Il beltempo che uccide. Cosa sappiamo sulle onde di calore in corso
Arabia Saudita, India, America settentrionale e centrale, Mediterraneo. Queste quattro macro-aree del mondo sono al momento interessate da onde di calore prolungate e feroci, che stanno stracciando i record di temperatura, in molti casi stabiliti solo l’anno scorso, e mietendo vittime a migliaia.
Come riportato dall’agenzia France Press, sono almeno mille i fedeli musulmani periti quest’anno a causa del calore estremo durante il tradizionale pellegrinaggio dell’Hajj a La Mecca, in Arabia Saudita. Un numero destinato a salire, con le ricerche per localizzare centinaia di dispersi ancora in corso e i social network inondati di foto degli scomparsi. Le autorità sanitarie saudite avevano avvertito che le temperature sarebbero state pericolosamente alte. Lunedi 17 giugno hanno raggiunto i 51,8°C. Degli ospedali da campo sono stati creati nel percorso dei pellegrini, e si sta pensando a soluzioni tecnologiche come smart watch che monitorano la salute individuale e mettono in guardia oltre certe soglie. Per chi se li potrà permettere.
In India è da marzo che il calore flagella il paese. Sono almeno centodieci le vittime del caldo estremo registrate dal ministero della salute indiano dal primo marzo al 18 giugno. Secondo l’agenzia metereologica indiana, l’onda di calore di quest’anno è tra le più lunghe che il paese abbia mai sperimentato. A Delhi ci sono stati trentotto giorni consecutivi con temperature massime pari o superiori ai 40°C. Il caldo ha prodotto immagini apocalittiche: uccelli e pipistrelli sono caduti dal cielo morti stecchiti. Un alto tasso di umidità e flussi d’aria rovente hanno aggravato la situazione, aggiungendosi agli effetti della carenza di acqua e alle interruzioni di corrente dovute all’aumento della domanda per l’utilizzo di condizionatori.
Le persone decedute provengono dagli strati più poveri della società. A Delhi, un terzo dei residenti vive in alloggi scadenti e congestionati. Ci sono circa seimilaquattrocento baraccopoli in città, che ospitano più di un milione di famiglie prive di mezzi di raffreddamento adeguato. Gli uomini si ammalano lavorando all’aperto; le donne si ammalano in cucine con fornelli tradizionali. Gli spazi verdi in città sono scarsi. Nel pieno dell’estate, la città si trasforma in una fornace rovente. Circa tre quarti dei lavoratori indiani sono esposti al calore in settori quali l’edilizia, le miniere a cielo aperto e il commercio ambulante. Durante le onde di calore ci sono meno ore di lavoro sicure e produttive: uno studio di Lancet ha riportato una perdita di 167,2 miliardi di potenziali ore di lavoro in India a causa del caldo eccessivo del 2022.
Il Messico è attraversato da un’onda di calore – che copre anche il Centroamerica e il Sud degli Stati Uniti – fin dalla metà di marzo. Le scimmie sono cadute morte dagli alberi a causa del caldo. A maggio, sono stati battuti i record di temperatura in oltre dieci grandi città, inclusa la capitale. Città del Messico si trova a un’altitudine di duemiladuecento metri sul livello del mare, che di solito mitiga il suo clima estivo, ma il 24 maggio ha raggiunto la temperatura record di 34,7°C. L’onda di calore ha ucciso almeno centocinquantacinque persone in tutto il paese, ma si tratta probabilmente di un conteggio sottostimato, data la difficoltà di contare con precisione i decessi correlati al caldo. Le condizioni di siccità hanno impedito la dispersione di inquinanti e contratto la disponibilità di acqua, che a sua volta ha causato una flessione nella produzione di energia idroelettrica.
Negli Stati Uniti circa cento milioni di americani stanno soffrendo sotto una cappa di calore che si estende dal Midwest al New England. Si prevede che l’heat dome manterrà le temperature ben al di sopra della norma in gran parte del paese per diversi giorni. Già ora incendi boschivi imperversano in tutta la costa ovest.
Le temperature elevate registrate questa settimana in Ontario, Quebec e nelle province atlantiche sono un avvertimento anche in Canada, in linea con altri eventi di caldo estremo degli ultimi anni, come l’onda di calore della Columbia Britannica nel 2021 che ha ucciso oltre seicento persone. E come dimenticare la Grecia, dove per l’onda di calore della settimana scorsa sono morte decine di persone, soprattutto turisti di Nord Europa e Nord America.
È IL CLIMA, BELLEZZA!
Le onde di calore non sono una novità, in certa misura sono fenomeni naturali. Solo che il clima attuale ha ben poco di naturale, essendo stato radicalmente alterato da circa duecento anni di immissione nell’atmosfera di gas serra derivanti dalle attività umane e in particolare dall’uso dei combustibili fossili. Il 2023 è stato l’anno più caldo mai registrato. Dieci degli ultimi anni più caldi si sono verificati nell’ultimo decennio. E su un pianeta più caldo, le onde di calore diventano più frequenti, intense e lunghe. Le temperature anomale cui assistiamo sono l’effetto dell’accumulazione nell’atmosfera dei gas climalteranti emessi dagli albori della rivoluzione industriale. Su questo punto, la scienza non lascia spazio a dubbi. Constatato che le emissioni globali di questi gas non stanno diminuendo, bensì aumentano, insieme all’aumento dell’uso di combustibili fossili e alla distruzione di ecosistemi, assistiamo a onde di calore più lunghe e più estreme, che iniziano prima ogni anno.
Gli sviluppi recenti della scienza climatica offrono ulteriori elementi non solo per corroborare il ruolo del cambiamento climatico antropogenico nel proliferare del caldo estremo, ma arrivando a misurarne l’apporto specifico. È quello che fa l’attribution science, la branca della scienza che quantifica in maniera probabilistica la misura in cui gli eventi metereologici estremi sono influenzati dalle emissioni di origine antropica. E dato che gli eventi estremi sono il modo principale in cui le persone sperimentano i cambiamenti climatici, l’attribution sciencepermette di collegare i processi scaturiti dall’accumulo storico di emissioni climalteranti con gli impatti concreti sulla vita sociale. Il World Weather Attribution è il gruppo di ricerca più autorevole in questo campo ed esegue anche studi di “attribuzione rapida”, un modo per determinare a stretto giro quanto un evento fuori scala – come un’onda di calore o un’alluvione – sia stato causato o peggiorato dal cambiamento climatico antropogenico, e quanto quest’ultimo abbia contribuito alla sua intensità, frequenza e durata.
Ebbene, secondo un loro studio di attribuzione rapida sull’onda di calore che ha colpito gli Stati Uniti, il Messico e l’America Centrale tra maggio e giugno, questa è stata resa trentacinque volte più probabile dal riscaldamento globale e almeno due gradi e mezzo più calda. Secondo gli scienziati un’onda di calore di questo tipo si verificherà almeno ogni quindici anni nel clima odierno e più spesso se il pianeta continua a riscaldarsi. Se invece il mondo avesse avuto ancora il clima dell’anno 2000, onde di calore di tale intensità sarebbero accadute una volta ogni sessant’anni circa. Ciò significa che in specifiche zone dell’America Centrale, del Messico e degli Stati Uniti meridionali, una persona può aspettarsi di subire un’onda di calore di questo tipo cinque o sei volte nel corso della propria vita, o anche di più se il trend di emissioni non viene invertito.
Un altro studio condotto dal World Weather Attribution il mese scorso, ha calcolato che l’onda di calore di aprile in alcune parti dell’Asia è stata resa almeno quarantacinque volte più probabile a causa delle emissioni umane. Due precedenti studi dello stesso ente si erano concentrati sull’onda di calore del 2022 in India e Pakistan e sull’onda di calore umido del 2023 che ha colpito India, Bangladesh, Laos e Thailandia. Nonostante le differenze tra i due eventi (calore più secco nel 2022 che ha portato a una perdita diffusa del raccolto e caldo umido nel 2023 con maggiori impatti sulle persone), entrambi gli studi hanno evidenziato che il cambiamento climatico indotto dall’uomo li ha resi circa trenta volte più probabili e molto più caldi.
COME SI VIVE IN UN FORNO
I nostri corpi sono degli organismi termici autoregolanti. Possediamo meccanismi automatici che equilibrano la temperatura interna per farla rimanere stabile tra 36°C e 37°C. Tutti sappiamo che una temperatura interna troppo alta è segno che qualcosa non va. Durante gli eventi di calore estremo il corpo deve lavorare di più per mantenere la temperatura entro limiti tollerabili. Il cuore inizia a pulsare più forte per spingere il sangue verso la superficie della pelle, dove può essere raffreddato attraverso la sudorazione. E per un po’ funziona. Ma se le temperature diventano troppo alte, il meccanismo di regolazione interna semplicemente non basta.
C’è una soglia di caldo e umidità identificata dalle scienze mediche, la cosiddetta wet-bulb temperature, che una volta raggiunta o superata crea condizioni insopportabili per l’essere umano e può portare al decesso in poche ore, a prescindere dallo stato di salute. La temperatura di bulbo umido è un indicatore della soglia congiunta di temperatura e umidità superata la quale il sudore non riesce più a evaporare, quindi non svolgendo il suo ruolo di termoregolazione. Indicativamente, con una temperatura oltre i trenta gradi e un’umidità oltre il sessanta o settanta per cento, c’è il rischio di wet-bulb temperature. In queste condizioni, il corpo inizia a “spegnersi”, le cellule si deteriorano e singoli organi smettono di funzionare. La sudorazione cessa perché il flusso di sangue alla pelle si ferma, lasciandola fredda e umida.
Tra gli eventi estremi causati o esacerbati dal riscaldamento globale antropogenico, le onde di calore sono tra i più mortali. Jeff Goodell, divulgatore e autore di The Heat Will Kill You First, assimila il calore estremo a un predatore, perché attacca per primi i più deboli e vulnerabili. Durante le onde di calore, le persone anziane o con problemi di cuore, i bambini piccoli, le donne incinte, hanno più difficoltà a regolare la temperatura interna. Ci sono poi le vulnerabilità legate al tipo di occupazione lavorativa, se espone a lavori pesanti o all’aperto. Ma le determinanti maggiori della vulnerabilità al calore afferiscono alle differenze socio-economiche e alle ingiustizie sociali, che causano la mancanza di mezzi sufficienti per adattarsi, attraverso beni e servizi per raffreddare il proprio ambiente o per spostarsi in zone più fresche. Secondo un reportage della BBC da Delhi, la maggior parte delle persone decedute in città a causa del caldo erano uomini che lavoravano all’aperto o in piccole fabbriche non regolamentate, in condizioni pessime ed esposti al calore estremo.
Bisogna quindi entrare nell’ordine di idee che la crisi climatica radicalizza le tensioni e le ingiustizie sociali pre-esistenti. È un threat multiplier, moltiplicatore di minacce al benessere sociale, foriero di conflitti e crisi intrecciate. Ciò che è cruciale per gli impatti degli eventi estremi e della crisi climatica sono i fattori di mediazione tra l’evento e le persone, cioè le capacità degli stati e le dinamiche economiche e sociali che determinano il modo in cui gli individui ne fanno esperienza.
A causa di tali fattori, i medesimi impatti possono avere implicazioni molto diverse. Ciò è confermato dagli studi sui disastri, che hanno dimostrato come il livello socioeconomico, e la preparazione e la risposta a catastrofi come le onde di calore, fanno un’enorme differenza nel salvare vite umane. I ricercatori evitano addirittura il termine “disastri naturali” perché i fattori di mediazione umani sono così significativi per gli effetti che spesso i disastri non sono poi così “naturali”. E, come detto, il clima attuale ha già ben poco di naturale.
Ogni intervento per ridurre gli impatti degli eventi estremi implica forme di adattamento, dalla diversificazione dei mezzi di sussistenza, alle infrastrutture per migliorare l’accesso alle risorse idriche e la resilienza della rete elettrica, e con l’implementazione di servizi di protezione sociale, come il monitoraggio e l’assistenza alle fasce più vulnerabili. La pianificazione urbana è fondamentale, dagli spazi verdi alle infrastrutture potenziate negli insediamenti informali. Il calore estremo e il fumo degli incendi boschivi dovrebbero essere inclusi nella definizione di disastri gravi, per i quali vengono elargite risorse e preparati piani d’azione.
Pianificazione e infrastrutture possono aiutare, ma le onde di calore sono diverse dagli altri disastri. Sono eventi che non causano molti danni visibili (pur se ne causano). Sono soprattutto una minaccia per gli esseri umani e per altri esseri viventi. Una definizione più appropriata è eventi di mortalità di massa. Per questo occorre ripensare la definizione di disastro e prepararsi di conseguenza.
Gli indicatori delle condizioni di caldo e umidità potenzialmente pericolose sono uno strumento utile per valutare il rischio delle onde di calore. La conoscenza e comunicazione dei valori di questi indici dovrebbero essere affiancate alle più classiche temperature nei bollettini meteo, insieme alla comunicazione di evidenze scientifiche, quando disponibili, che quantificano il contributo del riscaldamento globale antropogenico al verificarsi di specifiche onde di calore, così da chiarire la posta in gioco della mitigazione climatica anche nell’informazione generalista. Alcuni propongono di dare alle onde di calore il nome delle aziende fossili più grandi al mondo, per rendere evidenti le responsabilità degli attori economici che hanno contribuito maggiormente, e continuano a contribuire, a quella che è in sostanza una strage perpetrata alimentando gli eventi estremi.
Ma l’elemento più importante nell’immediato futuro è la riduzione delle emissioni che riscaldano il clima. La mitigazione e la rigenerazione degli ecosistemi sono le uniche vie per evitare la proliferazione e l’aumento d’intensità delle ondate di calore e di altri eventi estremi. Ciò dovrebbe motivare i governi ad agire tempestivamente per diminuire e azzerare le emissioni climalteranti. La realtà è che le politiche della cosiddetta “transizione ecologica” sono una farsa, pensate per salvare il capitalismo piuttosto che il pianeta. La retorica trionfante sulla diffusione di energie rinnovabili nasconde il fatto che pannelli solari e pale eoliche sono aggiunte alle fonti fossili, non le sostituiscono, come dovrebbe accadere. Solo l’imposizione di un’agenda di giustizia sociale e climatica dal basso può contribuire ad alterare la traiettoria catastrofica cui il pianeta, e noi con lui, sembra destinato. In un’ottica di giustizia, i paesi più responsabili non solo hanno l’obbligo di accelerare la riduzione delle emissioni, ma anche di mettere a disposizione risorse economiche e tecnologiche per la mitigazione e l’adattamento nei paesi in via di sviluppo e meno responsabili, e risorse a fondo perduto per i danni e le perdite inevitabili, che accadono già ora. In un mondo in cui la temperatura media arrivi a due gradi, eventi del genere saranno molto più comuni. Bisogna agire ora, la finestra di possibilità per evitare un riscaldamento globale ancora più devastante si sta rapidamente chiudendo. E con quella finestra chiusa, il calore sarà ancora più insopportabile. (salvatore de rosa)
24/6/2024 https://www.monitor-italia.it
Imamgine: disegno di sam3
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