I Verdi europei dal pacifismo alla guerra permanente

La campagna elettorale per il voto dell’8 e 9 giugno prossimo che terminerà con il rinnovo del Parlamento europeo sembra concentrarsi, in Italia, su temi che poco o nulla hanno a che fare con l’agenda politica che dominerà i prossimi anni a livello europeo.

Prevale l’interesse a misurare i rapporti di forza interni in funzione del confronto politico nazionale ma anche ad occultare questioni sulle quali le differenze tra le forze politiche sono piuttosto di sfumature che tra prospettive realmente alternative. Questo vale in particolare per il processo di militarizzazione dell’Europa in relazione alla continuazione della guerra in Ucraina sulla quale ormai si immagina una fine sempre più lontana nel tempo. E mentre la conclusione si allontana e viene respinta ogni ipotesi di trattativa, la possibilità di un’escalation dall’esito catastrofico per tutti si fa sempre più realistica.

Abbiamo visto in articoli precedenti come si collochino in proposito i diversi raggruppamenti sovranazionali nei quali si differenziano, frammentandosi, i partiti della sinistra radicale (si veda qui e qui). Dato il ruolo di primo piano che svolgono i Verdi tedeschi nel governo del più grande paese d’Europa, la Germania, è utile anche verificare quale prospettiva politica indichi il Green Party europeo, di cui i Grunen sono la forza più consistente.

È stata ampiamente analizzata l’evoluzione che ha caratterizzato i Verdi tedeschi nel corso della loro storia, in particolare per quanto riguarda la politica estera e la dimensione militare della politica. Sorti come espressione dei settori più radicali del movimento pacifista e dell’antimilitarismo si sono progressivamente trasformati nel raggruppamento europeo che oggi preme con maggiore determinazione per implicare sempre più la Germania nel conflitto russo-ucraino, spostando progressivamente in avanti i limiti che volta per volta vengono definiti dal governo di Berlino. Facendo pressione sul primo ministro socialdemocratico Olaf Scholz che per un po’ tira il freno su quelle decisioni che portano ad un coinvolgimento diretto nello scontro militare con la Russia per poi arrivare a cedere alle pressioni dei “falchi” interni ed esterni.

“Sorprendetemente – scriveva già nel 2022, Catrina Schlager su IPS, rivista della Fondazione Friedrich Ebert – solo nel Partito Verde il cambiamento radicale della politica estera tedesca (ndr avvenuto nel 2022, dopo l’invasione russa dell’Ucraina) non sembra aver sollevato alcuna necessità di discussione. Questa ricalibratura non ha portato al lancio di bombe di cartone come avvenne al congresso del Partito Verde nel 1999, quando il suo Ministro degli Esteri Joschka Fischer difese il primo dispiegamento all’estero dell’esercito tedesco avvenuto in Kosovo.”

I Verdi, aggiunge la Schlager, hanno iniziato la loro transizione dal pacifismo radicale alla (cosiddetta) realpolitik quando approvarono la partecipazione militare tedesca in Kosovo nel 1999 e in Afghanistan nel 2001. Nel 2014, i Verdi, il cui gruppo parlamentare era guidato da Anton Hofreiter, si opposero all’invio di armi ai Peshmerga curdi per combattere l’ISIS, mentre nel 2021, Robert Habeck, attuale Ministro delle finanze e allora in visita in Ucraina fu il primo esponente verde a chiedere che si fornissero armamenti a Kiev (prima dell’invasione russa). E la sua proposta fu subito sostenuta dalla co-leader dei Verdi, ora Ministra degli Esteri, Annalena Baerbock, nei giorni scorsi duramente contestata durante un comizio elettorale a Norimberga.

Ritroviamo lo stesso Hofreiter a guidare il comitato del Bundestag per gli affari europei. Nelle ultime settimane si è schierato a favore dell’autorizzazione agli ucraini per utilizzare le armi occidentali con l’obbiettivo di colpire in profondità il territorio russo. Ha anche sostenuto la necessità che la NATO intervenga in modo più deciso del conflitto contribuendo a intercettare, a partire dagli Stati confinanti, i missili inviati dalla Russia sull’Ucraina. Sua è poi la proposta di creazione di un fondo europeo di 500 miliardi per alimentare la corsa agli armamenti in Europa.

Di Hofreiter si è parlato come del possibile primo Commissario europeo attribuito ai Verdi (Euractiv), un’ipotesi che è resa più complicata dalla partita a scacchi in corso per la conferma di Ursula von der Leyen alla guida della prossima Commissione. L’esponente dei verdi, fino a non molto tempo fa, dava un giudizio positivo dell’azione della von der Leyen, ma ora siamo entrati in una fase di trattative complesse e il cui esito non è scontato.

Nel 2019, il gruppo verde al parlamento europeo aveva votato contro la nomina della von der Leyen, ma ora è chiara, ed espressa apertamente, la volontà di entrare a far parte della maggioranza che guida Bruxelles. Sempre Euractiv riferisce le parole di Terry Reintke, spitzenkandidat dei Verdi europei: “noi vogliamo essere parte della maggioranza di Bruxelles”. Aggiungendo che i Verdi sono aperti a compromessi per entrare nella coalizione della von der Leyen.

Una disponibilità che viene confermata anche da altre fonti (European Newsroom)e che risulta facilitata dal fatto che l’attuale coalizione a tre, formata da Popolari, Socialisti e Liberali, potrebbe non aver più una maggioranza assoluta nel nuovo Europarlamento. La von der Leyen sta ora giocando su vari tavoli ma sembra più interessata ad aprire la maggioranza sulla sua destra, coinvolgendo partiti come Fratelli d’Italia di Gorgia Meloni. Una parte della estrema destra aveva già votato per lei cinque anni fa.

Uno dei temi sui quali la destra europea è mobilitata è l’opposizione a molte misure destinate a fronteggiare il cambiamento climatico e l’attuale presidente della Commissione Europea ha dimostrato una sostanziale disponibilità a venire incontro a queste richieste. Rispetto al 2019 i Verdi possono contare su alcune posizioni di forza, come la presenza nel governo tedesco (il quale ha lasciato intendere che la conferma della von der Leyen dovrà essere oggetto di trattative), ma dall’altro lato vengono dati in netto arretramento nel voto del 9 giugno a livello europeo.

Il gruppo verde potrebbe scendere dai 74 seggi conquistati nel 2019 (e diventati 67 dopo la Brexit) a poco più di 40. I Verdi tedeschi sembrano destinati a scendere da 21 a 14 seggi e i francesi da 10 a 5. I tedeschi resteranno il partito dominante ma con un peso complessivo molto diminuito. La speranza del Partito Verde Europeo è di riequilibrare parte dell’arretramento nei paesi dove sono più forti con il guadagno di qualche seggio nell’Europa meridionale dove invece sono tradizionalmente deboli o assenti.

In questo quadro vanno considerate le posizioni assunte dal Partito Verde europeo che ha approvato il suo programma elettorale nel Congresso che si è tenuto a Lione ai primi di febbraio. Il manifesto è disponibile sul sito del Partito Verde Europeo in diverse lingue tra cui l’italiano (https://europeangreens.eu/2024-manifesto/) e risulta essere stato approvato anche dalla delegazione italiana di Europa Verde, il partito guidato da Angelo Bonelli.

I Verdi sono molti netti nella loro posizione sulla guerra in corso in Ucraina: “siamo fermamente convinti della nostra solidarietà e del nostro sostegno all’Ucraina e della necessità di un continuo supporto finanziario e militare. La lotta del popolo ucraino per la libertà, la pace e l’adesione all’Unione Europea è la nostra lotta”. Pe l’Unione Europea, aggiungono, “la sicurezza dipende dal nostro sostegno all’Ucraina”.

I Verdi europei ritengono che l’Unione Europea abbia bisogno di una “nuova mentalità” e di una “chiara volontà di agire”. Nel passato, e qui sembra abbastanza esplicita la critica alla gestione di Angela Merkel, c’è stata nientemeno che “la dipendenza dell’Europa dai regimi autoritari”.

Oltre al proseguimento del sostegno militare all’Ucraina che esclude qualsiasi forma di soluzione politica del conflitto, su un altro punto i Verdi europei si schierano con decisione: “per l’UE, un approccio multilaterale comprende anche il rafforzamento e l’approfondimento della NATO, nel rispetto di una chiara divisione delle competenze e senza stabilire precedenze”. Quindi senza far prevalere l’UE sulle decisioni assunte in sede NATO.

Questa valutazione positiva sulla NATO, se è certo molto lontana del pacifismo ecologista delle origini, non è una svolta pre-elettorale. Già nel luglio del 2022, i Verdi al parlamento europeo adottavano un documento (European Security Union) nel quale si chiedeva un rafforzamento della cooperazione con i partner più vicini (USA e Regno Unito), “incluso all’interno della NATO”, con il fine di “garantire la pace internazionale, la sicurezza e la stabilità”. Questa convinzione che il “blocco occidentale”, integrato nella NATO e attraverso una crescente cooperazione tra questa e l’UE, oltre ad una crescente cooperazione “sulle capacità militari” di cui parla il manifesto elettorale, esemplifica la visione del mondo che emerge dal programma politico dei Verdi europei.

Un mondo diviso tra l’Occidente, dato sempre come democratico e pacifico, e i regimi autoritari che costituiscono una minaccia permanente. Una visione manichea che rimanda agli anni della guerra fredda e che si trasforma in conflitto irriducibile tra Bene e Male. Le minacce alla sicurezza internazionale provengono da Putin ma anche dalla Cina. In questo caso i Verdi “riconoscono la minaccia posta dalla Cina a Taiwan che mette a repentaglio la pace e la sicurezza internazionale”. Una netta scelta di campo ideologicamente motivata come scontro tra democrazia e autoritarismo. “Noi Verdi – scrivono – faremo in modo che l’Europa non commetta di nuovo lo stesso errore con altri regimi guerrafondai (ndr oltre alla Russia) in tutto il mondo”. Una qualifica, quella di guerrafondai che non si applica evidentemente né agli Stati Uniti né a Israele, per fare due esempi.

Il documento approvato al Congresso di Lione non rappresenta necessariamente in modo integrale le opinioni di tutti i partiti verdi. Va detto però che il gruppo Verde al parlamento europeo (si veda lo studio di Simon Hix e Abdoul Noury per lo Swedish Institute for European Policy Studies) è quello di gran lunga più omogeneo nelle espressioni di voto. Nella legislatura 2019-2024 ha raggiunto il 91,6%, mentre per gli altri gruppi l’omogeneità si colloca tra il 70 e l’80%. Questa tendenza alla concordanza nel voto si conferma anche sulla politica estera (90,5%) dove invece tende a scendere significativamente per tutti gli altri gruppi. Sulla guerra in Ucraina, come emerge dallo studio citato, il gruppo Verde è l’unico che si è unanimemente schierato dalla parte dei “falchi”.

Un’altra proposta sostenuta dai Verdi europei è quella di rimuovere il “diritto nazionale di veto” sulla politica estera e su altre materie.  Su alcuni ambiti i trattati garantiscono il principio dell’unanimità. Questo sta creando qualche problema sulla possibilità di finanziare i trasferimenti d’arma in Ucraina, soprattutto per la posizione dell’Ungheria che utilizza questo potere di interdizione per contrattare i finanziamenti europei (come riferisce Le Monde: “La Hongrie bloque l’aide européenne à l’Ukraine”). Ma le decisioni proposte in sede intergovernativa sono spesso delle torsioni delle norme comunitarie, così spesso idolatrate in altri contesti.

In ogni caso la proposta dei Verdi europei renderebbe molto difficile a qualsiasi paese che volesse scegliere una politica estera diversa da quella decisa a maggioranza nelle sedi intergovernative di sottrarsi alle decisioni comuni.

In conclusione non c’è dubbio che i Verdi europei, come recita il loro slogan, abbiano avuto il “coraggio di osare”, ma certamente non nella direzione di una politica di pace.

Franco Ferrari

29/5/2024 https://transform-italia.it/

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