I veri rischi di chi lavora per la salute pubblica

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Il tema delle aggressioni in sanità dovrebbe essere affrontato con un metro di misura adeguato alle realtà socile determinatosi con i percorsi di privatizzazione che hanno portanto i cittadini a considerare ormai non più raggiungibile un diritto dovuto dallo Stato e i fatti lo stanno a dimostrare. Quello che non possono dimostrare, essendo stati esautorati dalla comprensione della politica e incapaci di individuare le responsabilità vere che si nascondono dietro il lavoro quotidiano delle professioni sanitarie, in ogni occasione di disservizio, o di totale assenza di cura e assistenza, la loro indignazione razionale. Il tema della sicurezza psicofisica degli operatori sanitari durante il loro lavoro di cura e assistenza va affrontato come una delle tante problematiche che affliggono il quotidiano lavorativo delle operatrici e degli operatori. Le coercitive condizioni dell’organizzazione del lavoro imposta da politiche di tagli al personale costringono a carichi di lavoro produttori di stress che da tempo non sono considerate dalla aziende ma causano la repressione della libertà di critica, e della stessa agibilità sindacale che riduce, e sempre più spesso impedisce, la possibilità di prevenire o di denunciare una condizione lavorativa pericolosa.

Molte sono le attività lavorative in campo sanitario che comportano dei rischi ma chi le svolge si trova nelle condizioni di non poterle rifiutarle ma questo sta alla volontà e capacità di non esimersi dal lottare, anche sindacalmente, per non accettare l’imposizione di un rischio al solo fine di aumentare il profitto aziendale.
La sanità non ha, non può avere, neanche lontanamente il numero elevato di morti, (fatta eccezione per il periodo Covid) che ogni giorno funestano gli altri ambiti di lavoro in Italia, ma è sottoposto ad altri e più numerosi rischi, silenziosi e sublodi, quasi non riconosciuti e tanto meno sottoposti a prevenzione aziendale, sono le malattie professionali.

Le malattie professionali più diffuse

Il personale sanitario è esposto a diversi rischi durante lo svolgimento delle attività quotidiane, quali il sovraccarico biomeccanico, le posture incongrue, i movimenti scoordinati e/o ripetuti. Posture di lavoro scorrette vengono spesso assunte nell’assistenza al letto.
Nella sanità i disturbi muscoloscheletrici degli arti superiori e del collo rappresentano il secondo tasso più elevato di incidenza tra le patologie correlate al lavoro, subito dopo il settore edilizio.

In molti casi di intervento professionale sul paziente, ma anche in ambito chirurgico o durante le attività di laboratorio sono noti i rischi legati all’utilizzo di sostanze chimiche (disinfettanti, gas anestetici, detergenti, ecc.). Così come l’impiego di alcuni strumenti di lavoro, quali aghi, siringhe, bisturi, comporta un rischio di puntura o taglio con possibile trasmissione ematica di agenti biologici quali il virus HIV e il virus dell’epatite B. Radiazioni ionizzanti e non ionizzanti rappresentano un altro potenziale rischio.

Nelle strutture sanitarie, oltre al personale sanitario (medici, infermieri, ecc.), sono esposti a rischi anche il personale di supporto, vedi OSS, e tecnico e i laboratoristi e gli anestesisti, i tirocinanti, gli apprendisti, i lavoratori a tempo determinato, i lavoratori somministrati e gli studenti che seguono corsi di formazione sanitaria. Senza dimenticare le addette e gli addetti alle pulizie.

Il personale di tutte le professioni viene quasi invogliato a lavorare di malavoglia perchè stremato, anche mobbizzato dalla disorganizzazione svalorizzando la persona e la stessa professionalità. Per sostituire non solo i profondi buchi nell’organico, ma anche la stessa depressione nel lavoro, non basta la presenza del personale delle cooperative, anch’essi sfruttati, quasi schiavizzati dal ricatto di essere perennemente precari.

E’ elementare far presente che il problema è conseguente alla progressiva aziendalizzazione del sistema sanitario, che in nome di una presunta efficienza e della razionalizzazione dei costi, mai avvenuti, si è operato per ridurre posti letto, personale depotenziando le strutture pubbliche.
I principali fattori di rischio dei lavoratori della sanità:

. fattori ergonomici: sollevamento e movimentazione di pazienti; posture scomode o dolorose;
. fattori psicosociali: ritmi di lavoro elevati o carico di lavoro eccessivo; richieste psicologiche di tipo emotivo; minacce e violenza fisica; lavoro a turni; conciliazione casa-lavoro;
. fattori biologici: rischio di esposizione a liquidi biologici;
. rischio infortunistico: cadute accidentali; lesioni da ago e taglienti.

Il problema primario: l’anzianità in sanità

L’invecchiamento dei lavoratori della sanità conseguente alla riforma delle pensioni ha dato luogo nei prossimi 5-10 anni a una situazione in cui una rilevante quota di lavoratori (oltre il 15-20%) non riuscirà a svolgere i propri compiti o ci riuscirà incontrando forti difficoltà, peggiorando il proprio stato di salute e la qualità dell’assistenza, e rischiando il licenziamento per non-idoneità o assenze per malattia.

Le richieste lavorative, in questa organizzazione del lavoro sottoposta a tagli d’organico, non si riducono con l’età, ma, ovviamente, si riduce la capacità lavorativa;
Riguardo alla capacità mentale nell’invecchiamento i cambiamenti fisiologici che generalmente avvengono nella percezione, nell’elaborazione delle informazioni e nel controllo motorio riducono la capacità di lavoro mentale:

. l’attività psicomotoria è più lenta e quella cognitiva è ridotta;

. i tempi di reazione sono più lenti;
. la capacità di lavoro fisico di un lavoratore di 65 anni è circa la metà di quella di uno di 25 anni;
. una riduzione marcata della capacità fisica comincia dopo i 50 anni, con una riduzione del 20% tra i 40 e i 60 anni;
. in generale, il declino delle capacità mentali e sociali pare più lento e più tardivo di quello delle capacità fisiche, anche se con l’età aumenta la prevalenza di disturbi mentali comuni, soprattutto ansia e depressione;

Ci sono anche altri disturbi associati al lavoro notturno: un aumento dei disturbi psicologici, con un aumento del rischio di depressione e ansia.

Quindi, la prevenzione e la sicurezza sul lavoro si può affrontare solo con il potenziamento della sanità pubblica e con riduzione dell’orario di lavoro e con un forte aumento degli organici ospedalieri e territoriali.
In conclusione non credo che il tema della sicurezza sul lavoro delle operatrici e degli operatori non vada affrontato con un bollettino di guerra che riporta a ritmo serrato le aggressioni (spesso solo accesi scontri verbali) soprattutto per quanto concerne i Pronto Soccorso e i luoghi della salute mentale (ambito molto più problematico alla fonte).

Una cose è certa, con la Legge governativa che prevede fino a cinque anni di carcere e 10.000 mila euro di multa per malati e familiari che protestano contro le gravi conseguenze sulla loro salute causate dai tagli alla sanità. Di fronte alle ore di attesa in Pronto Soccorso per la cura o un posto letto, oltre a reprimere il diritto al dissenso verbale (anche umanamente aspro), si fa un favore al privato siccome allontanerà sempre più dalla sanità pubblica.

Franco Cilenti

Già Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza nella SANITA’

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