Il Belpaese dove il petrolio si «coltiva».

…Il petrolio scatena emozioni e passioni straordinarie, perché è innanzitutto una grande tentazione. La tentazione di acquistare con poco fatica fortune colossali, forza, successo e potere. È un liquido sporco e maleodorante che sgorga docilmente verso l’alto e poi ricade in forma di pioggia scrosciante di soldi. …Il petrolio crea l’illusione di un’esistenza completamente diversa, offre il miraggio di una vita facile e senza fatica. E’ un veleno che contagia la mente, annebbia la vista, corrompe i cuori. … In questo senso il petrolio è una favola e, come ogni favola, menzognero…” da “Shah-in-shah” di Ryszard Kapuscinski, 1982, p. 104

La favola del petrolio portatore di ricchezze ispira politiche e strategie energetiche dell’Italia e le illusioni relative al potenziale del petrolio si possono leggere tra le righe del cosiddetto “Sblocca Italia” (decreto legge n.133 del 12 settembre 2014, convertito in legge con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014, n. 164). Queste illusioni si concretizzano nella disposizione che ‘le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi …rivestono carattere di interesse strategico e sono di pubblica utilità, urgenti e indifferibili.’ Quindi l’estrazione d’idrocarburi è definita in toto , indipendentemente dal contesto socio-economico e ambientale locale e nazionale, come di pubblica utilità e urgente. L’illusione continua al punto da stravolgere la tassonomia e chiamare ‘coltivazione’ quella che a tutti gli effetti è ‘estrazione’ di idrocarburi, quasi a voler trasformare l’attività insostenibile per eccellenza nel suo opposto: in una forma di coltivazione ciclica e riproducibile nel tempo.

Guardando all’esperienza internazionale dei paesi produttori d’idrocarburi, la favola si rivela tanto menzognera da aver dato vita ad una estesa letteratura si è dedicata a spiegare il paradosso della coincidenza tra abbondanza di risorse naturali e sottosviluppo socio-economico. Questa letteratura ha coniato l’espressione ‘maledizione delle risorse naturali’.

Gli studi sulla maledizione dell’abbondanza hanno indagato le dinamiche economiche, politiche e storiche che minano le traiettorie di sviluppo dei paesi ricchi di risorse naturali. Molta della letteratura economica si è focalizzata sul caso della ‘malattia olandese’, nome assegnato alla profonda crisi che negli anni ’60-‘70 ha colpito i Paesi Bassi dopo la scoperta e sfruttamento di ingenti campi di gas naturale. Questi studi mettono in relazione l’apprezzamento della moneta locale, in seguito all’esportazione di gas e al concomitante afflusso di moneta straniera, con la perdita di competitività a livello internazionale. Studi più recenti hanno permesso di identificare simili effetti a livello sub-nazionale che penalizzano le attività industriali e i servizi che operano in territori segnati dall’estrazione massiva di risorse naturali.

Un altro meccanismo che spiega la maledizione è legato alla volatilità dei prezzi delle materie prime – in questo caso basta pensare al deprezzamento attuale del valore del barile del petrolio sceso di circa il 40% in meno di 6 mesi dopo aver goduto di prezzi su livelli storicamente molto alti per quasi una decade. L’oscillazione dei prezzi è causa di politiche fiscali e indebitamento che spesso creano sbilanci quando i prezzi si abbassano rispetto alle (spesso) ottimistiche aspettative. Qui possiamo riferirci ai rischi che stanno correndo paesi come il Venezuela e la Russia qualora la depressione dei prezzi degli idrocarburi nel mercato internazionale si protraesse o accentuasse nei prossimi anni.

A queste dinamiche socio-economiche si affiancano impatti ambientali, che hanno essi stessi ramificazioni sulla società e l’economia. Pensiamo agli impatti delle fuoriuscite d’idrocarburi dovute ai ricorrenti incidenti e alla contaminazione delle acque di falda. Nel bilancio tra le attività estrattive e gli impatti sul resto dell’economia bisogna tener conto anche che il settore degli idrocarburi è caratterizzato da una bassissima intensità occupazionale. In altre parole, il volume d’affari creato è molto più grande rispetto alle opportunità di lavoro generate, il che amplifica i danni che le attività creano al resto dell’economia.

Tra le dinamiche istituzionali più evidenti sono l’aumento dei conflitti e della corruzione generati e accentuati dalla lotta per la rendita conseguente all’estrazione. Questo impegno per l’accaparramento di rendite tende anche a spiazzare ( crowd-out ) l’investimento nelle attività produttive. Così paesi segnati da grande disponibilità di risorse naturali soffrono spesso di un deficit di investimenti produttivi.

Inoltre, la mancanza di vincoli con gli altri settori economici e le rivendicazioni dei territori dove si estraggono le risorse finiscono spesso per produrre politiche di compensazione su base territoriale che in ultima analisi aggravano esse stesse gli impatti delle attività estrattive. Difatti le industrie petrolifere possono sicuramente permettersi di compensare alcuni degli impatti con quelle che possono essere considerate briciole rispetto alle rendite accaparrate e ai lauti profitti generati, ma queste briciole finiscono per alimentare la corruzione e collusione tra le amministrazioni locali, spezzoni di ‘società civile’ e le imprese.

Tutto sommato, considerando queste esperienze e come si potrebbero replicare in Italia, per il nostro paese sembrerebbe più prudente restare con i piedi per terra e dimenticarsi delle favole sul petrolio.

Lorenzo Pellegrini

9/1/2015 www.sbilanciamoci.it

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