Robespierre. In Gran Bretagna, negli ultimi decenni dell’Ottocento, le istanze politiche di uguaglianza si concretizzarono nel movimento delle suffragette, che avviarono un lunga battaglia per il diritto di voto e più in generale per l’emancipazione femminile. Si comincia a parlare di femminismo come movimento organizzato che punta, inizialmente, ad ottenere riconoscimenti giuridici, una uguaglianza di principio, normativa.

Le lotte delle donne ebbero caratteristiche ed esiti molto diversi nei vari paesi. In Italia l’impegno e la passione delle donne nel Risorgimento diede impulso alle rivendicazioni di diritti civili e politici che rimasero a lungo inascoltate; il fermento culturale per l’emancipazione femminile trovò poi un violento freno nell’avvento del fascismo. Si trattava sia in Italia che in Europa e in Usa di un femminismo definito “ liberale” , riformista che tendeva ad ottenere il superamento della condizione di inferiorità della donna su un piano formale; la componente socialista, invece poneva in discussione il sistema economico, individuando solo nel socialismo la condizione per una reale uguaglianza tra i sessi.

Negli anni ’60-’70 le istanze del movimento femminista tornarono in primo piano: la formale uguaglianza non si riteneva soddisfacente: la specificità, la differenza femminile doveva essere riconosciuta e garantita. Le grandi battaglie per il diritto alla libera sessualità, all’aborto, al divorzio investivano l’ organizzazione sociale e la cultura, il ruolo delle donne nella famiglia e nella società. Le importanti conquiste e cambiamenti del costume di quegli anni sono state determinanti per affermare il concetto di liberazione della donna, Sono di quegli anni associazioni, iniziative editoriali, collettivi dentro e fuori dai partiti politici.

Negli anni ’90 si avvia una nuova fase, definita terza ondata, che raccoglie, ad esempio, le battaglie delle donne di colore e pone le basi per il femminismo intersezionale, che supera la logica binaria maschio-femmina uomo-donna e prende in considerazione molteplici condizioni di identità sociali, (ad es. etnia, disabilità) condizioni di emarginazione, oppressione.

Le profonde e complesse trasformazioni culturali, tecnologiche e le numerose implicazioni legate al concetto di genere e di identità sessuale, danno luogo a una molteplicità di differenti “ femminismi”. I principali temi al centro delle lotte delle donne sono tanti: la difesa dei diritti conquistati in materia di riproduzione, incredibilmente ancora messi in discussione (come l’aborto) ; la realizzazione di una reale uguaglianza nel mondo del lavoro (trattamento economico e possibilità di carriera); le diverse forme di molestia e violenza in famiglia, nei luoghi di lavoro, sui social (revenge porn ) e nelle varie forme di comunicazione e pubblicità .

La ridefinizione e distinzione dei concetti di genere, identità sessuale ed orientamento sessuale hanno creato nuovi elementi di discussione, e a volte di divisione. Semplificando, si individuano una tendenza ad escludere dal campo delle rivendicazioni femministe le istanze trans ( trans exclusionary radical feminism o Terf ) che accetta il binarismo di genere, intende abolirne la costruzione culturale attraverso gli stereotipi imposti dalla società patriarcale , ed un’altra inclusiva e comprensiva di tutte le declinazioni e combinazioni dell’identità di genere , nella assoluta liberazione individuale.

Il peso dei condizionamenti culturali nella strutturazione dell’identità degli individui è determinante, dato che ogni società propone modelli diversi per uomini e donne fin dalla nascita, e considerando il ruolo delle aspettative del mondo circostante un neonato, a seconda che presenti caratteri sessuali maschili o femminili. Fin dalla più tenera età si propongono giochi, abiti, modelli di comportamento ed emozionali diversi che compongono un ideale di genere, che l’individuo può sentire come “naturali” oppure no, o non completamente, o non in tutte le fasi della vita. Se riconosciamo che ci possano essere sfumature e differenziate identificazioni , non nettamente distinguibili, dobbiamo dare spazio a interpretazioni molto più elastiche dell’identità sessuale, per cui nascere con certe caratteristiche anatomiche non significa molto.

In questa situazione estremamente fluida, dalla iniziale scelta di rifiuto o accoglimento delle identità non binarie, conseguono differenti posizioni sulla genitorialità, sulla gestazione per altri, sulla chirurgia genitale, sulla patologizzazione delle diverse soggettività, ed anche su temi come la prostituzione e la pornografia. Il femminismo radicale concentra l’attenzione sui meccanismi di oppressione delle donne tipici delle società patriarcali ed in quest’ottica considera la prostituzione e la pornografia come usi strumentali del corpo femminile, Questo però non dovrebbe implicare l’esclusione delle Sex workers dalle rivendicazioni femministe, dal momento che il problema è sempre ed ancora lo sfruttamento della donna; allo stesso modo, non trovano giustificazione le distinzioni tra donne cisgender e transgender, che dovrebbero riuscire a intraprendere un cammino comune perchè per ogni persona l’emancipazione sia autentica ed autodeterminata.

Per quanto si possano avere opinioni differenti su queste questioni, è bene sottolineare che la discriminazione e l’oppressione colpiscono un’enorme quantità di individui, per motivi svariati, dalla disabilità, alla classe, all’etnia, alla condizione economica e più in generale alla non omologazione sociale. Sarebbe utile concentrare energie e lotte sul superamento delle logiche di potere che colpiscono i più deboli, chiunque essi siano. Il senso del termine “ intersezionale” è questo. Si tratta cioè di combattere un’idea di sopraffazione, di ingiustizia, di fronte alla quale tutte le vittime sono uguali. I distinguo tra titolari di diritto e non producono confusione ed indeboliscono la causa, perchè si finisce per focalizzare l’attenzione, invece che sul principio di non oppressione, sulle sfumature delle diversità.

Nel frattempo, la strada è ancora lunga, le donne continuano ad essere molestate, violentate, uccise, licenziate , sfruttate: discriminate, che siano cisgender, transgender, eterosessuali, lesbiche, prostitute o sante, madri o no, single o no. A ben guardare, la sostanziale missione del femminismo è stata, e dovrebbe essere ancora, rifiutare che le differenze si trasformino in diseguaglianze.

Loretta Deluca

Insegnante Torino. Collaboratrice redazionale di Lavoro e Salute

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