Il benessere e la decrescita

La crescita economica ha prodotto – nel corso della storia – enormi benefici in termini di qualità della vita e innovazione, seppure distribuiti in maniera fortemente disuguale. Oggi però l’inseguimento acritico di una crescita perpetua non è più sostenibile e rischia di portarci al collasso ecosistemico.

L’attuale dibattito sulla crisi climatica sta interessando sempre più la comunità medico-scientifica che, in misura crescente, si va interessando di tematiche e argomenti che tradizionalmente si potevano considerare marginali o addirittura esclusi dagli interessi del settore sanitario. È in questo contesto che Richard Smith, già editor del BMJ, pubblica un articolo incentrato sul tema della decrescita economica, presentata come l’unica soluzione (forse) in grado di salvarci (1).

Sebbene il tema dell’emergenza climatica sia diventato per certi versi mainstream, alcuni aspetti – tra cui quello della decrescita – rimangono ancora poco noti. Spesso infatti le argomentazioni sul cambiamento climatico prendono le mosse da un approccio riduzionistico che si focalizza su un singolo elemento – le emissioni di anidride carbonica (CO2) – lasciando nell’ombra il più ampio contesto socio-econonomico di riferimento (2). L’eccessiva focalizzazione sulle emissioni di CO2 tende a orientare il dibattito attorno al tema della produzione energetica e di conseguenza alla necessità di una transizione che porti a sostituire le fonti fossili con quelle rinnovabili, lasciando inalterato tutto il resto. La crisi che stiamo affrontando tuttavia non è esclusivamente una crisi climatica dovuta a eccessiva  produzione e accumulo di CO2, ma dovrebbe essere riconosciuta come una crisi ecologica multisfaccettata, in cui il cambiamento climatico rappresenta uno di molti problemi, tra cui: deforestazione, perdita di biodiversità, desertificazione e consumo di suolo, acidificazione degli oceani, inquinamento ambientale, povertà e disuguaglianze, conflitti e migrazioni. Questi elementi si intrecciano tra loro e sono influenzati dalle caratteristiche del nostro sistema economico.

Nel suo editoriale Smith cita esplicitamente il lavoro di Jason Hickel, studioso di antropologia economica e autore del libro Less Is More: How Degrowth Will Save the World (3), nel quale  Hickel descrive il sistema economico capitalistico, spiegando che l’elemento che lo caratterizza è la crescita. La crescita economica è condizione imprescindibile per la sopravvivenza del sistema. Essa ha prodotto – nel corso della storia – enormi benefici in termini di qualità della vita e innovazione, seppure distribuiti in maniera fortemente disuguale. Oggi però l’inseguimento acritico di una crescita perpetua non è più sostenibile e rischia di portarci al collasso ecosistemico. La crescita economica è infatti legata al consumo delle risorse materiali disponibili sul pianeta, e questo consumo è il principale responsabile dei danni ambientali ed ecosistemici. Una crescita economica infinita, come quella richiesta per mantenere in vita il sistema economico, non è compatibile con i limiti fisiologici di sopravvivenza del pianeta. Continuare a perseguire la crescita renderebbe più difficile, se non impossibile, il rispetto degli accordi di Parigi, e potrebbe rendere futile la transizione energetica. Poiché non è possibile disaccoppiare crescita economica e consumo di risorse materiali, Hickel descrive l’idea di una crescita green, ipoteticamente sostenuta dalle sole energie rinnovabili, come un miraggio, da cui i decisori politici dovrebbero allontanarsi rapidamente per cercare strategie alternative (4). L’alternativa sarebbe quella di abbandonare la crescita in favore di modelli di de-crescita o post-crescita. Scenari di questo tipo sono già stati descritti a livello teorico e in alcuni casi sperimentati a livello locale (5, 6). Le formule proposte per la decrescita possono variare a seconda del quadro teorico proposto, ma ciò che accomuna i diversi modelli è la tensione volta al raggiungimento del benessere economico contestualmente al benessere sociale e ambientale, piuttosto che a detrimento di essi. L’utilizzo di un indicatore unico e obsoleto come il PIL viene rifiutato, in favore dell’utilizzo di indicatori multipli che rendano conto in maniera più adeguata della complessità del reale e dei limiti planetari. L’idea di crescita inoltre viene sostituita con quella di una ridistribuzione equa e giusta delle risorse ed una loro gestione più democratica.

Andrea Ubiali

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20/9/2023

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